Lessico siciliano bis
Da sempre la passione per la lingua sicula e i suoi costrutti un po’ streusi (concedetemi il termine catanese) mi appassiona. Chi mi conosce bene lo sa. Sono capace di passare serate intere a discutere di derivazioni improbabili e, quindi, quello che segue è il resoconto di un dopo cena passato a stupitiare.
Cominciamo col dire che a ora di sottintesi ed espressioni ermetiche non abbiamo uguali.
Per esempio quando vogliamo dire che nonostante tutto qualcosa non va come vorremmo usiamo un costrutto che resta in sospeso, per esempio no, sto bene, per mangiare mangio. Dovrebbe seguire eppure continuo a dimagrire, ma chi parla sa che l’interlocutore ha già capito. Oppure per dormire dormo, sottinteso ma sono sempre stanco. Gli esempi sono, ovviamente, infiniti, l’aereo per partire parte, mi disse una volta una hostess, solo che non si sapeva a che ora sarebbe partito, ma lei non ritenne opportuno aggiungere la seconda parte della frase. Oppure no il bambino per leggere, legge. E certo per quale altro motivo dovrebbe farlo? Chiedo aiuto agli esperti, se dovessimo fare l’analisi logica potrebbe essere un complemento di limitazione, ma sento ciavuru di influenza francese.
Andiamo all’ermetismo. Qua il linguaggio viene ridotto all’osso, scarificato dicono quelli bravi, riduciamo tutto ad una sola parola, quando ci vengono richieste spiegazioni di un fatto che per noi è ovvio e che, in alcuni casi, mostra caratteristiche immutabili. Esempio ma perché questo muro è così basso? Risposta: propria. Si riscontrano esempi d’uso anche per definire tratti del carattere. Altro esempio ma perché Fifo (mi piace moltissimo il diminuitivo di Filippo) sta sempre muto? Propria. Finì. Andiamo al risparmio, sempre. Pure con le parole. Con una abbiamo ghiacciato, spiegato e concluso un concetto che altrimenti richiederebbe un tempo troppo lungo. E noi lagnusi siamo. Non c’è un motivo. Siamo così. Propria.
Ho scoperto da un po’, poi, che a Palermo il dialetto, specie nella pronuncia, varia addirittura da quartiere a quartiere. Avete fatto caso, per esempio, alla pronuncia della parola odore, ciavuru? Lo sfincionaro che passa alle 18:00 sotto casa mia dice chi cieavuruu. E se l’è pure registrato. Dice che è una specie di franchising e quindi, a mo’ di spot, girano tutti con lo stesso slogan registrato da uno speaker che, mi dicono bene informati apparterrebbe al rione del Capo. Ma fino a qua, credo, niente di strano. Ogni dialetto avrà le sue varianti.
Sempre meglio informati di me, che nacqui altrove, sostengono che l’origine dell’uso del suffisso “– ne” sia tipico della zona dell’Arenella, ma chiedo conferme. Sono quasi certa che ci siano palermitani, specie tra i più giovani che non lo hanno mai sentito, ma più che a loro, penso ai forestieri che magari abituati al siciliano di Camilleri , che è tutt’altra cosa, potrebbero restare assai sorpresi nell’udire espressioni veramente strane. Ve lo ricordate l’alfabeto farfallino delle elementari, quello che si usava quando volevamo criptare le parole? Consisteva nel mettere dopo ogni sillaba la lettera”f” seguita da uguale vocale. Per esempio la parola ca-sa diventava ca-fa-sa-fa. Il principio è simile, solo che si aggiunge il suffisso “-ne” praticamente a tutto. La prima volta ho sentito dire papà-ne e mama-ne per chiamare i genitori. E se fino a qua può sempre ricordare il francese, un’espressione tipo Aahhh-ne, qua-ne è-ne! Non pare giapponese, la verità? Uno, colto di sorpresa, potrebbe rispondere sayonara e fare un mezzo inchino pure.
