Toujours sans rancune
Sans rancune: così avevo chiuso la mia letterina con cui le facevo notare le tre figure di merda in cui era incappato. L’ho riletta: non ho mai scritto che il suo «lavoro era assolutamente inutile se non dannoso». Dove l’ha preso? È sua deduzione? Mi sono espresso male? Per quanto riguarda la «somma volgarità del disprezzo» racchiusa certamente in quel «frisca e piriti» (fischi e pernacchie), espressa nel mio siciliano, era chiaro sentimento d’indignazione popolare, riferito a Cammarata e non alla sua persona.
Vede, esimio professore, malgrado i tempi ruvidi in cui viviamo ci sono ancora tanti palermitani che si indignano. Verbo nobilissimo dall’etimo in-dignari, insomma non stimare degno. Concorda? Ricorderà certamente l’elogio della pernacchia della buonanima di Marotta: scrisse che sta per «tu sì la schifezza, della schifezza, della schifezza ‘e ll’uommene».
Lei scrive di nostra «vergogna per il folklore esagerato». Le ricordo che il carrettino, assieme alla tavola dell’acquaiolo ambulante, furono invenzione di fine Ottocento di un istriano (Daneu si chiamava) che capì che i “turisti”, sbarcati dalle nostre parti dopo i colti “viaggiatori”, amavano il kitsch. Sublimato più tardi in mafiosi di terracotta e paladini bonsai; al suono di Vitti na crozza e Ciuri ciuri. Che fanno il paio con le «code di scampi al pompelmo rosa» da lei citate. Ma dove è andato a mangiare? Continua »
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