La Palermo differenziata, terza (e ultima) parte
Stabilito come smaltire “organico” e “indifferenziato”, pronta, scatta la molla del “quando” e del “dove” in modo, diciamo così, personalizzato.
L’arte di costruirsi delle regole a proprio uso e costume, stiracchiando la flessibilità dell’interpretazione peggio degli elastici del base jumping, è qualità che in questa città non manca.
Una vettura posteggiata in seconda fila ci indispone, ci innervosisce, ci indigna, ma se è la nostra: «Giusto il tempo di comprare le sigarette», «Il tempo di un caffè», «Solo il tempo di lasciare il bambino a scuola», e così via.
Anche il tempo, unità di misura oramai determinata con precisione matematica, a Palermo acquisisce prerogative di elasticità a nostro uso e consumo.
Se ci possiamo prendere il lusso di rendere flessibile il tempo, figuriamoci se non possiamo farlo con i nostri rifiuti domestici, ma alla nostra maniera.
Tenersi a casa l’umido per tre giorni in attesa del ritiro?
Non se ne parla.
Ecco allora che scatta la soluzione alternativa: dopo cena, con l’ausilio delle tenebre, si andrà a depositare il famigerato sacchetto in un cassonetto, ma ben lontano da casa.
E così, verso le ventidue, nelle portinerie si scatena un inusuale andirivieni di personaggi che “vanno a fare due passi per digerire”.
Stranamente, alcuni di loro si portano appresso quella sacca da tennis, mai usata, ricevuta in dono per il quarantesimo compleanno e da allora relegata nello sgabuzzino fra le altre cose inutili: adesso, finalmente, le è stato riconosciuto un ruolo.
Lo strano è che si tratta delle medesime persone che, sino ad ora, si sono private della compagnia di un cane per non avere la camorrìa di farlo scendere la sera.
Ma come: il cane no e la spazzatura sì?
Il diavolo, si sa, fa le pentole ma non i relativi coperchi, per cui cammini, cammini ed ancora cammini, sempre con il tuo fetente fardello appresso, ma di cassonetti nemmeno l’ombra: tutti volatilizzati, spariti.
Ti prende prima il panico, poi la rabbia, ma non demordi: ti sei prefisso uno scopo e devi ottenerlo, costi quel che costi.
Allora torni indietro, risali a casa, prendi le chiavi dell’auto, riscendi, metti il borsone nel cofano e vai alla ricerca del cassonetto perduto, ma non lo trovi.
E continui, oramai punto nell’orgoglio, e ti spingi sempre più lontano, verso la periferia, verso quei quartieri le cui immagini televisive di degrado, in un passato anche recente, ti hanno fatto vergognare della tua città.
Consapevole del fatto che stai compiendo un’azione illecita, ti comporti di conseguenza: guidi con fare circospetto, usi stradine alternative, sbirci a destra e a manca per essere sicuro che non ci siano indiscreti osservatori però, alla fine, la tua tenacia viene premiata.
Eccolo la, illuminato dagli abbaglianti, circondato da miriadi di sacchetti, l’agognato cassonetto.
È fatta, fine del viaggio, meta raggiunta.
I tuoi occhi sono concentrati su di lui, non lo perdono di vista neanche un istante per la paura che possa svanire all’improvviso, come un miraggio: sono così concentrati sul cassonetto che solo all’ultimo ti accorgi della paletta che oscilla in modo inequivocabile.
Subisci passivamente la mortificazione del controllo delle generalità, della prova dell’etilometro, della perquisizione dell’auto e dei commenti sul “bagaglio” che ti porti appresso (della cui presenza incolpi tua moglie!) perché sai si essere in torto.
Quando poi ti viene pure fatta la multa, perché il bollino blu è scaduto da quindici giorni, non hai neanche la forza di reagire.
Pensi solo a ritornare a casa, incazzato come un toro, maledicendo l’attimo in cui ti è venuta la brillante idea.
Fai tre o quattro giri attorno all’isolato per trovare un parcheggio libero e te ne torni su.
Per fortuna il giorno dopo hai già metabolizzato tutto, anche la multa.
Ma quando riprendi l’auto, dopo due giorni, sono le tue narici a “rinfrescarti” prepotentemente la memoria: l’altra sera, nella concitazione, ti sei dimenticato la spazzatura nel cofano e adesso il fetore è insostenibile.
Altri quindici euro per il lavaggio e cinque di Arbre magique.
Speriamo, almeno, che questa volta la lezione ti sia servita.
O, no?
P.S.: Questo post in tre puntate è stato volutamente provocatorio, a cominciare dal titolo che fa il verso a La Gerusalemme liberata, epico poema nel quale l’autore costruisce la storia non con il rigoroso attenersi al “vero”, bensì al “verosimile”.
Così facendo, Tasso fondeva in un solo elemento “l’unità” e “la varietà”: l’unità era data dall’importanza della grande impresa, voluta e aiutata da Dio, la varietà dal fluttuare alterno delle passioni e degli interessi egoistici.
Personalmente, ho la fortuna di abitare in un condominio nel quale la raccolta differenziata la facciamo già da alcuni anni, poiché facenti parte di un progetto pilota dell’A.M.I.A.
Desidero ringraziare quanti hanno avuto la compiacenza e la pazienza di commentare, leggere o semplicemente sbirciare.
Solo un dubbio mi attanaglia: verrò considerato come uno “scrittore di munnizza” o una “munnizza di scrittore”?
Ah, dimenticavo: purtroppo, sia il cane Fulippo che le storie narrate sono solo frutto di fantasia.
mi ritrovo nel racconto perché quando mi trasferii dove adesso abito, provai anch’io smarrimento perché avevo molta immondizia da buttare dopo il trasloco e neanche un cassonetto…girai in bicicletta per trovare lo straccio di un cassonetto…niente! scoraggiato mi recai presso la casa comunale per chiedere istruzioni: l’impiegato sorrise e mi disse: “noi facciamo la differenziata porta a porta, le dò questo opuscolo informativo, se ha urgenza comunque è aperta l’isola ecologica fino alle 14:00”.
devo dire che ci si abitua presto alla mancanza di campane e cassonetti per strada, tanto presto che quando per ragioni di lavoro mi reco in città vicine (non ancora così ben organizzate in merito allo smaltimento), mi fa una certa impressione vedere i cassonetti. buon 25 aprile e che palermo e i suoi cittadini (mi ci metto dentro anch’io) si liberino da tutto ciò che soffoca, frustra, umilia e manda cattivo odore.