Li morti
Salvatore era andato a letto subito dopo cena, senza fare capricci, perché sapeva che quella sarebbe stata una notte speciale e i bambini non dovevano rimanere in giro per casa.
Continuava però a rigirarsi sotto le coperte senza riuscire a prendere sonno.
Era la prima vigilia dei morti che dormiva da solo nella sua stanza.
Suo fratello Giuseppe era partito militare all’inizio dell’anno e il nonno, dal quale lui aveva preso il nome e che aveva sempre dormito nella loro camera, aveva chiuso gli occhi una sera di settembre e non li aveva più riaperti. Le prime notti dopo la scomparsa del nonno, Salvatore aveva cercato di non addormentarsi, di non chiudere gli occhi, per il timore di non potersi più svegliare, ma scoprì presto che il sonno era molto più forte della sua volontà e giungeva all’improvviso senza che lui se ne accorgesse. Cosi, per la paura di non risvegliarsi e temendo di rimanere intrappolato in qualche brutto sogno, ogni sera pregava Gesù Bambino affinché tenesse gli incubi lontani da lui. Se proprio non doveva svegliarsi, sperava di rimanere imprigionato in un bel sogno!
Quella sera desiderava addormentarsi il prima possibile, ma continuava a pensare alle parole che il fratello maggiore gli aveva detto al telefono prima di cena: «Li morti vennu e ti grattanu li pedi!».
Per questo motivo stava nascosto sotto le coperte, tutto chiuso come un riccio, con le ginocchia vicino al mento.
All’improvviso il cigolio della porta che si apriva lo fece tremare.
Udì dei passi muoversi nella stanza e fermarsi vicino al suo letto. Poi sentì una mano poggiarsi sulla sua testa. Un sommesso urlo di paura gli fuggì dalla bocca.
«Sei ancora sveglio?». Riconobbe la voce della madre e mise la testa fuori dalle coperte.
«Non riesco a dormire!».
«L’hai detta la preghiera che ti ho insegnato?».
No, la recitava sempre insieme al nonno e l’aveva dimenticata.
«Non me la ricordo».
«Diciamola insieme».
La madre strinse le mani del bambino tra le sue e recitò ad alta voce l’antica preghiera dei morti:
«Armi santi, armi santi,
io sugnu unu e vuatri siti tanti:
mentri sugnu ‘ntra ‘stu munnu di guai
cosi di morti mittitiminni assai».
«Ora dormi», disse baciando il figlio sulla fronte. Uscì dalla stanza lasciando la porta socchiusa e Salvatore vide da quello spiraglio che tutte le luci della casa erano spente.
I morti sarebbero arrivati presto…
Il bambino guardò il letto vuoto accanto al suo e pensò ancora una volta al nonno, prigioniero in chissà quale sogno. Se gli adulti gli avessero detto che era morto forse avrebbe pensato di poterlo vedere quella notte in giro per casa, ma la parola morte non era mai stata utilizzata e da quella sera di settembre tutti dicevano che il nonno era scomparso nel sonno.
Finalmente Salvatore si addormentò, con la speranza di incontrare il nonno in un sogno e parlare ancora una volta con lui.
Non passò però neanche un’ora che il bambino, colto da un bisogno improvviso, si svegliò.
«E adesso? Come faccio?».
Non riusciva più a trattenerla, doveva urgentemente fare pipì.
Per dimostrare che a otto anni fosse ormai un ometto, dal giorno del suo ultimo compleanno, aveva smesso di tenere il vaso da notte sotto il letto. Doveva quindi assolutamente raggiungere il bagno. Sbirciò fuori dalle coperte: tutto sembrava tranquillo. Pensò che se ci fosse stato il nonno, avrebbe chiesto a lui di accompagnarlo, ma doveva farsi coraggio e andare da solo.
Si alzò dal letto e mise i piedi per terra. La luce della luna filtrava dalle persiane socchiuse e nella penombra vide che le sue vecchie scarpe erano dove le aveva posate. In genere il mattino del 2 novembre trovava delle scarpe nuove al posto delle vecchie oppure un pupo di zucchero vicino al cuscino. Erano quelli i doni che portavano i morti: dolci, giocattoli, vestiti nuovi. Ma non c’era nulla di tutto ciò, quindi forse non erano ancora venuti.
Doveva sbrigarsi!
La sua camera era vicino la cucina e il bagno era subito dopo.
Il buio della casa gli faceva ancora più paura ma in quel silenzio il russare del padre lo rassicurò.
Salvatore arrivò al bagno, fece la pipì e si diresse verso la sua camera, ma passando davanti la porta della cucina, illuminata dalla luce della luna, vide qualcosa di cui prima non si era accorto: un non so che di enorme stava sospeso sopra il tavolo, proprio nel punto in cui la mamma aveva l’abitudine di posare il cesto che i morti avrebbero dovuto riempire con biscotti e frutta martorana.
Un morto? Aveva visto un morto mentre lasciava i dolci? Salvatore terrorizzato corse in camera a nascondersi sotto le coperte, chiuse forte gli occhi e pose le mani sopra le orecchie per il timore di sentire qualche strano rumore. Ma nulla. Tutto taceva.
