Si ripete comunemente, citando il filosofo Feuerbach che però mirava ad altro, che «noi siamo ciò che mangiamo». Ed è innegabile che la materia che compone il nostro corpo così come l’energia che lo muove derivi dal cibo e dai liquidi che ingeriamo, metabolicamente associati all’aria che respiriamo. Ma la logica conseguenza di tale affermazione è che equivale a sentenziare: se non mangi cibo del tuo territorio, non sei un siciliano vero. Con buona pace dei sicilianisti che si limitano ad attaccarsi un triscele sulla giacca mentre si stracciano le vesti quando qualcuno proponga di rimuovere, dalle nostre bandiere e stemmi, l’antico simbolo mitologico che condividiamo con l’Isola di Man (assieme alla comune pretesa di aver dato vita al più antico parlamento del mondo).
Da dove proviene il cibo che giunge sulle nostre tavole? Siamo sicuri che sia in prevalenza di origine siciliana? Una maggiore attenzione alla tracciabilità, fortemente osteggiata da logiche mercantili ormai globalizzate, assieme alla miope attenzione al prezzo, senza farsi tante domande sulla provenienza, da parte del consumatore, hanno portato a scoprire come un territorio come quello siciliano, tradizionalmente vocato all’agricoltura e alla pesca, sia stato invaso da prodotti provenienti da tutto il mondo, anche con la fraudolenta denominazione dell’origine siciliana. Olio tunisino, aglio e pomodoro cinese, pesce dell’oceano indiano, arance sudafricane o marocchine, latte brasiliano, uova spagnole ecc. Continua »
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