Lessico siciliano ter
Torno dopo una lunga pausa per un aggiornamento sul lessico siciliano sempre in continua evoluzione e, in taluni casi, rivoluzione.
È in rivoluzione l’italiano, perchè non dovrebbero esserlo pure i dialetti? Con dolore ho scoperto che tra le parole entrate nel nuovo Zingarelli 2011, ce n’è una che mi sta sommamente sulle scatole perchè suona finta, spocchiosa e me la immagino già pronunciata con la e aperta: l’apericena. Anzi l’aperiSceana. Si capisce, in tempi di crisi, fai finta che fai l’aperitivo e invece ceni a sbafo. Ma che bisogno c’è di chiamarla così? Vorrei sapere a chi è venuto in mente. A qualcuno che, secondo me, festeggia pure il comple – mese con la fidanzata. E come funziona? All’apericena vanno gli aperifighi, con le aperiauto e le aperiamiche? Ogni apericalcio nel culo che gli darei…Organizziamo sfincionate e meusate se ce la fidiamo. Perché fino a che uno sbaglia perché è ignorante passi. Ma che si debba inventare una parola dal niente per sembrare più cool proprio non mi cala. Suona tascio e sempre con le vocali aperte. «Ciao Ale, ci vieni all’aperiSceana stasara? C’è bella geante». Aperigeante direi.
Andiamo alle notazioni sul dialetto siciliano che mi fa più simpatia.
Partiamo dai colori. Niente di più semplice. L’operazione fatta da noi siculi e, in genere in tutto il sud Italia, è, in un caso, abbastanza chiara, si tratta di una sorta di elisione – troncamento di una sillaba. Noi diciamo marro’ e leviamo ne. A sto punto a volere fare la pignola dovrebbe essere un apostrofo e non un accento. Ma lasciamo stare. Perciò da noi i mocassini sono marro’, il tavolo è marro’, la cacca è pure marro’, ma quello che mi chiedo è come si fa a passare dal blu al ble? Per esempio «Rosa, hai visto? Quest’anno si usa il ble» che cosa è francese? Esiste pure la variante più fine bre. Per esempio «sopra i jeans mettici una bella giacca bre e sei a posto». È un classico. Anzi (per lo stesso principio della mutazione della consonante L in R di cui mi sono occupata altrove) un crassico.
Facciamo un giro al mercato. Spesso dico ai miei alunnetti reticenti a scrivere (e pure a leggere in qualche caso) che un giorno, se non si sforzano almeno un po’, non potranno manco scrivere i cartelli per vendere pruni al mercatino. Appunto. Di recente ho visto scritto PRUNE. Giusto. Né pruni che è volgare, né prugne che è italiano. È un problema di genere. In siciliano molti prodotti della terra sono femminili, in italiano maschili. Ed ecco generata la confusione. Cartello a caratteri cubitali: CARCIOFI (fin qua ci siamo arrivati) UNA 0,99€. Ma da noi si compra e si vende la fagiolina e la fagiola pasta pure. Ogni tanto capita però di trovare I CIPOLLI.
Giustificazione e rispetto massimo invece per i termini stranieri. Sabato scorso, al solito mercatino, ho notato che, probabilmente, dopo essersi chiesti comu schifiu si scriveva, un po’ di venditori esibivano la seguente scritta LEGHINGS. Uno, un po’ più lontano, invece ha deciso per quest’altra LEGINS. Peccato! C’era quasi. Tra l’altro per un articolo che fino a un paio d’anni fa si chiamava fuseaux, o meglio fusò. Non è che abbiano tutti i torti.
Un’altra signora chiedeva se, tra i prodotti a un euro, non avessero i panni cattura-polvere. Come si chiamano? Sniffer. Certo.
Nel senso che sniffano loro la polvere e tu non ci pensi più.
