Cose dell’altro paese
Alice nel paese delle meraviglie, ovvero Alice a Palermo…no non è un mio delirio campanilistico-retorico, è quello che è successo nei giorni scorsi al Teatro Massimo e, tra l’altro, il giudizio non è mio ma di un agrigentino (e ci può stare…e di un bergamasco!…e qui…).
Ma poi lo stupore passa quando capiamo che stiamo parlano rispettivamente di Giovanni D’Aquila e Francesco Micheli: “facce canusciute” del palcoscenico palermitano; sono già stati avvistati insieme con Il piccolo Mozart (e non è una segnalazione da Chi l’ha visto?) e W Gianni Schicchi.
Questa volta Francesco Micheli ha messo testi e regia, Giovanni D’Aquila le musiche; hanno messo sul palco a cantare un talentuoso coro di voci bianche con gradevolissime sorprese, più di 150 bambini delle scuole di Palermo schierati sulle scenografie preparate da altri studenti supervisionati da Sergio Algozzino, hanno shakerato bene e fatto dirigere il tutto dal newyorkese Arthur Fagen.
Quello che ne è uscito è una controversa prima mondiale di una rivisitazione di Alice di Carrol immaginata nella Palermo dei giorni nostri.
Alice è una bambina palermitana con un padre che guida la lapa , una mamma che sta in cucina e una gatta come migliore amica.
L’architettura dell’opera, in cui si legge chiaramente in ogni sviluppo scenico la firma di Francesco Micheli, è ad uso e divertimento del pubblico più giovane a cui, paradossalmente, può arrivare più immediatamente rispetto che a un pubblico adulto.
A me lo spettacolo è piaciuto tanto: mi sono piaciuti i cantanti, (li cito tutti perché tutti bravi e divertenti come l’opera richiedeva: Fabio Previati nel ruolo del coniglio bianco; Katia Ilardo nel duplice ruolo di Nannella e della cuoca; Alessia Sparacio nei ruoli del gabbiano, la duchessa e il sette di cuori; Nicola Pamio: topo, marchese del cappello e boia; Bruno Praticò: bruco, visconte della lepre e regina di cuori!! Alberto Cavallotti che comincia la sua performance a mezzora dall’inizio dell’opera nel foyer del teatro come barone del ghiro che dorme davanti il pubblico che arriva a teatro), mi è piaciuto il gioco che autore e compositore hanno fatto sulle arie di Gluk, Mozart, Verdi, De André, mi è piaciuto l’occhio critico sulla città, la sua storia raccontata in forma di cantilena, ho riso tanto per i quadri scenici, ho riconosciuto motti in dialetto…e poi ho riflettuto: ho riflettuto sulla piccola Alice (Etta Scollo, di cui non commento l’adeguatezza alla tessitura ma apprezzo la delicatezza che ha dato al ruolo) che cercava un mondo della sua misura: né troppo enorme, né troppo stretto.
E ancora ho riflettuto su una anomalia di natura: “nessun gatto o ragno disfa il proprio regno”…ecco questa me la sono segnata più altre e su questa rifletto.
…Ah, per chi se lo stesse chiedendo: no e sì.
No: il caso di Alessia Sparacio non è un caso di omonimia; sì: Alessia Sparacio è mia sorella.
E ora torniamo a riflettere…
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