L'”urgenza” di insegnare il dialetto a scuola
Forse uno dei grandi limiti della politica è il fatto di poter legiferare sostanzialmente su tutto senza necessariamente dover ricorrere ad un dialogo serio con chi con quella legge dovrà confrontarsi e con chi, suo malgrado, dovrà, in qualche modo “subirla”.
Presentata e sostenuta da un politico che si schiera dalla parte dei “leghisti del Sud”, purtroppo l’idea di inserire la cultura dialettale siciliana (storia e letteratura) nei percorsi scolastici rischia di apparire come una trovata di colore, anche per quella ossessione nel rimarcare il “costo zero” per gli orari scolastici e per le casse regionali, quasi che avviare un progetto che abbia un senso (e, naturalmente, un costo che sia giustificato da quel senso) fosse un’azione da deprecare.
E, invece, di per sé, io non trovo affatto disdicevole che a scuola si studi la letteratura dialettale insieme a quella italiana e ci si concentri con maggiore dovizia sui momenti in cui la storia è passata per le nostre stanze. Però non è detto che gli strumenti e le risorse che oggi posseggono la scuola gli insegnanti siano adeguati per farlo. Anzi, senz’altro non lo sono.
Innanzitutto va sgombrato il campo dal fraintendimento che si debba o si possa insegnare il siciliano come una vera e propria lingua: del resto, la cosa pare esclusa dal progetto legislativo, e a ragione. Il siciliano è un dialetto, anzi, è un insieme di dialetti, ancor meglio di parlate. Non vi è, ad oggi, nessuna codificazione ed i pochi, passati, tentativi di ricondurlo ad unità attraverso l’elezione di una varietà (ora il “catanese” ora il “palermitano”) o di ricostruire una presunta koinè regionale, non hanno avuto seguito. Non per questo vuol dire che si tratti di una varietà da disprezzare: chi lo ha detto che una lingua è una cosa bella e buona e un dialetto è il sottoprodotto di una lingua? Un grande linguista ha detto che “una lingua è un dialetto che ha fatto carriera”: è stato un preciso processo storico e culturale che ha fatto sì che il dialetto toscano letterario dei secoli XIII e XIV assumesse un prestigio riconosciuto, tanto da diventare il prototipo dell’italiano. Ed è sulla base di quello, con le sue numerose evoluzioni, che oggi parliamo (o crediamo di parlare) “la lingua di Dante”. Inventarsi di sana pianta una “lingua siciliana” sarebbe un’esperienza simile a quella dell’esperanto. A chi gioverebbe?
Detto questo, tornerei agli strumenti. In classe, finalmente, gli studenti del Meli leggeranno le poesie…del Meli. Buona e sacrosanta cosa (ma siamo sicuri che, prima, non le leggessero proprio?). Si scoprirà che Pirandello ha scritto molto e molto bene (vorrei vedere) in dialetto e che anche Martoglio non era tutto frizzi e lazzi (e peccato che si debba studiare la letteratura dialettale soltanto siciliana: Carlo Porta e Delio Tessa avranno pure scritto in milanese, ma non hanno nulla da invidiare a Parini e Gozzano)!
Chi sceglierà cosa studiare e cosa no? Ognuno potrà selezionare dalla letteratura dialettale ciò che vorrà? E siamo sicuri che questo garantisca la qualità? O verranno creati manuali all’uopo? E scritti da chi e come, visto che i politici non hanno mai coinvolto seriamente gli studiosi siciliani di dialettologia? Chi darà gli strumenti ai docenti per avventurarsi in una, pur minima, analisi linguistica (oltre che stilistica, retorica e, insomma, tutto ciò che sta nelle note dei testi e nei commenti) delle opere che, pure, dovranno spiegare agli alunni? Perché si decide quante ore di lezione alla settimana dovranno essere dedicate all’argomento, ma nulla si dice del fatto che l’insegnamento non è una pratica estemporanea ma il frutto di una riflessione, poi di una pianificazione e soltanto infine di una attuazione?
Ecco che si ritorna al discorso della propaganda, e della più deteriore. Per i modi in cui le cose vengono fatte, non per il fatto che siano fatte. Ad esempio, perché una legge viene approvata, con applausi a destra e a sinistra, in un pomeriggio di maggio in cui le urgenze di Sala d’Ercole avrebbero dovuto essere (ed erano) altre? Perché questa urgenza?
salve. tanto per cominciare non sono d’accordo sul definire dialetto il siciliano. mi sembra davvero paradossale che l’unione europea riconosca il siciliano(con le sue varie differenti parlate:catanese, palermitano,ecc..) come lingua, mentre noi siciliani (chissà perché?) lo definiamo dialetto. Ad avvalorare questa tesi le faccio presente che tuttora, dopo 150 anni, ancora in italia nella lingua parlata (e a volte anche in quella scritta) vi sono evidenti differenze tra le parlate del nord, del sud, ecc.. poi, visto che ha citato Dante, volevo ricordarle che proprio il sommo poeta, padre dell’italiano, prima della stesura della divina commedia, ha letto, studiato, ammirato ed emulato(per non dire copiato), la lingua siciliana scritta e parlata alla corte di federico II nella nostra palermo. poi, perché era urgente questa legge? in questo caso più che lo studio della lingua siciliana, ritengo basilare in questo periodo storico, lo studio della storia della sicilia. ritengo inammissibile che un siciliano non sappia che il nostro medio evo è stato assolutamente diverso da quello italiano; è inammissibile che un siciliano non conosca lo splendore culturale ed economico raggiunto da palermo e da tutta la sicilia durante il periodo svevo; è inammissibile che un siciliano non sappia della rivolta del sette e mezzo scoppiata a palermo 6 anni dopo l’unificazione con l’italia, è inammissibile che un siciliano non venga a conoscenza che, prima dell’unificazione, il nostro popolo non era stato mai costretto ad emigrare dalla sua terra. perché ritengo necessario che si sappia tutto questo? perché non conoscendo il passato della propria terra è impossibile progettarne il futuro.
giuseppe.
p.s.tutto ciò non credo che abbia niente a che vedere col pensiero della lega nord. glielo dice uno che sogna la scomparsa di ogni frontiera per i migranti.
D’accordo con l’esigenza di conoscere la storia siciliana. Sono però sorpreso dal constatare che, nonostante con pacatezza, determinazione e circostanziate riflessioni (cui si potrebbe aggiungere una discreta bibliografia specialistica) abbia cercato di tracciare una demarcazione tra lingua italiana (codificata, almeno perché figlia di una tradizione letteraria unitaria e poi via via per 150 anni di politiche linguistiche fino ad arrivare ai mezzi di comunicazione) e dialetti siciliani (privi innanzitutto di una tipologia linguistica propria ma anche non univocamente codificati, privi di tradizione letteraria univoca…), il siciliano è da Giuseppe considerato una lingua.
Mi aspetto allora che ci metta tutti d’accordo sul nome in lingua siciliana delle bietole (giri, biletti, zzarchi o sèchili?), delle albicocche (pircochi, varcochi o fraccòcoli)? ma anche, ad esempio, sul pronome personale io (i, iu, eu o iò?) e sulla terza persona del verbo essere (è, eni o esti?)… Gli chiedo se, per dire “io vengo” è più lingua siciliana “iu vìagniu” (e come scriverlo, poi?) alla palermitana o “i vignu” alla nissena. E a fare un paragone tra una poesia di Tempio ad una di De Vita, concludendo che “sì, sono scritte nella stessa lingua, soltanto che, essendo scritta duecento anni prima, quella di Tempio registra una fase più arcaica del dialetto”…
E, infine, a dirmi se il siciliano è da lui ritenuto una lingua e il palermitano un dialetto del siciliano. No, perché se il siciliano è una lingua, non vedo perché il palermitano (diverso dal ragusano come una qualsiasi parlata siciliana dall’italiano) non debba esserlo. E se anche il palermitano, a sua volta, è una lingua, anche il “brancaccese” e il “borgonovaro” (differenti tra loro) lo saranno… Fino ad arrivare alla “lingua du zzu Pinu”, che si scriverà una sua grammatica. E potrebbe intitolarla: “La scoperta dell’idioletto”.