Concludo l’aggiornamento, sul lessico siciliano, con le solite simpatiche storpiature. La prima riguarda sempre un termine francese, mignon, con cui siamo soliti indicare la rosticceria palermitana in formato piccolo. E siccome forse ricorda, a noi abituati a mangiare abbondante, una cosa nica nica come l’ultimo dito della mano, spesso lo chiamiano mignol. Anzi i pezzi mignol, infatti si usa che si fa una bicchierata per il battesimo del picciriddo e si offre agli ospiti un tre chili di mignol.
Un’altra simpatica l’ho udita, di recente, in un salone di bellezza. Un signora raccontava ad un’altra di un affarone a cui non aveva potuto dire di no perché la proposta era dilettante.
Ma si sa noi siciliani così siamo. Propria.
Buongiorno Marì, bentornata, ah .. per scrivere scrivi. ( sottintende : perchè hà mancatu? tantu).
Riguardo alle variazioni all’interno della città non sono molto d’accordo, a Palermo si è sempre parlato uguale il dialetto stretto, almeno nei mandamenti storici originali, c’è un’unica eccezzione ” Ausa” ( La Kalsa)dove ancora oggi i vecchi parlano “Ausitanu” variazione che prevede l’uso della E al posto della A ( un bicchieri r’Equa), infatti la famosa barzelletta de : ” Scerry cù ghiecciu” ha come protagonista un Ausitano.
Riguardo al “ne”, non conosco l’origine se dell’Arenella, sicuramente però ti posso dire che è sempre esistito in centro ma come “ni” ( Spaiemu? Tocchi tuuuNI), (PapaNI m’accati ù gelatu?).
Infine, riguardo ai mignon, ti regalo una chicca che mi volevo sparare in seguito ma … la brucio per te che meriti, proprio. 😉
Circa un anno fa accompagnai un collega al bar rosanero, doveva ordinare delle “cose” per una festa; Ebbene .. “agghiacciai” quando il banconista disse : Prego .. e lui rispose : Volessi ordinare un trè chili di … MIGNOTTERIA.
😀
Buona continuaziona donna Marì
su questo argomento non riesco a trattenermi.
lochescion: campagna nella provincia palermitana.
argomento di conversazione il cibo:
“certo con l’età bisogna stare attenti al cibo e all’alcol, non si possono fare abusi”
risposta: “io, per fortuna, col mangiare mai sono stato abusivo”…..
Altra perla che mi è stata raccontata, ma stavolta di un ignaro uomo del nord: milanese o giù di lì.
Stavamo prendendo un panino con la milza. Quando arriva il turno del citato nordico, in una drammatica traduzione dei palermitani che l’avevano preceduto esordisce scandendo: “mi da un panino con la MEDUSA (alias meusa), in quella SPOSATA cosa ci mette????”.
Grande come sempre Maria !
Like, like, like !
mio cognato in tabaccheria per comprare delle semplici carte da gioco.
” buongiorno , un ca**o di marte.
Io ne ricordo una molto bella e abbastanza inquietante avvenuta durante un trasloco di materiale informatico da un sede all’altra dell’azienda dove lavoro. Tra il materiale da salire c’erano anche due cosiddetti “armadi rack”. La ditta era una normalissima ditta di trasporti palermitana, che forse nemmeno sapevano cosa stavano trasportando, noi gli indicammo più o meno il nome degli oggetti principali. A un certo punto durante il trasporto uno degli operai urla all’altro: “O cucì, u pigghiasti u RACKET?”………………..
Maria, sei fantastica come sempre!
Per ridere, rido!
ihihihihihihihihih!!!!
..fantastica come sempre!!! :***
🙂
ahuauahuhuahua Grande Maria!!! 🙂
“propria”…ehm… non lo avevo sentito mai!!! 😀
Grazie Maria, per questo “corso” sul lessico palermitano. Troopo forte (ora mi leggo i tuoi post precedenti) divertente ma anche molto utile per noi poveri stranieri in visita a Palermo.
Mi dai l’idea di domandare aiuto per creare anche un “LESSICO PALERMITANO TURISTICO”, dei monumenti o piazze che il turista medio non trova mai sulla piantina.
Esempi:
Chiesa degli Annegati (come se non bastasse che fossero già naufragati)
Chiesa Santa Rita, quando ti mandano al Capo e non la trovi
Piazza Croci
Piazza delle Banche (quali?)
