“The Cambodian Room”
L’idea del film è nata a novembre 2006, in casa di Tommaso Lusena, mio amico e co-regista del film.
Tommaso aveva girato un’intervista al fotografo della Magnum Antoine D’Agata in occasione di una sua mostra a Roma e mi mostrò quelle immagini. Fui subito folgorato dalla potenza delle parole e del personaggio di Antoine, ancora prima di vedere le sue fotografie. Quella sera decidemmo di fare un film documentario con D’Agata e iniziammo a sviluppare il progetto, non senza difficoltà.
Dopo quasi due anni di ricerche artistiche e finanziarie, avevamo deciso con Antoine di seguirlo in Messico, al confine, con gli Stati Uniti. Ma appena due mesi prima di partire, Antoine ci disse che stava andando in Cambogia e ci invitò a raggiungerlo lì. Così a marzo 2008 siamo partiti per Phnom Penh, dove siamo rimasti poco più di un mese.
La prima settimana Antoine non ci ha dato accesso al suo mondo intimo, ci evitava, era come se ci annusasse e non volesse ancora darci fiducia. Poi, pian piano ci ha fatto avvicinare e abbiamo iniziato a filmare delle cose con lui, ma soltanto all’ultimo siamo riusciti a entrare nella camera di Lee, la prostituta con cui Antoine aveva una relazione e che cercava di fotografare. Ed è stato in tre giorni, o forse meglio, in tre interminabili notti che abbiamo girato la parte principale del film.
Ciò che ci colpisce di più nel lavoro di Antoine D’Agata è il suo modo di archiviare con le immagini le proprie esperienze di vita estrema, come a cercare un riparo dal fluire inarrestabile del tempo. Questo tentativo, che è proprio di tutta la fotografia come mezzo espressivo, è quindi resistenza alla morte. Ma in lui, la consapevolezza della fine alimenta in modo esasperato la forza espressiva delle fotografie.
Le immagini di Antoine D’Agata compongono un diario intimo e frammentario dei rapporti del fotografo con i propri soggetti, prostitute e pusher incontrate nelle sue derive notturne ai margini della società.
The Cambodian Room è un film su Antoine e la sua arte autobiografica. Il documentario è diventato così una sfida fatta di personaggi, di storie, di esperienze da cercare e vivere con Antoine per raccontare ciò che c’é dietro lo scatto fotografico, il vissuto che genera la potenza delle sue immagini. Così lo abbiamo raggiunto a Phnom Penh e abbiamo lasciato che le situazioni si raccontassero da sole.
E le situazioni ci raccontavano di una crisi, di una crisi profonda, esistenziale e artistica di Antoine D’Agata. Potremmo dunque affermare che ogni documentario in cinema direct è di per sé «situazionista» per definizione. E, allo stesso tempo, possiamo forse dire che la crisi è indispensabile alla creazione artistica, o almeno in Antoine D’Agata, è condizione endemica del «fare arte» e del «vivere», necessità disperata di toccare il fondo per sfidare i propri limiti.
Ho appena visto il trailer. Bel lavoro.
Spero di poter vedere il film quanto prima.