Caro giuseppe anch’io considero fondamentale la conoscenza della storia siciliana, ma la definizione dell’autore del post di “dialetto” è scientificamente corretta e che, come ben saprà, del siciliano studiato da Dante nei nostri dialetti non restano che tracce (anche i dialetti si evolvono…).
La prospettiva più interessante mi sembra la decisione prettamente politica di utilizzare il dialetto come collante sociale (anche se il dialetto “siciliano” a sua volta è una miscellanea di dialetti e non una lingua). Sebbene la legge non chiarisca importanti aspetti come i programmi, le ore e i soggetti incaricati, secondo me è positivo che si insegni ai nostri ragazzi un pezzo di letteratura trascurata dai programmi ministeriali e dunque anche un po’ di storia e di tradizioni della nostra regione.
Sì sì il dialetto va bene.. ma prima, bisogna che gli studenti imparino bene l’italiano. Che a giudicare da quello che si vede, anzi che si legge, è piuttosto carente in buona parte della popolazione scolastica.
“La lingua siciliana si deve ritenere una Lingua Regionale o minoritaria ai sensi della Carta europea per le lingue regionali e minoritarie, che all’Art. 1 afferma che per “lingue regionali o minoritarie si intendono le lingue … che non sono dialetti della lingua ufficiale dello stato”. La “Carta Europea delle Lingue Regionali o minoritarie” è stata approvata il il 25 giugno 1992 ed è entrata in vigore il 1 marzo 1998. L’Italia ha firmato tale Carta il 27 giugno 2000 ma non l’ha ancora ratificata…” questo, per essere più preciso e, mi creda, senza nessun tipo di acredine nei suoi confronti, diciamo per puro spirito di verità. poi per rispondere alla sua domanda se sia più giusto per esempio utilizzare “io”; “iu”, ecc.. come pronome personale di prima persona singolare, le lascio pensare che lo stesso identico problema si sono dovuti porre gli studiosi quando l’italiano è diventato la lingua ufficiale dello stato italiano.non le voglio qui elencare le varie diatribe che sono sorte a quei tempi tra i manzoniani e le altre svariate correnti di pensiero(tra le quali quella a cui ha aderito giovanni verga, per esempio), glielo lascio solo immaginare. ribadisco, tutto questo solo perché credo che dalla conoscenza del proprio passato si possano costruire le basi per un futuro felice e dignitoso.
giuseppe.
A me tutta questa vicenda sembra la scoperta dell’acqua calda e nasce sicuramente dalla disinformazione. Per quanto mi risulta moltissime scuole siciliane inseriscono nel proprio POF gli argomenti legati alla conoscenza del patrimonio culturale siciliano materiale e immateriale, storia e dialetto compresi. Il problema sta nella formazione dgli insegnanti, ai quali dovrebbero essere forniti opportuni strumenti. E di questi tempi è difficile che ciò avvenga. Sarebbe stato opportuno prevedere in bilancio qualche Euro, non moltissimi, per l’organizzazione di corsi di aggiornamento, tanto per cominciare.
Sono d’accordo con Lucia: diplomati e laureati
se ne incontrano con i loro errori di grammatica
e di sintassi
Condivido sotto ogni profilo quanto scritto da Giuseppe. La tutela linguistica è un valore che in Italia è stato volutamente omessso per il famoso principio “fatta l’Italia occorre fare gli italiani”.
In Spagna vi sono esempi di mantenimento della cultura linguistica regionale e non mi pare che abbiano portato a risultati negativi.
Va, però, riconosciuto che a fronte della bontà dell’idea, come sempre accade in Italia, la realizzazione pratica sarà ben lungi da una buona riuscita. “‘Birica a tutti”
Primo: che a scuola si insegni come regola un italiano corretto per pronuncia (in italiano corretto esistono 7 vocali).
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Secondo: si insegni la consecutio temporum e nella fattispecie si insegni l’uso del congiuntivo.
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Terzo: uso corretto delle preposizioni.
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Quarto: conoscere verbi transitivi e intransitivi e usarli correttamente.
Poi va bene il siciliano e qualsiasi altra lingua/dialetto/vernacolo.
non sono d’accordo con l’insegnamento del siciliano a scuola.
comunque sono laureato in lettere con una tesi in Linguistica e posso affermare con certezza che IL SICILIANO è UNA LINGUA, NON UN DIALETTO!!!
anch’io sono dell’idea che il siciliano sia una lingua e così la pensano anche la maggior parte dei linguisti. che dire ancora?
il siciliano è una lingua ma fino a quando l’Italia non la riconoscerà ufficialmente, resterà dialetto. Il siciliano standard si dovrebbe fare e non sarebbe affatto come l’ ESPERANTO! Anche l’italiano standard esiste ma non è MAI parlato in NESSUNA zona d’italia, poichè esiste solo nelle grammatiche.
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BELGIO = Fiammingo, francese
CATALOGNA = Catalano, spagnolo
IRLANDA = Gaelico, inglese
SICILIA = ? smettete di pensare che studiare il dialetto sia una cosa superficiale e irrisoria, anzi se fatta bene può risollevare le sorti di un paese dando maggiore coscienza e dignità a una comunità
Perchè si discute tanto se il siciliano è un dialetto o una lingua? Il termine “dialetto”non è dispregiativo,ma ha la stessa origine greca di”dialettica”(arte dell’argomentare e del conversare)e designa un”sistema linguistico di ambito geografico limitato”;il siciliano,come altri dialetti( o lingue locali)deriva dal latino,è stato influenzato da altre lingue,si è modificato nel tempo e nello spazio(come tutte le lingue),è stato usato non solo dal popolo ma anche da illustri letterati.Precisato ciò, condivido quanto detto da Michele Burgio :è importante la conoscenza della cultura siciliana(e già molte scuole operavano in tal senso)ma non mi piace e mi lascia perplessa questa imposizione “ope legis”
A parte l’ottimo post di Giuseppe, quanta disiformazione e, di conseguenza, quanta ignoranza. Innanzitutto la famosa frase corretta è: “una lingua è un dialetto con un esercito e una marina”. Fu il linguista yiddish Max Weinreich a pronunciarla, disse, dopo averla ascoltata da un suo allievo. E questa frase significa che, nell’uso “ufficiale”, a un idioma si dà la patente di “lingua” soltanto dopo che si è potuta imporre per via politica. Ma chi dà la patente di “lingua”? La politica, evidentemente… E quindi si tratta di una mera petizione di principio senza alcun senso logico. A livello scientifico e linguistico, infatti, non c’è assolutamente alcuna differenza tra “lingua” e “dialetto”. Il termine “dialetto”, oggi, nell’uso comune ha invece purtroppo quasi esclusivamente valenza negativa, di discriminazione, di lingua “di serie B”. Ed è quindi inaccettabile, stante anche l’orientamento giuridico internazionale a tutela delle minoranze linguistiche. La lingua siciliana – appunto – è infatti riconosciuta come tale dall’Unesco nell’Atlante delle Lingue in Pericolo. Ciò significa che le Nazioni Unite chiedono allo Stato italiano la sua tutela, in nome del diritto dei popoli alla propria diversità culturale e alla propria lingua madre. La Carta europea delle Lingue Regionali o minoritarie, trattato internazionale (già firmato dall’italia nel 2001 e tuttora in attesa di ratifica) IMPONE l’insegnamento scolastico delle lingue sottoposte a tutela. Piaccia o non piaccia: è un diritto in più che aggiunge qualcosa e non toglie a nessuno. Anzi. Però vedo che tutti sono europeisti a parole, ma quando dall’Europa dei diritti arrivano regole, tutti fanno finta di nulla. La Regione Siciliana, così come la Regione Piemonte (che ha attiva una legge bipartisan per l’insegnamento della lingua piemontese già dal 1997, grazie alla quale sono state condotte sperimentazioni didattiche in centinaia di classi delle scuole di ogni ordine e grado) non fa altro che anticipare il preciso dovere dello stato italiano di mettersi al passo con la civiltà. Non è assolutamente vero, poi che una “lingua”, perché sia tale, debba avere per forza una forma standard. Forse la lingua maya ce l’ha? Per rimanere in Europa e vicino a noi (anche nei territori dello stato italiano), le lingue d’oc e walser – già riconosciute come LINGUE dallo stesso stato italiano con la legge 482/99 – non hanno affatto varianti standard. E’ altresì vero che, una volta riconosciuta e ufficializzata una lingua regionale o minoritaria, è praticamente d’obbligo che, per gli usi amministrativi (lo ricordo ancora: è il Consiglio d’Europa a chiederlo nella “Carta” citata) si debba impostare una “lingua regionale sovrdialettale”. Che però, attenzione agli equivoci in amala fede, non si sostituirà affatto alle parlate comunemente impiegate nei territori all’interno delle Regioni, ma al contrario si porrà nei loro confronti come “lingua guida” al posto dell’italiano, mantenendoli in vita e rivitalizzandoli. Da essi prenderà infatti vocaboli antichi e fornirà ad essi i vocaboli nuovi nececssari perché una lingua sia sempre attuale. Proprio come in Catalunya, Galles, Frisia. Nulla di nuovo. Perché loro sì e i siciliani (e i piemontesi, i veneti, i lombardi, i salentini eccetera) no? Perché questo razzismo continuo che spesso ci “promuoviamo addosso” da soli?
