Parole, parole, parole
Sui gradini della Facoltà di Lettere, al pomeriggio, si può prendere il fresco. Occasione buona anche per scambiare due parole con coloro che la frequentano: oggetto del contendere la lupara. Per tutti si tratta del fucile a canne mozze con cui si eseguono i delitti di mafia. Ho chiarito che si tratta, in effetti, della cartuccia caricata a pallettoni con cui, un tempo, si sparava ai lupi. Estensivamente finì per indicare la doppietta a canne mozze. Anche se questo dovrebbe valere per i leghisti o giù di lì; per noi siciliani dovrebbe essere discorso chiuso. Assolutamente chiaro.
Ma dove si evince?…mi chiede un giovane Gramsci in pinocchietto rosso, che invito a consultare un dizionario della lingua italiana. C’è.
E non è finita. Si parla di libertà, di diritti umani e il discorso ci porta dritto dritto alla Rivoluzione francese e all’abolizione della servitù della gleba. Ve lo ricordate anche voi? Vedo facce stranite, o alluccute se preferite, che denotano un interrogativo inespresso. La gleba?…sarebbe?…
Ragazzi, vogliamo scherzare? Avete studiato Monti, Carducci?… giovenchi invitti a franger glebe…?
E così mi tocca ritornare alla nostra lingua per tradurla con un più siciliano timpùni per far capire che si tratta della zolla di terra (d’argilla nel caso nostro) che resta attaccata alla suola delle scarpe quando facciamo una bella passeggiata in campagna dopo una pioggerellina. Continua »
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