Una scoperta che ho fatto di recente riguarda la nomenclatura delle parti del corpo femminile e, in quest’ambito, ogni metafora è concessa. Il nome vagina è volgare, vulva fa scantare, sa di caverna, gli altri non li nominiamo nemmeno. Il genio siculo la chiama natura. Di solito si sussurra. Esempio: «dottore, ho un fastidio alla natura». È pure poetico se ci pensiamo. Che se per caso il dottore non è siciliano possono passare pure tre mesi per capire dove ha il fastidio la signora.
Concluderei con un paio di strafalcioni ascoltati qua e là.
C’è l’innocenza dello scolaro che accoglie l’insegnante che torna in classe con un bel «e le vacanza hanno finito»; c’è la signora che si informa su cosa occorre per uscire il codice friscale. Già, perchè da noi i documenti si escono. L’immagine è quella di una stanza enorme impruvulazzata in cui ci sono tutte ste carte ammucchiate, finché uno non fa la richiesta: «mi scusi devo uscire un documento».
Ma le migliori tra le ultime captate, sono, lo sfogo di una poveretta allo stremo delle energie: «non ce la facevo più e ho mandato tutto a ponte» (di Baracca? Dove c’è Mimì che fa la cacca? Oppure per arrivare al monte si passa per il ponte?); un’altra che invocava l’invenzione di una poRzione magica per restare giovani. Ma la perla è data dalla pronuncia di un’espressione latina. Mia nonna, quando moriva qualcuno, si faceva il segno della croce e ci invitava a recitare un reca materna (requiem aeternam) all’anima del defunto. Orbene stressata dalle soverchierie di qualcuno una signorina esclama, nel mezzo di una accesa discussione, «ma chi si sente per decidere tutto lui? Nomineddio?».
Meno male che poi è andata ad un bell’aperiSceana con bella geante e si è calmata.
La “natura” come sinonimo del sesso femminile si usa anche in altre parti d’Italia, l’ho sentito in bocca ad emiliani, romagnoli e veneti.
La leggo sempre con molto piacere.
Imparo e mi diverto.
Come dire: “L’utile e il divertevole”.
Eccezionale! 🙂 🙂
alla posta, qualche anno fa, due signore parlavano delle sovvenzioni date a favore dei figli scolari. una, mamma di due figli, sosteneva che le avevano dato “due tantum”…
madrededios, “l’apericena” è una cosa che non tollero! ma che significato ha? e quella pronuncia… mio dio
Oggi a mmilano torna il sole, a lavoro un attimo di pausa….. e un tuo post !!!!
La settimana non poteva iniziale meglio!
MMMMaria…mi sei mancata! Bentornata e complimenti!
apericena? mai sentito, ho sempre sentito dire “aperitivo rinforzato”.
Sto morendo. 😀
@ Tony Siino: Giura! 😀
Bentornata, sempre divertente, anche se mi fai paura, perchè io ormai deviato dal posto dove lavoro qualche strafalcione lo prendo.
Quando t’incontro non ti parlo piu,ho timore. 😀
@ Bulgakov
ha h aha ha h ahha ha haha hahahaha ha
Bulgakov sei un carissimo amico e forte delle tue richieste di giuramento! 😛
Verbo “uscire”. nn solo uscire il documento…
Uscire il maglione, uscire il pezzo di ricambio.
se hai un amico che lavora in un magazzino e “gratta” qualcosa per venderlo “scontato” ai conoscenti non usa il termine rubare…
ti “esco” la borsa e te la do a metà prezzo…
se esci qualcosa non sei grattino!
Ne vogliamo parlare delle “appartanville”? 🙂
Un signore che si era fermato per comprare dei dolcini, al ritorno si accorge che la sua macchina, lasciata senza freno a mano, era scivolata colpendo l’auto vicina. L’uomo iniziò ad imprecare fin che una vecchietta che aveva visto la scena esclama : “tuttu chistu p’à GOLOSITA’!!!
🙂
hahahahahaha ^_^
Un reca materna al Siino allora
Rimostranze di un tizio sentite a un seggio a “Sperracavallo”: “Ma picchì chi è legge che uno un pò ‘bbotare ‘nna sò circoncisiuone?!?”