Chi volesse poi conoscere come è stata conciliata la dialettica tra variante locale e lingua regionale, come è stata impostata e sviluppata la didattica, come sono stati formati gli insegnanti, quali sono stati gli esiti della sperimentazione – dalla quale è emerso che i migliori allievi sono di solito gli immigrati extracomunitari, altro che escluderli, il progetto serve per integrarli meglio!!!!) si documenti sul “caso” piemontese. Se la stampa ufficiale non ne parla, non per questo non esiste. Anzi. Sono a disposizione per qualunque ulteriore chiarimento.
Gioann March Pòlli
Cari Ales e Lupin,
anche a me è “capitato” di laurearmi in linguistica (sto ultimando un Dottorato in Dialettologia Italiana, disciplina che esiste perché esistono i dialetti) e posso garantire che fra i numerosi linguisti (e dialettologi, giacché chi studia anche i DIALETTI è un dialettologo)che ho avuto modo di conoscere, ascoltare e da cui ho imparato quello che faccio, l’idea di una lingua siciliana non l’ho mai sentita.
Detto questo, basta con la diatriba lingua / dialetto (mi sono espresso molto chiaramente sulla scorta per lo meno di quanto scritto in G. Ruffino, Sicilia, Laterza; Grassi-Sobrero-Telmon, Fondamenti di dialettologia italiana; Cortelazzo (et alii) I dialetti italiani, UTET).
Quello che mi premeva sottolineare era che la politica dovrebbe evitare di servirsi di un patrimonio prezioso come il bagaglio culturale siciliano per fare propaganda, senza riflettere seriamente su quanto vale, quel patrimonio….
@Michele Burgio: è perfettamente normale che i linguisti appartenenti alle università italiane seguano l’orientamento politico delle università italiane, a suo tempo “dettato” dalla triade De Mauro / Pellegrini / Pizzorusso. Ben altro orientamento vige a livello internazionale, dove docenti e ricercatori sono liberi di inseguire la scienza e non i dettati della politica. Ecco qualche esempio:
http://www.phon.ucl.ac.uk/home/marco/lingRights/diritti%20ling-snipppet-final.pdf
http://www.phon.ucl.ac.uk/home/marco/lingRights/piano-azione-finale.pdf
https://www.facebook.com/lingue.dialetti#!/home.php?sk=group_181723511840962&view=doc&id=190196180993695
Vi sono altri docenti (il professor Sergio Maria Gilardino, università MgGill di Montréal è sicuramente la figura più importante) che smontano pezzo per pezzo le tesi – asservita alla politica italiana – dell’accademia italiana. Però la domanda resta: se non ci pensa la politica a salvaguardare un patrimonio linguistico istituzionalizzandolo e rimettendolo in circolazione nella società civile, come richiesto da Onu e Consiglio d’Europa, chi di deve pensare?
Gioann March Pòlli
E no! Proprio non ci sto!Che domanda è “Chi-ci-deve—-pensare?” posta da da G. M. Pòlli. Prima di tutto ci pensa chi ha a cuore se stesso e le sue molte identità: gratuitamente disinteressatamente, con costanza e perseveranza nell’attesa che si formi la sequela di quelli più giovani a garantire la continuità, altrimenti la storia finisce in una lingua MORTA!
@Giovanni Marco Polli: Sorvolando sulle questioni accademiche, inconciliabili perché sottili come i fili i stiènniri (per usare il dialetto palermitano -pardòn, la lingua siciliana o qualcosa di simile) e facili ad ingarbugliarsi, provo a rispondere alla sua domanda:
(cito) “Se non ci pensa la politica a salvaguardare un patrimonio linguistico istituzionalizzandolo e rimettendolo in circolazione nella società civile, come richiesto da Onu e Consiglio d’Europa, chi di deve pensare?”
Sottolineo: “istituzionalizzandolo e rimettendolo in circolazione”
Ecco, io non credo che si possa “rimettere in circolazione una lingua”. La lingua (o il dialetto) va dove vuole. Osservando, possiamo provare ad immaginare come parleremo tra cento anni. E sono sicuro che non ci azzeccheremo.
PS: Domanda mia, da un milione di dollari: Se mi firmassi Micheli Bburgiu sarei più Michele Burgio di quanto non sia già o di quanto non lo fossero stati mio nonno e suo nonno?
La frase che dico io è di Gaetano Berruto… Jeeze, informatevi, però!
Ciao, non sono un linguista, ma un semplice appassionato di lingue locali. Sono d’accordo sul fatto che la politica DEVE prendersi carico dell’argomento e dettare regole. La scuola deve darsi spazio all’insegnamento di cultura/storia/lingua locali.
Sul sito dell’Unesco per esempio c’è un interessante articolo che spiega che la sopravvivenza di una lingua passa anche attraverso i mezzi d’informazione. Allora perchè non pensare anche a radio e tv in lingua locale? Se stessimo parlando di Catalunya, Frisia, Irlanda, Scozia, ecc. i bravi studenti universitari non si scandalizzerebbero, anzi parlarebbero di democrazia, ma se uno parla di Sicilia, Lombardia, Veneto, ecc, questi viene tacciato con l’accusa di ignoranza e provincialismo e molti altri aggettivi dispregiativi.
Ebbene personalmente sono stanco e indignato da questo atteggiamento.
Io pretendo che la mia terra e la mia cultura siano rispettate come le altre regioni d’Europa e del Mondo. Voglio che la mia lingua sia difesa come qualsiasi altra a scuola, negli uffici pubblici e in tv. Invidio i siciliani: è stato fatto un importante passo in questa direzione, spero che venga presto fatto qualcosa anche nelle altre regioni.
Non dirò da dove scrivo, perchè ogni regione deve avere piena dignità e rispetto e lo Stato dovrebbe modestamente lasciare spazio alle iniziative dei propri cittadini.
Il punto è uno solo, senza troppi giri di parole. Anzi, due: uno giuridico e uno morale. Quello giuridico: i trattati internazionali (quale la Carta europea) vincolano gli stati alla loro applicazione. Le raccomandazioni delle Nazioni Unite e dei suoi organi (di cui l’Unesco è quello che si occupa di cultura) si rivolgono agli Stati membri. Gli Stati hanno un governo ed un parlamento. Il governo ed il parlamento (centrali o regionali) sono organi politici. Quindi chi deve pensare ad applicare gli obblighi derivanti da un trattato internazionale? Si dia una risposta giuridica ad un quesito giuridico.