Nel silenzio della notte, il sonno lo colse all’improvviso anche questa volta.
Fu la voce della madre a svegliarlo la mattina dopo:
«Totò, alzati! Cerca i doni dei morti!».
Era finalmente mattina!
Salvatore uscì dal suo rifugio e guardò se vicino al cuscino o sul comodino ci fosse un pupo di zucchero o un giocattolo nuovo, ma non c’era niente. Poi guardò a terra cercando delle scarpe nuove, ma trovò solo quelle vecchie.
I morti sapevano che si era alzato e non gli avevano lasciato nulla!
Deluso, raggiunse la madre in cucina sperando almeno in qualche dolce.
Quando arrivò davanti la porta vide la madre in vestaglia che lo guardava sorridente, indicando il lampadario sopra il tavolo della cucina.
«Allora, ti piace?».
Salvatore guardò nella direzione indicata dalla madre e il suo volto si illuminò: un aeroplano!
Era quella la cosa che lo aveva terrorizzato quella notte!
«Sì, sì, è bellissimo!!!».
Il padre lo staccò dal soffitto e glielo porse.
Quando lo prese in mano, lo riconobbe: era lo stesso giocattolo che aveva visto ad una fiera insieme al nonno e si ricordò che lui gli aveva promesso che, se fosse stato buono, avrebbe domandato ai morti di portarglielo in dono.
«Il nonno non l’ha dimenticato!», disse il bambino.
«No, il nonno non ti ha dimenticato», disse la madre pensando che il bambino immaginasse fosse un dono del nonno.
Ma Salvatore, che credeva che il nonno stesse solo facendo un sonno un po’ più lungo, si ripromise che lo avrebbe ringraziato in sogno.
un racconto che mi fa tornare bambino, quando anch’io, come salvatore, aspettavo “i morti” e un pupo di zucchero. nella sua semplicità ritrovo la semplicità della nostra tradizione.
in una sola parola: bello!
bellissima tradizione la nostra! recuepriamola, è molto più poetica e serena della moderna Hoalloween!
Grazie…mi sono emozionato!
Sarebbe bello se ancora oggi, nelle “nuove famiglie” si riuscisse a far vivere quest’atmosfera di innocenza, rispetto, attesa e soprattutto amore come quella descritta qui dalla nostra amica Silvia. Purtroppo oggi le tradizioni vengono fortemente snobbate e così stanno scomparendo con esse anche quelle piccole sensazioni che sapevano di calore familiare. Tutti uniti nel ricordare chi non c’era più si cercava la maniera più dolce per spiegare anche ai più piccoli che, anche se morti, i nostri cari resteranno sempre vicino a noi. Grazie Silvia 🙂
Anche a me questo racconto mi fa tornare bambino quando mio nonno con la scusa che li mandasse la nonna defunta mi faceva cercare in tutta la casa i regalini da lui ben nascosti.
Ricordo con molto affetto questa tradizione sperando che possa rimanere per sempre.
Molto bello complimenti.
La minuzia del racconto descrive il piccolo Salvatore che vive delle emozioni che gli permettono di tenere caro ancora il ricordo di quel Nonno che gli manca e che ancora sente così vicino e presente. Il dono diventa la conferma di quel sentimento.
Una piccola tradizione che permette di ricordare ai nostri bimbi le persone che portiamo care nei nostri cuori.Brava Silvia che lo ha sottolineato!
Che bello leggere che ognuno di noi ricorda con emozione questa tradizione. Io la porto nel cuore sperando un giorno di continuarla con i miei futuri bambini.Grazie a silvia per avere risvegliato questa emozione con il suo bellissimo racconto.
Nella mia famiglia non si è mai avuta la tradizione di associare la commemorazione dei defunti con i regali ai bambini, quindi durante la lettura non ho vissuto alcun ricordo in questo senso. Il racconto però mi è piaciuto molto facendomi anche emozionare per il legame del bimbo al nonno. Anche io, come il bambino del racconto, sono legatissimo a mio nonno e i ricordi che mi uniscono a lui sono molto nitidi nella mia mente e sempre presenti nel mio cuore sebbene egli abbia contribuito ad arricchire le Schiere Superne già da sedici anni. Grazie Silvia per avermi dato l’occasione di ricordarlo ancora una volta oggi… guarda caso anche mio nonno si chiamava Totò.
Mi è stato insegnato che i nostri cari morti si ricordano con affetto per quello che sono stati in vita non per i giocattoli che “ci portano da morti”.
A Palermo ogni situazione è buona per fare megalomanie.
Bel racconto, però, nulla da dire.