Cerchiamo di vedere le L mutate in R, alcuni generi invertiti e le parole “sicilianizzate” come marro’ e fusò per quello che sono: lingua siciliana (o meglio idioma siciliano) e le storpiature come “uscire qualcosa” non sono deficit ma sono fenomeni di italiano regionale, evoluzione della lingua, insomma. Ve lo dice uno che studia lingue e dialetti.
Spero che un giorno il siciliano riuscirà a RIottenere quel prestigio che la gente di adesso guarda con sdegno…
“Sei un piscio”, come sempre. 🙂 ho riso con le lacrime…
Segnalo un’altra rilevante variante linguistico-ortofrutticola nell’agrigentino: il cavolfiore (che, come a Palermo, ad AG diventa magicamente “broccolo”), è unA broccolA.
Forse il genere femminile rende gli ortaggi più seducenti… poi non mi venite a dire che riempire di belle donne le pubblicità è un’invenzione recente. 🙂
😀 bulgakov, m’hai fatto morì!!!!!! 😀
sdong!!!!
azzzzzz…..m’hai fatto morì davvero! 😉
Ciao Mari, ti leggo sempre con piacere e… divertita…
Qualche settimana fa, al Capo, ci siamo divertiti leggendo: “Datteri tunisine” … “belle sono!”
Francese:
marron -> marrò
bleu -> ble
cia’
Fabio grazie per averlo spiegato. Volevo farlo io ma avevo paura di rovinare l’idillio e risultare uno che non accetta l’ironia…di classe. Poi, di spiegare perché alcuni colori sono, diciamo, francesizzati nell’esposizione orale, non me la sentivo proprio.
ehehehe!! Grande Maria!!!
Volevo segnalare che i fuseaux negli anni ‘0 si chiamavano anche fusoN!!
La mia professoressa di francese impallidiva..
In effetti non c’è nulla di strano. Il siciliano è grandissimo debitore del francese, non lo dico io ma l’ho letto più volte su diverse fonti.
Persino il giallo (giarnu) è più vicino al francese jaune che all’italiano giallo.
E comunque, non so come la pensi Maria, ma chissà perché preferisco una “manciata” a un’apericena. Non lo so, potrò passare per conservatore, ma la prima mi dà la sensazione del pieno appagamento, la seconda delle porcherie mandate giù nel tardo pomeriggio che lasciano mezzi digiuni ma fanno tanta …”acidità”, per restare in tema di lessico locale.
Certo che preferisco una “manciata”!
Quanto alle derivazioni dal francese, dall’arabo e dallo spagnolo e pure dal latino ne ho già parlato nei precedenti post sulla grammatica e sul lessico.;-)
Saluti per tutti.;-)
Ben tornata….complimenti!
sei favolosa! a me è capitato qualche anno fa di selezionare delle hostess per un convegno. una di queste dopo aver elencato le proprie esperienze lavorative in alcune agenzie, terminò dicendo “ho lavorato per un sacco di agenzie ma adesso preferisco fermarmi, non mi fido più!” . in quel momento pensai che non si fidava più perché magari non la pagavano bene o non la pagavano proprio…invece il “non mi fido più” era il “ummafiru cchiù” italianizzato… quindi era semplicemente stanca di lavorare…quando capii…ah, ok…le faremo sapere
è mitico prof! è anche molto bello da leggere come al solito non ci delude mai 😉
Il fatto dei fusò è vero, c’è al mercatino vicino la scuola (quello del venerdì, risatee) ahahahahah quando viene a trovarci? ^^
Maria, quell’accento sulla o di marrò nel tuo testo non sembra né un accento né un apostrofo. A questo punto direi che è un accentostrofo, ma mai un aperipostrofo. 🙂
Eh già tante nostre parole a quanto pare derivano dal francese e restando in tema di mercato vi invito a riflettere sul nome del nostro mercato della Vucciria. Maria mi hai fatto ridere tanto: grazie!