Il punto morale. E’ assolutamente falso che non si possa “rimettere in circolazione” una lingua. E’ accaduto con grande successo in Catalunya, in Frisia, sta accadendo in Euskadi e in Galles. Per non parlare dell’ebraico di Israele. E’ invece assolutamente vero e dimostrato che si “può togliere dalla circolazione” una lingua, e questo avviene in due modi. O con la proibizione diretta (tre casi: sotto il fascismo nello Stato italiano contro “i dialetti”. Sotto Franco nel Regno di Spagna. In Turchia con la lingua kurda). Oppure – procedimento molto più sottile e infido – con l’instillazione, nei locutori, della vergogna della propria lingua madre. Attraverso la scuola, le istituzioni amministrative, la televisione, il servizio militare. Bene, nel cammino di civiltà che l’umanità in parte sta compiendo, si denuncia la soppressione delle lingue (si legga il bellissimo e tragico “Voci dal Silenzio. Come muoiono le lingue e perché” di Nettle e Romaine) come genocidio culturale. Le Nazioni Unite chiedono agli Stati di interromperlo e di invertire la rotta, adottando adeguate politiche di sostegno attivo, che deve passare da scuola, televisione, pubblica amministrazione e promozione dell’utilità anche economica dell’identità linguistica territoriale. Ed è perfettamente morale e sacrosanto che chi ha tentato di compiere la strage di lingue e culture (e c’è quasi riuscito) ora venga obbligato a rimediare. Le assicuro che là dove “la politica” ci crede, come in Galles, in Catalunya o in Frisia, i risultati sono eccellenti o almeno molto incoraggianti. Salvare la biodiversità e la diversità delle culture umane è un imperativo. Oppure preferirebbe un mondo dove tutti parlano uguale, mangiano uguale, vestono uguale, pensano uguale e votano uguale?
Gioann March Pòlli (il nome che lei ha usato per chiamarmi è quello anagrafico. Roba di burocrazia. Quello vero mio è quello che uso per firmarmi. Questione di sentimenti e di anima).
@Luz: se ci si dovesse basare SOLTANTO sulla volonta dei locutori e non ANCHE delle istituzioni che le combattono, le nostre lingue moriranno nel giro di venti/trent’anni. Qualcuna prima, qualcuna dopo. Una tutela istituzionale attiva è indispensabile. Senza di essa non varrebbe la volontà di un popolo intero. Ma se il popolo intero avesse questa volontà, la trasmetterebbe immediatamente ai suoi rappresentanti politici. E vedo con grandissimo piacere che TUTTI i rappresentanti politici del popolo siciliano l’hanno fatto (e lo stesso è stato per la lingua piemontese nel ’97, ’99 e 2009, nonché quasi per la veneta nel 2007).
Gioann March Pòlli
Lei forse non vuole capire. il palermitano, il catanese, il trapanese, ecc.. sono varianti, “parlate”, della stessa lingua, la lingua siciliana per l’appunto. quindi, se vuole, può continuare a scherzarci su facendo finta di non capire, oppure può accettare questo dato di fatto. decida lei. per essere ancora più chiari, persino le “parlate” del salento, o di alcune parti della calabria, sono riconducibili alla lingua siciliana. a me la cosa che fa ribollire il sangue, mi creda,è che siamo proprio noi siciliani a sminuire la nostra lingua, e il nostro bagaglio storico\artistico\culturale. fino a quando lo fa qualcuno che non è di questa terra(e non so se ci ha fatto caso, ma lo fanno molto bene) ci può anche stare, lo capisco razionalmente, ma quando lo fa un siciliano, non riesco a capacitarmi. cos’è? una specie di masochismo del quale non possiamo più fare a meno? detto questo, ci tengo a dire che, personalmente, sono d’accordo con chi ha detto che devono essere le istituzioni a salvaguardare questo patrimonio linguistico\culturale. l’ultima cosa: micheli burgiu sarebbe più giusto di michele burgio. visto che burgio, il suo cognome(!), è “l’italianizzazione” di burgiu, che in siciliano significa:”quantità di materia ammassata, massa, ma dicesi propriamente di biade,paglia, grano e simili”. è il vocabolario siciliano-italiano del Mortillaro a dirlo, non sono io. ma forse a lei questo non interessa. vede, stranamente sono più interessato io al suo cognome che lei. molto strano. tutto questo, soltanto perché amo a dismisura la mia e la sua terra.
giuseppe.
@Giuseppe: mal comune, mezzo gaudio. Anche da noi al Nord (io in Piemonte, per essere preciso) in troppi disprezzano ancora la propria lingua e non ne comprendono il valore potenziale anche dal punto di vista potenzialmente economico. Paradossalmente, nei corsi scolastici di piemontese, i più interessati ed i più bravi sono proprio i figli degli immigrati. E io ho sempre sostenuto che un tunisino o un rumeno che amano il piemontese e lo vogliono imparare sono “molto più piemontesi” dei piemontesi che lo disprezzano.
Gioann March Pòlli
andatevi a studiare l’INGLESE
e forse anche il CINESE
Cari Giuseppe e Giovanni Marco -si rassegni, signor Polli, fin quando non riuscirete a farvi la vostra Padania felice, dovrà tenersi il suo nome-,
giacché continuate ad accozzare fantasie metodologiche, a negare ogni mia competenza in proposito ed a provocarmi più riso che indignazione con precisazioni per me banali -sul “dialetto con un esercito ed una marina”, sul mio cognome, lo so che cosa significa Burgio, è un arabismo e bla bla bla-, preferisco evitare contro-risposte.
PS. Mi permetto solo di consigliare a Giuseppe di lasciar perdere il Mortillaro, è un repertorio Ottocentesco superato. Fra il 1977 ed il 2003 il Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani ha pubblicato un bel vocabolario, in 5 volumi, che tiene conto di orientamenti lessicografici più moderni. Se volesse acquistarne una copia, mi contatti.
Questa iniziativa non ha nulla, e sottolineo nulla, di culturale. E’ un’iniziativa puramente POLITICA che prepara il terreno e il futuro elettorato di partiti localisti. Ne otterranno una generazione ancora più provinciale che, più che all’Europa e al mondo, presterà attenzione a leghe sud e partiti borbonici. Partiti che stanno lavorando per aumentare consensi e prospereranno non appena il federalismo diverrà realtà. Tutto a detrimento della terra che governeranno.
A mia mi pari ca finimu a “turri di Babele”.E’chistu chi vulemu?Nun è megghiu chi continuamu a parrari u sicilianu ‘n famigghia e cu l’amici e ‘mparamu beni “l’italiano,l’inglese ecc.” pi farini capiri puru da l’autri?(dialetto dei Nebrodi)
@Laura Non capisco come con tutte le sue competenze (spero non millantate) possa ancora avere il coraggio di bestemmiare in questo modo, lei e altri suoi concittadini che hanno commentato. Mi spiega in base a cosa l’UNESCO parlerebbe di “lingua siciliana” se questa fosse un dialetto? Non è allora che forse si confonde, come al solito, il significato LINGUISTICO con quello POLITICO? Ovviamente il Siciliano non sarà mai una lingua finché nessun ente politico la riconoscerà come tale, ma ciò non le toglie il suo status di lingua scientificamente parlando! O vorrebbe forse dirmi che si tratta di un dialetto della lingua italiana? Un’ultima cosa: le battutine sulla Padania se le tenga per lei. Qui nessuno sta facendo politica – o meglio – partitica. Non ho nessuna vergogna a dirle che a neppure 18 anni sono uno dei pochi ragazzi genovesi che ancora parla e scrive il proprio “dialetto”. Con ciò, non mi ritengo “padano” né nulla di simile, ma sono fiero e contento (sì, contento) di conservare la mia cultura locale, di essere ligure, di essere genovese, senza che questo mi impedisca di rapportarmi con le altre culture, anzi, tutt’altro. Mi fate vomitare voi che rapportate ogni cosa alla partitica, non si può muovere una foglia che senz’altro è colpa di Berlusconi, oppure di Bossi, o magari dei centri sociali o, perché no, dei comunisti bolscevichi. Quando la pianterete di categorizzare qualsiasi fatto, a prescindere dalla sua bontà o meno, forse sarà il primo passo per lasciarci un mondo migliore, o meglio, un po’ meno peggiore di quanto non sia già. Buona serata
Mi professo d’accordo con la visione generale di Ale,senza tuttavia entrare nella questione sollevata dal gentmo Canessa
@luzsqada, @lilipi: è storicamente provato che una lingua senza essere insegnata alle nuove generazioni tende a scomparire, non solo a diventare lingua morta, ma a diventare lingua senza prestigio, con conseguente riduzione del numero di parlanti e la perdita di vocabol ed espressioni (non è uguale all’evoluzione naturale di una lingua)
–
E smettete di pensare che studiare il siciliano sia dannoso per lo studio di inglese o cinese…si possono fare entrambe le cose, il problema non è solo quanto tempo si dedica, ma COME e con che qualità vengono insegnate! io parlo 5 lingue e il siciliano proprio non lo so!