Rotonda del Motel AGIP (unni è chistu motel?)
La Statua……. Ma se cene sono centinaia a Palermo?
Meno male diventa più facile capire quando si chiamano
Piazza della Stazione o
Piazza del Teatro Massimo.
Queste parole, questi modi di dire contribuiscono anche alla ricchezza e la bellezza dell’anima palermitana, dell’anima siciliana, meravigliosamente unica. Propria!
ci stanno rubando la lingua, e noi siamo qui a far chiacchiera!
Con il dovuto rispetto per i muratori. Un signore una volta mi disse: “Noi muratori, nella nostra volgarità (inteso per gergo) lu chiamamu u martelliiiiettu”
…noi,tra amici,la rosticceria mignon la chiamiamo “mignotteria”…cosi’ x ridere ,solo che “a forza ” di dirlo rischiamo seriamente di fare “qualche mala fiura” in qualche panificio!
Mai sentito rosticceria “mignol”!!! Rido da mezz’ora 😉
Mi sono fatta un sacco di risate a leggere i vostri contributi!
@Goku: ho mancatu perchè sto organizzando qualcosa di molto molto grosso.Evidentemente io ho conosciuto tutti quelli “fini” che -ni ci pareva tascio, -ne è tradotto! ah ah ah
Cara Marì, anch’io avevo la tua stessa idea, l’ho confidata ad un amico e mi rispose : Prenditi il Cialis.
Mhà … non lo capii.
( hahaha ahah ha)
sentito dire dalle mie orecchie: “Telefononi papane”, che sembra un superlativo 😉 e dalla stessa persona: “A Natale, faccio il baccalane”
Devo dire che anche in provincia di Trapani è molto frequente l’aggiunta di una “ni” a molti sostantivi, verbi, aggettivi. Ad esempio: “Fabio c’eni?”
maria ti adoro!!! Io ne ho una da racconatare che mi è successa ormai più di dieci anni fa, ma la ricordo come fosse ieri. Il cuoco di un ristorante dietro la cattedrale si lamentava perché il figlio, cameriere nello stesso ristorante, quel giorno non era al lavoro perché la sera prima si era sentito male dopo avere mangiato un “brughi”. Non vi nascondo che non capì immediatamente cosa fosse il “brughi”, ma per fortuna lui continuò dicendo che l’aveva preso in una panineria. lì capì che parlava di hamburger.
Una volta una paziente mi confessò di essere viva per miracolo perchè aveva “a carota attuppata” (la carotide ostruita), e che nel pomeriggio era solita fare un sonnellino “nnà seggia a sgrà”(sedia a sdraio)! Non so come sia riuscita a trattenermi dal ridere… 😀
Un amico di mio padre, piuttosto anziano, quando vuole intendere “per esempio…”, usa esordire con “umpereposito”. Non ho mai capito il legame.
Ma ne vogliamo parlare della’atavica diatriba su quale sia la forma corretta fra “tinchité” o “tignité”? Scusate, ma la signora delle pulizie mi ha preso per zulù perché ho usato la prima forma.
A mio parere esiste a Palermo uo zoccolo duro di parlata ‘ncarcata, unica e irrepetibile, che per molte persone, specie nei quartieri popolari o di chi proviene da quei quartieri, è la lingua madre.
A scuola nascono i primi poblemi per queste persone che sono costrette a tradurre, quindi il capretto diventa il crapetto,u cadduozzu, il caddozzo,la discesa, la scinnuta e lasciamo stare passati prossimi e remoti e congiuntivi.
Io trovo sia un gran bene che la nostra bella parlata palermitana resista all’omologazione e la incoraggerei fin dalle elementari. Ovviamente curerei in maggior modo lo studio dell’italiano e della lingua inglese, insomma nelle proporzioni dovute.
Purtroppo mancano, anche se in rete qualcosa ho trovato,regole scritte e una sorta di codificazione della grammatica palermitana.
Purtroppo manca una produzione letteraria in dialetto palermitano, seppur minima, e questo condiziona la sopravvivenza di una parlata.
