Màfia
Il dizionario del professore Vincenzo Mortillaro è assai sbrigativo: «voce piemontese introdotta nel resto d’Italia ch’equivale a camorra». Insomma la butta larga, come si dice, attribuendone l’origine ai piemontesi, come ogni guaio dell’Isola.
Più ardito il dizionario di Antonino Traina datato 25 giugno 1868: «neologismo per indicare azione, parole o altro di chi vuol fare il bravo…atto o detto di persona che vuol mostrare più di quel che è…nome collettivo di tutti i mafiosi». Che di neologismo si trattasse è vero giacché solo da qualche anno un prefetto aveva sentito parlare di mafia e ne relazionò mettendolo in buon italiano maffia, con due effe!
Prima di lui, nell’anno 1838, Pietro Ulloa, procuratore di Trapani, aveva spedito, “in riservatezza”, al Ministro della Giustizia di re Ferdinando II di Borbone, queste parole: «Vi ha in molti paesi delle fratellanze, specie di sette che diconsi partiti, senza riunioni, senza altro legame che quello di dipendere da un capo, che qui è un presidente, la un arciprete. Il popolo è venuto a convenzione coi rei; come accadono furti escono dei mediatori ad offrire transazioni per il recupero degli oggetti rubati». Quella relazione rimase, evidentemente, assai riservata. Al punto che non uscì mai dai sicuri cassetti ministeriali.
Le forme più antiche e classiche dell’attività mafiosa furono l’abigeato e la tutela forzata del raccolto: a dimostrazione dell’efficacia di quella protezione, al nuovo “protetto” capitava di rinvenire cadaveri, magari con la mano mozzata, ad indicare che l’intenzione era stata punita e poteva dormire sonni tranquilli: c’erano “loro” a vegliare.
Per molti la mafia non c’è: proprio questo significa l’arabo ma’ fy: “non c’è”. Quando non c’è è brutto segno, significa che è dappertutto. Noi siciliani già dalla nascita sappiamo che mafia e politica sono sempre andati a braccetto come Padre e Figlio: noi aspiriamo a essere lo Spirito Santo. Tutti quanti. Perché siamo tutti precari, cittadini non di ruolo, sempre in lista d’attesa per qualcosa che non arriverà mai. Viviamo sperando in un posto di lavoro, un sussidio, una casa popolare, il passaporto subito, un’amnistia, una sentenza giusta, un posto alla Regione, una sanatoria edilizia, un posto letto in ospedale, la cancellazione di una multa, una pensione. E allora ricorriamo alle “amicizie”. Che è fatto sentimentale.
Pure Bernardo Provenzano “il capo dei capi” è un sentimentale: quando lo hanno catturato stava scrivendo (a macchina, si capisce) una lettera a Saveria, sua moglie per dirle di non mandargli più la solita pasta al forno. Non ne poteva più di quel piatto da asporto della nostra cucina. E un dubbio mi assale: sicuro che fosse lui il grande capo? Di quell’ometto insignificante dissero che sparava come un dio, ma aveva un cervello di gallina: come può un individuo del genere occuparsi della Sanità in Sicilia, influenzare la politica nazionale, organizzare appalti delle opere pubbliche, trattare con lo Stato, gestire patrimoni a livello internazionale, addomesticare funzionari statali, magistrati, tutori dell’ordine? Ci ha delusi: ci aspettavamo un duro e invece ci siamo trovati davanti a un ometto insignificante.
Ci sono volute due esplosioni, nel 1992 per scuotere i siciliani: finirono in pezzi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino con le loro scorte, e solo da allora qualcosa cominciò a cambiare. Ci sono voluti due eroi, dopo tanti morti ammazzati, per farlo capire anche a chi non voleva intendere. Come tutte le cose umane anche la mafia un giorno scomparirà. Resterà una voce sui dizionari per ricordarcela.
Si Signor Basile, il suo scritto è condivisibile. Vorrei però far notare che crimine e malaffare sono anche lo specchio di una nostra rilassatezza etica e morale.
Così come a livello medico oggi una delle nuove frontiere è affamare la neoplasia maligna togliendole il sangue, allo stesso modo crimine e malaffare non proseguirebbero senza sostegno implicito o esplicito da parte della gente.
Prima di chiedere una cortesia a qualcuno pensiamoci, forse ingenuamente contribuiamo a farci del male da soli.
molto bene questo post.
nel finale rimane un dubbio,
(libera interpretazione)
il fenomeno potrebbe finire assieme al genere umano,
quando arrivera’ quel giorno,
che sicuramente arrivera’,su questa terra,
come e’ gia’ accaduto ai dinosauri.
forse Provenzano era solo un omuncolo insignificante ma in grado di garantire (con omicidi e stragi) voti, soldi e potere a chi sapeva “come occuparsi della Sanità in Sicilia, influenzare la politica nazionale, organizzare appalti delle opere pubbliche, trattare con lo Stato, gestire patrimoni a livello internazionale, addomesticare funzionari statali, magistrati, tutori dell’ordine”… in cambio di una lauta provvigione. Potremmo dire che era l’account manager del grande malaffare che ci portiamo dietro da sempre.
“Come tutte le cose umane anche la mafia un giorno scomparirà. Resterà una voce sui dizionari per ricordarcela…..”
Piu’ o meno quando finira’ il mondo……
in questo post ci sarrebbero da scrivere 1000
commenti,ma si vede che a Palermo e’ un tema scomodo solo parlarne.
Eppure il post e’ ricco e stimolante!
Attenzione, caro Basile. Il suo scritto allude all’impossibilità che il fenomeno mafioso possa risolversi in personaggi come riina e provenzano. Questo equivoco fu sciolto già da Giovanni Falcone che, al contrario di come spesso si racconta, non ha mai creduto nell’esistenza di un terzo livello. Il giudice infatti parlò di omicidi di primo, secondo e terzo livello (cioé “eccellenti”) e qualcuno capì invece che Falcone alludesse all’esistenza di un terzo livello.
oggi che e’ di attualita’
ed e’ scoppiata la questione morale
chissa’ se si deve parlare di
ladri di I,II,e III livello.
Perche’ non e’ solo la Mafia
a fare il danno che fa alla Sicilia.
silenzio ed omerta’
sui temi che scottano
…..Il popolo è venuto a convenzione coi rei;…..
…..
Al centro di Palermo tutti pagano il pizzo. Nel “salotto buono” della città l’elenco dei commercianti che si sono piegati al racket è lunghissima: a parlarne ai magistrati è stato il collaboratore di giustizia Maurizio Spataro, che ha tirato in ballo i locali dei vip, le boutique più esclusive e i negozi di classe intorno a via Libertà.
…………
(dalla rivista S.)