Non c’è pericolo Niria! in certe zone di Palermo semmai sta scomparendo l’uso dell’italiano 🙂
x ale. e anche se fosse? il problema è capire cosa vogliono fare questi partiti “localisti” o del sud che dir si voglia. siamo nel periodo storico in cui i vecchi partiti ideologici sono morti. se lei va a vedere la storia politica di questi 150 anni si accorgerà che dall’unità d’italia in poi, la sicilia(a parte brevi periodi) fondamentalmente è stata consegnata alla mafia da qualsiasi partito politico andato al potere(e per mafia non intendo il ragazzino che spaccia, ma quella cerchia di famiglie alto borghesi siciliane che sfruttano la povertà della gente attraverso la criminalità organizzata). sono stati due i momenti storici in cui la mafia ha accresciuto il suo potere in sicilia:l’unificazione d’italia(guarda caso) e la fine della seconda guerra mondiale. le cito questi due momenti storici in modo tale che lei stessa possa provvedere a fare le dovute considerazioni. in fine, non penso affatto che guardare al “locale” sia un guardare al passato. siamo in europa, c’è l’europa unita, la valenza politica che hanno avuto gli stati nazionali sorti nell’ottocento(italia compresa) in teoria dovrebbe andare ad affievolirsi sempre di più. in questo senso non credo che pensare al “locale”, nel nostro caso alla sicilia, sia fare dietrologia, ma semmai provare a lanciare uno sguardo verso il futuro. un’ultima piccola considerazione:in europa si parla inglese, non italiano. quindi in teoria (è solo una provocazione o forse no) io in questo momento potrei tranquillamente parlare sicilianu e English, ed essere capito in tutto il mondo. altro che isolamento!
L’introduzione del siciliano nei programmi scolastici è un atto dovuto di grande importanza culturale e sociale. Spero solo sia condotto bene, non insegnando la grammatica del “siciliano astratto” ma incoraggiando l’uso veicolare della lingua accanto a quella nazionale così come accade in Catalogna e in Galles.
A chi critica che la conoscenza dell’italiano ne risentirà ricordo che imparare una lingua non significa dimenticarne un’altra o utilizzarla peggio. Anzi, ora che sarà meglio definito il confine tra siciliano e italiano si potranno meglio categorizzare e quindi correggere da una parte e dall’altra i sicilianismi e gli italianismi. Poi non credo che non si debba pretendere da tutti gli studenti un livello di correttezza da accademici della Crusca: la cultura è sempre stata d’élite. Poi, basta andare in Francia (paese rigidamente monolingue…) per rendersi conto di come i nostri studenti scrivano come letterati a confronto.
Vorrei a questo punto porre una domanda al signor Burgio.
Lei è laureato in linguistica ed ha un dottorato in dialettologia. Non capisco come possa rimanere indifferente, anzi velatamente ostile, a questo provvedimento.
Uno zoologo che vedesse programmi riproduttivi per una specie in pericolo di cui si occupa farebbe i salti di gioia. Il dialettologo che commenta un’iniziativa a salvaguardia del proprio “dialetto” invece sembra persino dispiaciuto. Come mai? Se non si farà nulla per conservare i “dialetti” tra un paio di decenni i dialettologi saranno tutti senza lavoro! Dovreste essere grati a chi porta avanti iniziative di questo tipo, invece pare che il vostro obiettivo sia quello di catalogare fenomeni linguistici, lavoro molto interessante ma fine a se stesso.
uno parla cinque lingue e pensa che tutti siano in grado di imparare 5 lingue senza fare confusione.
Perche’ non fate un sondaggio e
vediamo quanti oggi sono in grado di parlare 2,
3,4,oppure 5 lingue?.
.
L’altro ieri si e’ presentata in TV una tizia
che in 20 anni ha cambiato 6 partner’s,
anche sposandone un paio.Quante donne pensate ci siano al mondo che possono cambiare 6 partner’s
(solo quelli presentabili,secondo me) in 20 anni?
.
E’ venuto da me un tecnico di una grande casa italiana per un malfunzionamento del mio
computer,ed e’ andato via senza risolvere un bel nulla in quanto,detto da lui,i menu’ erano scritti in inglese.Chi si fa carico di tradurre i menu’ in siciliano?
@Laura: perbacco, vedo che le Sue competenze sono talmente vaste che si può permettere di chiamare “fantasie metodologiche” i contributi scientifici (alcuni dei quali linkati qui sopra) di altri suoi “colleghi”. I quali, però, hanno la grande fortuna di essere stati o di essere tuttora titolari di cattedre universitarie ben al di fuori di quel “piccolo mondo antico” di questa italietta patria del provincialismo più banale. Già, qui dove la “Scienza” china sempre il capo alla “Politica”. Le idee di Mussolini sono ancora ben vive, a quanto pare. Constato anche che le Sue competenze la portano ad irridere e a sentirSi superiore ai linguisti dell’Unesco, compilatori dell’Atlante delle Lingue in Pericolo ed organizzatori – ma questo, considerate le Sue competenze lo saprà senza alcun dubbio – della Giornata Internazionale della Lingua Madre che si tiene ogni anno il 21 febbraio. Le faccio i miei complimenti e ammetto di invidarLe la Sua autostima. Ma anche no.
Mi duole però comunicarLe che, associando il mio nome vero in lingua piemontese a quella che lei ha chiamato “Padania Felix” ha commesso un errore storico marchiano che non Le si addice. Perché dall’alto delle Sue competenze in “dialettologia” (dal momento che Lei considera un “dialetto” la Lingua piemontese – che invece è considerata LINGUA a Parigi, Buenos Aires dove viene addirittura tutelata quella dei piemontesi emigrati – Montreal, Bangor, Galles) dobrebbe ben conoscere la figura di Pinin Pacòt. Scrittore, poeta e letterato “alto” che scelse il piemontese come lingua d’arte, Pacòt nel 1927 fondò la Companìa dij Brandé. E, da allora ma anche prima, ogni piemontese che si riconosce nei suoi valori storici e culturali preferisce firmarsi con il suo nome VERO. E se l’anagrafe dello Stato italiano, sulla scorta di leggi fasciste che a quanto sembra tuttora vengono venerate, continua ad impedire l’iscrizione di nomi in lingua locale, questo non toglie nulla alla realtà che è fatta di persone e non di norme ottuse. Ma non c’è anima che possa essere fermata da un foglietto della burocrazia di Stato. Se Lei preferisce obbedire alla burocrazia di Stato piuttosto che alla Sua anima, è un problema Suo. Ma non cerchi nemmeno di insegnare a chi si sente libero le presunte virtù dell’essere schiavo.