Ma fin che resiste la tradizione orale, W.P.E.S.R.
il ni finale non risparmia neanche i giorni della settimana. Succede comunque una cosa strana,
lùnniri vieni “tradotto” in lunedini, quasi in lingua, e così sino al venerdini. Unici nei u sabatu e a ruminica che restano tali.
Fantastico questo Post ed i relativi commenti, rido con le lacrime, comunque Maria, il suffisso one non è usato solo per il nome comune di cosa o per i sostantivi, si usa anche con i verbi, non è raro infatti, per esempio, sentir dire “iddu acchianone à casa” (lui salì a casa), o per quanto riguarda i differenti slang ” quartierali” (fatemi passare il termine) esiste “l’ausitano” (proprio del quartiere Kalsa) che somiglia molto al Barese, per esempio: “mi appropinquo a pranzare” che normalmente diremmo “sta’ iennu a manciari” in ausitano diverrebbe “stè iennu a manciere” e così via, in sintesi il suffisso ne o meglio “one” ( acchianone, macione ecc ecc ) in ausitano si trasforma in ” ere ” 😀
Ah ah ah bellissimo vero!E’ lo slang dello sfincionaro allora! Chi cieeeevuru.
una chicca recentissima l’ho sentita qualche giorno fa, dopo l’apertura del nuovo Spaccio Alimentare, ribattezzato da una signora Spascio Alimentare…..
comunque anche fra gli avventori del mercato i baddrarò non è raro sentir dire… assa mi rassi ru chil’arenci o….. un mazz’ì ramurazzi.
Se qualcuno non dovesse sapere cosa sono i ramurazzi si rechi al mercato e li potrà rendersene conto di persona. (io non ve lo dico)
in un negozio di calzature la cliente voleva un paio di scarpe eleganti: però li voglio scartucciati dietro e per suo marito un paio di
motocassini.
toponomastica:
“no, io l’autobùs per monte pellegrino, lo prendo a piazza struzzo…”
A proposito di traduzioni fatte dai “nordici”.
All’Arena di Verona qualche anno fa , la “Cavalleria Rusticana”.
Il mio vicino ripeteva a voce alta per chiarirsi le idee:
“compare Turiddo ….. scompare Turiddo”
Buonasera Maria, mi piacerebbe un tuo parere su un’espressione che mi sembra densa di significato:
“Fatti convinto”
Natalia
Brava Mari, come sempre! Ieri sera, il mio compagno ed io abbiamo iniziato a leggere in modo “sistematico” il tuo libro… tra una risata e l’altra, il suo commento è stato:”Pensavo fosse carino questo libro, ma è molto al di sopra delle mie aspettative”… Abbiamo finito il primo capitolo e ci siamo “ammazzati dalle risate” (la mia cugi catanese docet!)… Baci
le persone più esilaranti sono le/i palermitane/i raffinate/i, che credono di parlare in italiano corretto mettendo i verbi al passato remoto anche se una cosa è successa appena il giorno prima “ieri andai…” anche se non sanno dire “mi piacque” e il loro punto di massimo lo raggiungono quando usano termini dialettali, pregni di significato, difficili da tradurre, ma nel loro italiano. esempio? al telefono “ti devo lasciare che mi si appendono le lenticchie”….dove di appendono? forse si bruciano o ancora meglio si appizano…ma parla come mangi!!! brava Maria
@Ninni:I ramurazzi sono i rafanelli!! Infatti si dice: “scanciari ..azzi, pi ramurazzi” un modo particolare di dire “prendere fischi per fiaschi” o “lucciole per lanterne”. A proposito di storpiature: ad una signora in un negozio di illuminotecnica le sentii dire”sto cercando una profumiera”… la commessa la guardò basita:cercava una plafoniera!!
Tinchitè… chi non sa che significa in abbondanza, a iosa ma NON sono riuscito a trovare traccia alcuna di un possibile etimo.
Qualcuno di voi sa?
Grazie mille!
” A tinchitè”, anche “a tignitè” o “a tinghitè”, sembra derivi dal catalano “a tingut té” letteralmente “oltre all’avuto eccoti ancora”. Da Saggio di etimologie siciliane di Giuseppe Gioeni.