Bellissimo racconto!!! Emozionante e davvero coinvolgente…spero di leggere presto qualcos’altro scritto da te…complimenti…
Grazie Silvia, il tuo racconto ricostruisce con semplicità e leggerezza il legame tra cielo e terra che sta alla base di una tradizione popolare siciliana risalente al X secolo. Anch’io, ahimè non più giovane, penso che certe tradizioni andrebbero recuperate integralmente nella loro dimensione poetica. Che una persona giovane come te riesca a descrivere, con grande sensibilità, la vera essenza di una festa che, a torto, molti oggi assimilano ad una dei tanti trionfi del consumismo più becero, mi fa ben sperare.
mi ha dato angoscia la paura di quel bimbo pur non avendo niente da recriminare sull’usanza dei morti
Toh! Guarda dove ti vado a beccare una ex compagna di scuola! 😀 Piacere di avere tue notizie Silvia!
Lorenzo D.G.
Grazie Silvia per questo racconto. E’ di una dolcezza infinita.
Grazie Silvia,ho rivissuto i miei ricordi,non eravamo ricchi ma attorno a noi bimbi vi era tantu caluri umanu,all’alba ci svegliavamo e intravedevo delle ombre sul tavolo,si accendeva la luce i nostri occhi si illuminavano di gioia,vedevo la cesta con la frutta di martorana,cioccolattini,la Pupaccena(bambola di zucchero)eppoi la tanto desiderata bambola con la carrozzella ,eravamo bambini molto più felici dei bimbi di adesso e ci accontentavamo di poco….
Mio padre è rimasto orfano a soli tre anni ma la nonna Enza per me è sempre stata presente. Ogni anno mi portava i regali ed io andavo a trovarla ai Rotoli, dove mi piaceva passeggiare curiosa fra le tombe mentre mio padre sistemava i fiori.
Non mi ha mai impaurito la morte, perchè la nonna non può fare paura: lei c’era comunque e mi amava, altrimenti perchè mi avrebbe portato un regalo?
Oggi ho quasi quarant’anni e due figli piccoli.
Nonostante un marito “extracomunitario” (è “paesano” ahimè), a casa mia e da mia madre arrivano i morti. E i miei figli non hanno paura di loro, perchè ci parlano quando gli chiedono i regali che vorrebbero.
Credo che questa bellissima tradizione (i regali, la martorana, il “cannistru” con biscotti e frutta secca) sia il modo migliore per esorcizzare le paure dei piccoli e rendere vivo chi non c’è più…
Grazie a voi per aver dedicato un attimo del vostro tempo a questa storia e aver lasciato segno delle vostre emozioni con un commento.
@Lorenzo: le vie di internet sono veramente infinite 🙂
era esattamente così.. era una tradizione “seria” e i nostri genitori erano bravi a gestire le nostre richieste, oggi i bambini si accontentano poco.. poi arrivano pure le feste di altre culture e ciò che ha un senso lo perde..
complimenti per il racconto..
Io non ho conosciuto i miei nonni,ma li ho sempre amati e ricordati,perchè i miei genitori ci parlavano di loro e io ero più che certa che fossero proprio loro a portare i giocattoli a noi bambini.Questo me li faceva sentire vicini. Non possiamo abbandonare questa tradizione,perchè ci aiuta a mantenere un forte legame con i nostri cari defunti e la memoria li fa vivere sempre dentro di noi.
Un delicato racconto di una tradizione che non ho mai vissuto a pieno e che mi ha sempre affascinata. Bella la descrizione del rapporto sfocato tra la morte e l’infanzia.
..brava Silvia!! complimenti!
Complimenti per il racconto .A me da piccola piaceva cercare il cesto ma non i regali .Ora ai bambini non c è piacere di regalare niente perche hanno tutto e non hanno nessun desiderio
Brava.
Ottimo racconto.
Bella scrittura.
Brava Silvia!
Oltre alle emozioni tanta sorpresa,
non sapevo di avere una collega scrittrice .. e di talento.
Complimenti
Daniela
Brava, bella storia cattura decisamente l’attenzione del lettore, che sia l’inizio di una nuova carriera? ;-).
Cmq. Una tradizione che dovrebbe essere ricordata e tramandata… Altro che Halloween
Son andato indietro di tanti anni, ho rivissuto quei momenti con un pò di nostalgia, era l’età della spensieratezza, dei giochi, e della realizzazione infantile che oltre ai vivi, genitori nonni e zii, esisteva un’altra dimensione, che non doveva fare paura, ma che doveva essere rispettata, il culto dei defunti.
Con gli anni questa “festa dei morti” unica nel suo genere in tutta Italia e anche in Sicilia, è caduta un pò nell’oblio. E già era una festa vecchia antica che turbava i bambini che poi dovevano essere portati dall’analista perchè da grandi sarebbero stati dei mostri, e allora i regali non li portavano più i morti ma i vivi, sì, si doveva spiegare al bambino che nell’occasione della commemorazione dei defunti i vivi facevano dei regali ai bimbi (vai a spegare il perchè).
In seguito la festa dei morti è diventata cosa per tasci, è sicuramente più figo festeggiare Hallowen, roba dall’altro mondo, nel senso letterale della parola, e tutti a festeggiare, cosa poi non s’è capito, ma che importanza ha è “figo”.
E invece nò dobbiamo mantenere le nostre tradizioni belle o brutte che siano, queste abbiamo e queste ci dobbiamo tenere, anzi le dobbiamo coltivare e se il caso esportarle noi all’estero.