E poi, ancora una volta, lasci stare la Padania, che qui centra come u pani ca meusa a colazione. Oggi, con questa legge che vi siete dati tramite i vostri rappresentanti all’Ars, la splendida Sicilia è molto più avanzata della Lombardia nel recepire le indicazioni internazionali. Se ne faccia una ragione: la tutela delle lingue regionali o minoritarie, che – accresca ulteriormente le Sue già vaste competenze, si legga anche la Carta stilata dal Consiglio d’Europa – è un preciso obbligo internazionale. Ed anche l’italietta, che riesce ancora ad essere fiera del suo provincialismo, prima o poi dovrà chinare il capo.
Pensi un po’ che la stessa Francia, modello assoluto di centralismo che “fece scuola” pessima anche a chi volle lo Stato italiano come lo conosciamo, ha una legge (la Dubray) per l’insegnamento scolastico delle lingue regionali, le ha un paio di anni fa inserite nella COSTITUZIONE come “patrimonio della nazione” e, poco tempo fa, all’unanimità (Le dice qualcosa?) ha votato in senato l’OBBLIGO di cartellonistica stradale bilingue con il nome delle città non soltanto in francese ma anche in lingua regionale. Lasci perdere le nostalgie ottocentesche di chi predicava “una d’arme, di lingua” eccetera, e guardi al di fuori di questo orticello rinsecchito: il mondo è cambiato, e tutelare attivamente le differenze linguistiche e culturali, oltre che essere un obbligo giuridico, è anche l’unica possibilità che abbiamo per non diventare tutti uguali, tutti omologati, perfetti robot al servizio di chi ci vorrebbe non più donne e uomini, ma pezzi di carne da comandare a piacimento.
Gioann March Pòlli
@Giorgio: è vero, non è cosa da tutti parlare 5 lingue, ma le dirò di più. Io sono straconvinto che se ai tempi che furono si fosse insegnato a scuola l’italiano accanto al dialetto, senza cioè demonizzare quella che per tutti era ancora la lingua madre, probabilmente oggi avremmo un italiano standard senza regionalismi e tanti “dialetti” senza italianismi. Questo perché mettendo allo stesso piano lingua nazionale e lingua locale probabilmente si sarebbe abbassato il tasso di confusione tra le due, fino, a mio avviso, a scomparire del tutto, generando un sistema bilinguistico di cui avremmo potuto vantarci nel mondo intero. Mi potreste dire: “che senso avrebbe avuto insegnare una lingua che ognuno parlava a casa propria?”. E io vi dico: che senso ha oggi insegnare l’italiano quando per la maggior parte dei bambini è la lingua madre? E se anche non fosse la lingua madre, sicuramente tutti lo apprenderebbero dai media, così come è stato anche negli anni addietro. Per questo dovremmo sopprimere l’italiano nelle scuole? Non credete allora che sia una forma di vile razzismo passare alle generazioni future un patrimonio letterario che si definisce “italiano” quando invece è decurtato di una fetta immensa di produzione in lingua “regionale” (cioè non toscana)? Ecco, sondate le vostre eccelse “competenze” e vogliate illuminare me, povero ignorante in questo mondo di culturisti della mente, sulle questioni che vi ho posto
@Michele Ghirardelli: nel mio post non mi dico affatto contrario alla trasmissione di saperi legati alla cultura dialettale, non solo siciliana. Mi tocca citarmi, a così poca distanza: “di per sé, io non trovo affatto disdicevole che a scuola si studi la letteratura dialettale insieme a quella italiana e ci si concentri con maggiore dovizia sui momenti in cui la storia è passata per le nostre stanze”.
Di conseguenza, la sua domanda ha già una risposta.
Se la Regione investisse su uno o più progetti di ricerca, affidandoli a coloro che si occupano del dialetto da una prospettiva seria di studio (non necessariamente accademici, ma neanche politicanti che piegano ogni parola al loro credo secessionista) e promuovesse lo studio dei fenomeni linguistici a tutti i livelli dell’istruzione, farebbe una cosa buona e giusta.
Quello che nessuno si è chiesto, e che mi dà il senso di non essermi riuscito ad esprimere bene è se c’è una risposta almeno a queste domande:
– perché approvare in fretta e furia il testo senza coinvolgere i dialettologi (non me, che non lo sono ancora e forse non lo sarò mai, ma il fior fiore dei filologi e dei linguisti siciliani)?
– perché sbandierare il “costo zero”? Se credi in una cosa, ci investi su!
@Michele Burgio: se permetti rispondo io alle tue due domande. 1) Insegnare una lingua regionale a scuola è una scelta politica, e chi ha il compito di governare detta “le cose da fare” agli scienziati, non viceversa. Anche perché, purtoppo, tranne rare eccezioni, linguisti e “dialettologi” formatisi in Italia sono aprioristicamente contrari all’insegnamento scolastico delle lingue locali in quanto sono stati coltivati nella falsa convinzione che siano “dialetti da studiare come reperti del passato”, non lingue vive per cui sviluppare una didattica moderna al pari di tutte le altre. D’altra parte, è stata proprio la politica a dettare questi ordini alla linguistica. Ho già dimostrato che dove la linguistica è cosa seria, cioè all’estero, questo preconcetto non vale. 2) Il “costo zero” – purtoppo – è da sbandierare fino a quando non passerà nell’opinione pubblica (da Nord a Sud) il concetto per cui una lingua regionale è anche un valore in prospettiva economico. In tempi di grave crisi come questa sarebbe difficile giustificare nuovi capitoli di spesa.
Gioann March Pòlli
1- “chi ha il compito di governare detta “le cose da fare” agli scienziati” Potrebbe essere uno slogan affascinante per un dittatore.
1- “Dialetti da studiare come reperti del passato”? Ho pubblicato dodici contributi scientifici, a vario titolo. Almeno un paio li trova in qualsiasi biblioteca fornita. (l’ultimo numero della Rivista Italiana di Onomastica di sicuro). La sfido a trovare una mia sola affermazione in proposito: l’approccio sincronico è prerogativa dei dialettologi, da sempre (anche qui la sfido a trovare una frase in questa direzione nei testi dei miei maestri: Giovanni Ruffino e Tullio Telmon, per citarne due);
2- “Sarebbe difficile giustificare nuovi capitoli di spesa”… Altro slogan: questo va bene per Tremonti. Ci si potrebbe fare un panino: Divina Commedia e Dialettologia. Dante ne sarebbe orgoglioso.
per me studiare i dialetti e’ tempo perso.
State perdendo tempo prezioso.
Al massimo terrei in piedi una classe con un centinaio di persone,tanto per conservare la tradizione.
Non sono questi i linguaggi del 2000.
Non roviniamo le future generazioni,
che gia’ le presenti sono state rovinate abbastanza
da studi sbagliati,
e se ne vedono le conseguenze.
Saluti
nel complesso Michele burgio ha ragione. I soldi, se si crede tanto ad una iniziativa, si trovano. Il resto è solo demagogia
Un post di alto livello ,e’ un piacere leggervi.
A Giorgio.
Se è per questo nemmeno l’italiano è il linguaggio del futuro. Basta uscire dal confine per rendersi conto di quanto è piccola e provinciale l’Italia e la sua lingua.
Spero che qualcuno non proponga seriamente di eliminare materie inutili e vetuste quali lo studio della grammatica e della letteratura italiana. Nella sua prospettiva avrebbe tutte le ragioni.
A Michele Burgio.
Credo di non avere ben capito i suoi precedenti interventi.
Sono abbastanza d’accordo con Lei: questa iniziativa potrebbe essere pura demagogia. D’altra parte la Costituzione fu scritta prima della sua applicazione. Quindi non mi pare così scandaloso partire facendo una legge e poi organizzarsi in seguito. D’altra parte è sempre stato così: i legislatori fanno le leggi, gli esperti in materia le rendono applicabili.
@Michele Ghirardelli: “i legislatori fanno le leggi, gli esperti in materia le rendono applicabili”: ecco, questo soltanto volevo dire. Ma con il dialogo e con pari serietà di entrambi.
Tutto il mio post era centrato su domande reali, non retoriche né polemiche. Poi si è avviata una polemica su lingua e dialetto che non era mia intenzione avviare (anche perché nella legge non si parla né di lingua né di dialetto) e che lascerà ciascuno sulla sua posizione.