Bentornata Maria , bè complimenti …..non ti nascondo che mi piacerebbe passare una giornata in tua compagnia al mercatino ! risateeee;-) “signò lei COSA COSTA questo ? ” ;-);-)
La Fagiolina non è dialetto siciliano.
fantastico! un saluto da Milano dove l’aperi-sceana si chiama solo “ape” (con la e finale chiusissima… che fa più figo!)
totò cu ttia un ci vegnu chiù a pullame cà sinnò mi veni l’adidas!!!!
😀
Ciao complimenti all’autrice, veramente un articolo interessante ed esilarante.
Mi stavo chiedendo come si chiamano tutte quelle persone che parlano con la cosidetta E aperta.. anzi più che altro io direi che non pronunciano la E aperta ma piuttosto hanno tutte le vocali nasalizzate, che sono diverse da quelle francesi! Io le chiamo “nasali” ma mi sa che un termine più scentifico dovrebbe essere “rinofoni”. Oh e ho notato che questi suoni esistono anche nella lingue polacca e lituana dove sono trascritti con una sorta di virgola a destra in basso alla vocale.Mi sembra si chiami “ogonek” ma non sono sicuro.. qualcuno mi corregga eventualmente.
Per il siciliano: se mi permettete vorrei farvi notare l’esistenza di un fenomeno piuttosto sconosciuto alle grammatiche siciliane ma molto presente e radicato in Sicilia, tanto che se guardate i tg regionali o se vi guardate semplicemente intorno ne avrete la prova: l’esistenza delle E ed I che in posizione atona diventano una vocale neutra semimuta indistinta, come un EU francese breve. Ovviamente se la parola aggiunge suffissi è possibile che l’accento si sposti in un altra sillaba e quindi cambi la pronuncia, ma di solito in posizione finale sono sempre atone. Ovviamente visto che ci possono essere omofoni come nel caso delle parole italiane CASI e CASE che vengono pronunciate CAS+VOCALE NEUTRA la confusione è totale, a meno che dal contesto non si capisca di cosa si stia parlando. Secondo me sarebbe giusto mantenere la vocale che si ritrova anche in italiano per una chiarezza almeno scritta,invece di usare la I indistintamente laddove la I accentata – con accento grave – e quindi tonica non sia già parte del siciliano come in SìRA, PìRU, CìRA ecc.
Esistono poi parole recentemente entrate a far parte del Siciliano dall’italiano come “elèttricu”: in tal caso un accento acuto sulla prima vocale potrebbe segnalare la pronuncia di una E [o di una I in altri casi] dal suono italiano mentre si trova in posizione atona..
Un’ultima cosa questo fenomeno esiste anche nelle lingue Catalana e Portoghese ma le vocali interessate in questo caso sono A ed E … chissà forse tutto questo viene dalla penisola iberica
vabbè sono opinioni personali poi ognuno la pensi come vuole 😛 scusate la lunghezza ma una volta che c’ero ho colto l’occasione. Grazie
mi signor pingui ma s’agghiuttiu un vocabolarioù!!!!!
mia madre parlava sempre di comprare un “”REDUCIASSE'”” dopo una vita ho scoperto che questa espressione esiste davvero nella lingua francese ovviamente non scritta cosi, entrare in pasticceria e chiedere gli “”SCIU’ “” succede solo a Palermo, come andare in un negozio di mobili a cercare un “”SEGRETER”” e via dicendo……………….e sono passati piu’ di mille anni…………per non parlare degli spagnolismi, quelli sono forse ancora piu’ radicati
Ricordo quando lavoravo per un palermitano “ruspante” frasi tipo:
“Passam’ u’ stuppapile”
Io non avevo idea di cosa fosse. Poteva essere qualunque cosa. Ho preso la prima cosa che avevo davanti, ricevendo un sacco di male parole perche’ lui voleva lo sturalavandini.
Poi ricordo che parlava della “sfasiella”, in pratica il contenitore bianco di plastica per le pizze impastate ancora da stendere e da cuocere. Che ricordi!
Il nonno di mia madre chiedeva il Tirabusciò, che era il cavatappi e la curria, che era la cinta…anche questi francesismi