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martedì 19 nov
  • In vino veritas

    Mentre l’industria del vino esprime il meglio di se stessa nel marketing e nei suoi derivati a Verona in occasione del Vinitaly, fiera che fa dell’opulenza, dell’immagine, di premi ad etichette ed a stand una delle sue principali ragioni d’essere; poco lontano si raccontano un’altra Italia e con questa un’altra Sicilia nel salone del vino naturale VinoVinoVino 2011.

    Sono andato alla giornata di apertura. Il weekend appena trascorso. Il primo impatto è strano, tanti tavolini tutti uguali, un silenzio stranamente piacevole, molta gente ma non troppa. Basta poco per capire che manca tutto quello che fa oggi di un evento un evento, ovvero grafica, comunicazione e chiasso; è piuttosto una fiera di prodotto come oggi non siamo più abituati, c’è dappertutto vino, solo ed esclusivamente vino. Centotrenta produttori che hanno deciso di sposare una regola, un disciplinare semplice e chiaro che non lascia spazio ad equivoci . Fanno vino, in armonia con se stessi e con il territorio di cui sanno di essere custodi preziosi. Vino vero ed antico, come hanno insegnato a fare i nostri nonni. Tra quei tavoli in linea ordinata si respira aria di sostanza, di un mondo e di un futuro possibili, un mondo nel quale questi uomini credono e che cercano di raccontare con il loro lavoro e con il sapore sano del prodotto delle loro terre; si percepisce amore, vero, per i propri territori, e quel rispetto ormai dimenticato dall’industria per chi il frutto di quel lavoro consuma.

    C’è anche la Sicilia, per fortuna, una Sicilia il cui vino lascia in bocca una sensazione di orgoglio nel vederci li così bene rappresentati, aziende piccole e belle. C’è la splendida Arianna Occhipinti di Vittoria, che riesce a trasferire il suo fascino ai vini che produce, parla bene di lei e del Sud-est Passo Nero, un passito di Nero d’Avola che lascia segno nella memoria. Sapevo che avrei incontrato i fratelli Guccione, da anni sono un fan dei loro vini e del loro Cataratto, vini del palermitano come quelli di Porta del Vento di Camporeale ed il suo rosato di Perricone; il trapanese è ottimamente rapppresentato da Barraco di Marsala con il suo Zibibbo secco; ed ancora il Nero d’Avola ma soprattutto i paté di olive (non c’entrano con il vino ma tanto con il territorio) di Tridente Pantalica da Ferla. Del Messinese c’è Bonavita con le sue 5000 bottiglie di rosato; ed ancora Messina e Catania nel consorzio de I Vigneri aziende seguite dall’enologo Salvo Foti importantissimo punto di riferimento per il vino naturale; Catania è ancora presente con l’Etna doc dell’azienda Fattorie Romeo del Castello, che accanto al vino realizza sapone con le vinacce. Ho avuto il piacere di scambiare due parole con Salvatore Ferrandes, mi ha offerto un sorso del suo straordinario passito di Pantelleria, poco perché ne fa poche bottiglie, un uomo calmo e pacato; fa parte del consorzio che organizza questa incredibile manifestazione, una manifestazione che guarda al futuro con lo sguardo di chi sa dove posano le proprie radici.

    Ero andato per curiosità, mi sono innamorato di un modo di concepire il lavoro, la terra, il proprio ruolo nella società. Un giorno vorrò tornare esponendo anche io su un piccolo tavolo senza pubblicità e depliant (io che pure da una vita ho a che fare con marketing e tipografie) un vino, prodotto in armonia, in qualche remoto ettaro di Sicilia recuperato e protetto dal mio lavoro e dalle mie cure. Forse è così che si cambia il mondo. A piccoli passi ben fermi.

    Un sincero grazie ai nostri straordinari conterranei che così bene ci hanno rappresentati ed a quanti sanno concepire il proprio lavoro come occasione per custodire cose preziose per quelli che verranno dopo di noi.

    Ospiti
  • 7 commenti a “In vino veritas”

    1. Il Regno delle due Sicile: quella di chi maltratta i propri tesori come raccontato nel precedente post e di chi la ama come l’autore di quest’altro e degli imprenditori citati. Il bello della Sicilia è che ti offre una parte chiara da cui stare.

    2. Se fosse carta strapperei quello che ho letto. Dici tutto il contrario di quello che serve per l’agricoltura e fai una pubblicità occulta degna delle muratti nei film della muti. Forse non vivi in sicilia e non sai cosa significa fare e consumare il vino.L’agricoltura deve ritornare alle tavole delle famiglie comuni e non illuminare i calici dei borghesi. L’agricoltura non è il sogno nel cassetto del manager disilluso, ma lavoro e sacrificio. Per capirlo, bisognerebbe andare a zappare.