La mia inquietudine era (e resta) un “come mai una cosa così importante viene approvata senza un confronto ragionato e con una ‘precipitevolezza’ che la rende approssimativa”?
Io voglio difendere il mio dialetto, vorrei fosse l’oggetto di studio del mio futuro (e tanti altri giovani ci sono in giro per l’Italia, appassionati quanto me e magari anche più preparati): per questo voglio che sia trattato da cosa seria.
@Michele Burgio: ma quali dittatori!! Stiamo scherzando, forse? Se il Parlamento autonomo del Galles decide di valorizzare la lingua gallese, e chiede alle università e ai docenti di sviluppare una ricerca didattica volta al suo insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado, che razza di dittatura è? Certo, la mia forma “chi ha il compito di governare detta “le cose da fare” agli scienziati” è estremamente semplificatrice. Ma è la pura realtà, in ogni campo. Se il governo decide di investire nella ricerca sul fotovoltaico piuttosto che sul nucleare, gli scienziati lavorano alla ricerca sul fotovoltaico. E/o viceversa. E’ sempre stato così, da che mondo è mondo: ai governanti il compito di governare, alla ricerca il compito di trovare soluzioni ai problemi posti da chi glieli pone. Dittatura sarebbe, invece, un governo non eletto dal popolo che ordina agli scienziati di costruire la bomba atomica, come ad esempio in Corea del Nord. Oppure, Mussolini che ordina ai “linguisti” di cancellare dall’uso ogni forma estranea alla “lingua italiana pura” e agli insegnanti di punire severamente chi viene colto in classe a parlare “dialetto”, oppure ancora alle associazioni che tutelavano le lingue locali di sciogliersi (come avvenne in maniera vergognosa con la Famija Turinèisa). Mi pare ci sia una differenza abissale.
Se chi governa ed è eletto dal popolo, come i rappresentanti all’Ars, o al Consiglio regionale piemontese, decide (per di più all’unanimità) che la lingua regionale debba insegnarsi nelle scuole, mi pare che siano pienamente titolati e legittimati da un voto democratico e da un potere democratico per farlo. Tantopiù che la decisione va nel senso delle raccomandazioni delle più alte Istituzioni internazionalil. Altro che dittatura. In ogni caso, seguendo il link che ora riporto, si trova un post “ad hoc” – relativo al problema dell’insegnamento della lingua sarda – ma in cui sono sviluppati con competenza, lungimiranza e sintesi estrema anche i temi relativi ai rapporti tra politica e linguisti. COn un accenno anche alla questione siciliana. E’ il blog di Roberto Bolognesi, proprio il linguista (a suo tempo docente all’università di Groeningen) che ha a lungo collaborato con la Regione Sardegna sulla questione della lingua comune ad uso amministrativo. Avevo già linkato un documento del professor Bolognesi relativo alla richiesta, contenuta uin un suo scsritto del 1999, di non discriminare più le lingue regionali o minoritarie all’interno dello Stato italiano. Ecco l’articolo: http://bolognesu.wordpress.com/2011/05/27/il-sardo-nella-scuola-subito/
Io poi non ho mai detto che lei in particolare (visto che mi dà del lei lo faccio anch’io) ritenga le lingue territoriali un reperto del passato. Ma la stragrande maggioranza degli accademici sì. Prova ne è che nel recente convegno di Venezia (trova qualcosa nel mio blog, se ha la pazienza e l’interesse di cercare) a cui ha partecipato anche il prof. De Mauro, presente il professor Moseley che cura l’Atlante linguistico dell’Unesco, non un accademico italiano che sia uno si è detto favorevole alla proposta della Regione Veneto di tutelare la lingua veneta e di insegnarla nelle scuole. Che invece ha avuto il plauso dell’Unesco.
Quanto al professor Ruffino, che ho avuto il grande piacere di conoscere e che stimo in maniera particolare (ho nella mia biblioteca i suoi testi che egli stesso mi ha fatto pervenire, a partire dal magistrale “L’indialetto ha la faccia scura”) la sua posizione in merito all’insegnamento è invece “aperturista”. Ritiene che per arrivarci occorra investire molto nella formazione degli insegnanti a livello “alto”, ma non è aprioristicamente contrario, come ebbe a dichiarare pubblicamente un anno e mezzo fa su mia precisa domanda in un convegno della Dante Alighieri a Roma.
Quanto a Telmon, piemontese negatore dell’esistenza del piemontese, lasciamo perdere. Ogni sua conferenza è tesa a dimostrare che i “dialetti” variano da quartiere a quartiere, che non esistono le lingue regionali tantomeno che le si debbano insegnare nelle scuole. Peccato solo che nella sua Regione questo avvenga, anche se in un numero limitato di classi, partendo dal rispetto della variante territoriale, con grande successo da ben quattordici anni.
Gioann March Pòlli
@giorgio: affermazione degna di un siculofono abitante dello zen che dice che nella sua vita gli serve solo il siciliano e tutte le altre lingue non servono a niente. Spero che un giorno si riuscirà a capire il vero valore delle cose che abbiamo qui e che in tutto il mondo vengono valorizzate, solo noi le demonizziamo
conosco 3 stranieri venuti qui a Palermo con la famiglia che hanno chiesto -dove posso insegnare il siciliano ai miei figli? esiste una scuola apposita? -ed io con vergogna ho dovuto dire di no.
–
Dicevano che per capire veramente un luogo e un popolo e per saperlo apprezzare volevano che i loro figli imparassero anche la lingua del luogo dove vivevano…
–
Loro l’hanno capito!
@Nirìa: è l’ennesima triste dimostrazione che, spesso, i primi razzisti nei nostri confronti siamo proprio noi stessi. Pensiamo di essere “moderni” impiegando categorie ottocentesche e spesso non ci accorgiamo che il mondo, fuori dal nostro orticello, sta cambiando. Eccome se sta cambiando. Per fortuna, anche la Sicilia (che non è la mia terra ma che amo come se la fosse, e sono fiero che i miei figli parlino anche un po’ di siciliano, oltre che il piemontese) inizia a dare promettenti segnali di risveglio.
Gioann March Pòlli
sono trascorsi milioni di anni per arrivare ad avere un sistema alfabetico quasi universale ed un sistema numerico altrettanto quasi universale,
dato che gli alfabeti cinesi,islasmici o cirillici e qualche altro si basano su elementi differenti.
Intanto e’ sopraggiunta l’era dei computer che come e’ noto basa il proprio alfabeto alfanumerico su un sistema di base che e’il sistema binario.
Oggi il sistema binario e’ un sistema globalizzato,
e’ uno standard universale.
Se prendiamo in considerazione i sistemi numerici,
che sono molteplici,scopriamo che non sono altro che linguaggi diversi ma alla fin fine il risultato e’ quello che conta e,ad esempio
2 + 2 = 4,
= 4 qualunque sia il sistema adottato,
il pallottoliere,il ternario,il decimale,il duodecimale con base 12,o il sistema tonale con base 16.
C’e’ solo un piccolo particolare,che e’ la rappresentazione.
Ad esempio la rappresentazione del numero decimale 17 nel ternario si presenta con 122 e nel pallottoliere con ……………..
Ora immaginiamo di volere indicare un numero elevato,per esempio,il 999,col pallottoliere.
Dovremmo scrivere 999 puntini.
.
Oggi tutti trovano comodo e pratico il sistema decimale e’ l’ausilio di un computer che fa i calcoli complessi ,basandosi sul sistema binario.
In sostanza il cervello umano lavora meglio col sistema decimale,ed il cervello elettronico lavora
col sistema binario.
.
Io credo che qualcosa di simile succede nei linguaggi alfabetici,
e,se non vado errato,
l’equivalente del sistema decimale
e’ la lingua INGLESE.
.
La condizione ottimale e’ dunque disporre di una unica lingua universale.
Quante sono le lingue in corsa per la pole position?