    3. cara, non si trappa mai l’idea di un’altro, neanche se su carta, questo vale per i borghesi e spero valga per i contadini.
      per chiarezza di metodo non è pubblicità, visto che elenco tutte le aziende siciliane presenti alla manifestazione, meno che mai occulta visto che pubblico i link in trasparenza e le aziende stesse neanche mi conosco ne sanno del post, ne sono collegato in qualche modo a dette aziende.

      La mia idea di agricoltura è un po’ più articolata e complessa del banale luogo comune da lei elicitato (tutto può essere lavoro e sacrificio) ma la questione è veramente troppo lunga per liquidarla con qualche aggettivo in risposta su un blog.

    4. E siccome nella vita ho scelto questa professione e di recuperare le tradizioni di famiglia, articoli meglio il suo pensiero, sono interessata a leggere qualcosa di diverso dal suo post. Sulla questione della pubblicità alle aziende, mi sembra che questa risalti abbastanza. Il guaio è che i piccoli come noi che non possono sostenere i costi di comunicazione non trovano spazio nel mondo dell’immagine. Ma non è il mondo del vino, la campagna è un’altra cosa.

    5. Cara,

      dal mio punto di vista l’agricoltura è il centro nevralgico della società, è certamente il pilastro su cui costruire e progettare il futuro.
      Tornare alle tradizioni non basta, è necessario che torni ad essere un lavoro a valore aggiunto affidato alle nuove generazioni, a laureati, gente competente e motivata che sappia comprendere la tradizione ed integrarla con le tecnologie e con il futuro.
      Perchè il lavoro del contadino possa venire remunerato quanto merita e quanto deve, occorre ridurre le intermediazioni e fare si che i margini vadano alle aziende agricole ed agli agricoltori, e non al sistema parassitario degli intermediari (tra i quali inserisco anche la GDO).
      L’agricoltura è un lavoro serio, va fatto credendoci, occorrono competenze, organizzazione, conoscenza delle dinamiche di mercato, voglia di fare rete, capacità di guardare al futuro. L’agricoltore non può permettersi più di essere un semplice contadino affidato all’industria (di fitofarmaci ed affini) deve essere un imprenditore che sappia interpretare il suo ruolo con competenze trasversali.
      Il prodotto è tutto. Il prodotto non basta.

      Questo provano a fare le aziende che ho segnalato, molte hanno raggiunto livelli di eccellenza riconosciuti in tutta Italia ed all’estero. Tutte producono qualità estrema. Tutte tentano di migliorarsi, di non inseguire l’industria ed il mercato.

      Ed effettivamente ho fatto pubblicità, non occulta spero almeno questo vorrà concedermelo, e per renderla meno occulta invito tutti a provare i vini di queste aziende. In realtà comprando questi vini non si compra solamente vino, si sostiene piuttosto un agricoltore che con responsabilità interpreta come parte del suo ruolo la difesa di sapori e paesaggi che ci hanno consegnato i nostri nonni e che dobbiamo consegnare il più possibile intatti e protetti ai nostri figli.

      Nessuna pregiudiziale, sarei disponibile a pubblicizzare anche la sua azienda, lo riterrei quasi un obligo, se la qualità del suo lavoro e dei suoi prodotti fosse (come mi auguro per lei) in armonia con il territorio che li produce e con chi (borghese o manager sfigato che fosse) decidesse di consumarli.

    6. Bravo Giovanni ,
      Credo che molti imprenditori dovrebbero impare molto dalla Tumapersa ,il suo creatore e Totó Passalcqua oggi esporta il 70% della sua produzione nel mondo ed il 30% in Italia , ti dico solo che Corfilac ha provato a riprodurre questo formaggio per diversi anni e mai riusciti . Saluti

      Giovi fatti sentire che ho perso il tuo numero

    7. signor correnti, la tuma persa è un prodotto che arriva secoli prima delle aziende che ha citato. In agricoltura il recupero di antichi prodotti e dei processi produttivi è una cosa normale e sistematica. Il lancio sul mercato è un’altra cosa chiaramente, ma vede la questione che coglie il signor callea riguarda un tipo di agricoltura che in sicilia non esiste perché non vi sono le condizioni. L’agricoltura qui è sostenuta da risorse pubbliche che sempre più spesso sono destinate ai grossi produttori perché hanno maggiore influenza politica. I problemi reali li soffrono i piccoli produttori e per questo non si può parlare sempre dei piccoli da aiutare mentre sono i grandi “a mangiare”. Chi lavora in questo settore sa di cosa parlo. I politici e la gente che scrive dovrebbero dimostrare come avvicinare i prodotti locali alle tavole delle famiglie, senza pensare che “abbiamo l’oro” e che per tale vada venduto. Tutti hanno diritto a bere un buon vino e a mangiare un buon formaggio a tavola, ma non parliamo ne della tuma persa ne di quei vini eccellenti di cui avete parlato, perché la crisi dell’agricoltura non la risolveremo mai così.

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