Francamente inorridisco di fronte ai ragionamenti come quelli di Giorgio. Unica lingua universale?!? Numeri?!?! E che siamo, persone o bistecche ambulanti, bestiame che si conta con i numeri? Allora, già che ci siamo, trasformiamo gli Uffizi di Firenze in un centro commerciale, allarghiamo il casinò di Venezia a tutto il Comune e piazziamo una roulette in cima al campanile, facciamo piazza pulita di tutto il “vecchiume” che abbiamo tra i piedi. Futurismo, futurismo, zang tumb tumb e lo schiaffo e il pugno.
Un bel grattacielo al posto del Duomo di Monreale. E poi: a che vale perdere tutto il tempo e le energie per vestirsi tutti in modo diverso? Abiti razionali, comodi uguali per tutti i sei miliardi di abitanti del Pianeta. Quanto risparmieremmo. E poi, perché votare – là dove si può fare – partiti diversi? Facciamo un unico partito universale, un unico governo mondiale, un unico pensiero uguale per tutti. Razionale, s’intende. E poi,vogliamo mettere, perché ancora fare musica con sette note più cinque alterazioni? Ne basta una sola, un bel “La” centrale di diapason fisso a 440 hz. Tuttalpiù, pulsante a intervalli predefiniti. Quante corde risparmiate, quanti circuiti elettronici in meno. Poi, già che ci siamo, perché coltivare specie diverse di piante per l’uso alimentare? Basta una sola, OGM naturalmente. Pane uguale per tutti. Pane universale. Devo proseguire? Il mondo non è mai andato nel senso della “reductio ad unum”, per fortuna. E se l’inglese è indispensabile per comunicare con il mondo, le varietà linguistiche restano indispensabile per comunicare con noi stessi. Ammesso che ci resti qualche cosa da raccontarci.
Gioann March Pòlli
uno dovrebbe esercitare anche un certo autocontrollo,in certe situazioni.
Questa e’ una di quelle situazioni.
u marranzanu,
u carrettu sicilianu
a coppula storta
nei musei stanno.
Io parlo il dialetto siciliano,per averlo imparato
in strada.Senza docenti.
Come tutti i siciliani.
Tu, Giorgio. Ma tutti gli altri? Ma se si identifica il futuro della Sicilia con le tre pennellate oleografiche che hai appena citato, non si andrà da nessuna parte. I catalani l’hanno capito molto bene. E, in effetti, all’interno del loro Stato sono una potenza economica. Anche i gallesi. Chi riconosce la propria storia come attuale e non ne recide le radici si prepara per il futuro. E’ stato un grandissimo siciliano a scrivere:
Un populu
mittitilu a catina
spughiatilu
attuppatici a vucca
è ancora libiru.
Livatici u travagghiu
u passaportu
a tavula unnu mancia
u lettu unnu dormi,
è ancora riccu.
Un populu
diventa poviru e servu
quannu ci arrubbanu a lingua
addutata di patri:
è persu pi sempri.
Diventa poviru e servu
quannu i paroli non figghianu paroli
e si mancianu tra d’iddi.
E Buttitta non guardava certo con rimpianto al passato, ma lottava per un futuro migliore, qui e subito.
Gioann March Pòlli
giorgio, capisco benissimo quello che vuoi dire. per certi versi il siciliano non essendo la lingua istituzionale, ha rappresentato per noi siciliani “la lingua del cuore”, “la lingua della strada”, “la lingua della famiglia”. tutto ciò ha dato sicuramente nuova linfa al siciliano e lo ha reso per noi qualcosa d’indicibilmente intimo. ciò è dimostrato anche dai vari poeti, drammaturghi, scrittori, musicisti, che (seppur a volte mischiandolo con l’italiano) lo utilizzano nelle loro opere. da una cinquantina di anni a questa parte c’è la televisione però. e io noto che nelle nuove generazioni cominciano a sorgere dei seri problemi. di conseguenza, secondo me, adesso è giusto, urgente, necessario che venga tutelato, salvaguardato e promosso dalle istituzioni.
giuseppe.
precisazione:e non per farlo diventare roba da museo, ma per dargli il futuro che merita.
giuseppe
ho gia’ scritto che,oltre a quanto si apprende per strada,si potrebbe fare approfondire il dialetto siciliano mettendo in piedi un corso a numero chiuso,di un centinaio di persone,da pagare privatamente e non con soldi pubblici(aggiungo).
.
Intravedo anch’io in questa iniziativa un disegno politico che mira ad andare controcorrente.
Infatti,mentre tanti auspicano la nascita diun’Europa politica,
qualcuno sogna una Sicilia indipendente
una Sicilia Nazione,
con un proprio esercito ed una propria flotta.
Ed il dialetto siciliano sarebbe un fattore identitario.L’orgoglio del siciliano.
Mi pare che stiamo esagerando con tutte queste manifestazioni di orgoglio.
Mi guardo in giro e mi vergogno.
Buttitta
puo’ essere stato un bravo poeta dialettale,
pero’ con idee valide “forse” in altre epoche e situazioni.
Per me uno che scrive quello che hai riportato
e’ proprio fuori dal mondo.
Buttitta credo non si sentisse propriamente italiano.Sintomo grave.
Giorgio – e con questo concludo lo scambio con te, perché rischia di divenire davvero inutile – mi permetto soltanto di suggerirti di guardare al di fuori del “tuo” mondo. Un “piccolo mondo antico” che non c’è più: gli Stati tramontano, nascono e muoino, è nel loro destino, da sempre. Il futuro, di fronte al “global” della globalizzazione e di questa fantomatica “Europa unita”, è la dialettica con il “local”. Facciamocene tutti una ragione: abbiamo internet che ci consente di guardare che cosa succede al di fuori dal nostro orticello: utilizziamolo. Quanto all’italia, smettiamo di farne un feticcio: era ed è una espressione geografica prima, e geografico-politica poi. La sua ricchezza vera sono proprio le sue differenze: continuiamo a distruggerle, e saremo tutti molto più poveri. E schiavi.
Gioann March Pòlli
tu non hai in corso nessuno scambio con me.Tu e gli altri scrivete,scrivete,e quando arriva qualcuno che rimette in linea i concetti basilari,
non avendo capacita’,proprio capacita’,di controbattere con validi argomenti,
cominciate con gli OT e con i soliti attacchi
personali.
Mi stai pure attribuendo un “piccolo mondo antico”,
che e’ proprio quello che ruota attorno al dialetto siciliano,per altro alle volte incomprensibile da una provincia all’altra.
Ed io boccio in pieno la riesumazione di
questo dialetto.
Quindi stai solo dimostrando o di avere le idee confuse o di avere non so per quali motivi
la necessita’ di cambiare le carte in tavola.
.
Ed a te,come a tanti altri,
ripeto un concetto gia’ scritto tantissime volte,
smettetela di personalizzare i dialoghi e
cercate di controbattere sugli argomenti se ne siete capaci senza usare i facili aggettivi
di cui i blog sono pieni.
non capisco cosa c’entano le bistecche,gli Uffizi,il Duomo di Monreale ed i grattacieli con la mia esposizione inerente
l’evoluzione dei linguaggi e dei sistemi numerici.
fine I atto.
Giorgio, da questo attacco francamente scomposto nei miei confronti si capiscono molte cose. Ho citato e ricitato con precisione e quasi pedanteria diversi riferimenti giuridici internazionali, i precedenti, i rimandi con nomi e cognomi di docenti universitari e quant’altro. Mi ritrovo a passare per quello che “ha le idee confuse”, “cambia le carte in tavola”, e “fa attacchi personali”. Ne prendo atto, non ribatto oltre e lascio il pieno giudizio a chi legge.
Gioann March Pòlli
infatti
consiglio ai Lettori di andarsi a leggere il commento delle ore 18,13 del 28 maggio.
.
Comunque,ripeto,
l’insegnamento del siciliano ha tutta la mia piena disapprovazione,se non nei limiti da me indicati,
docenti privati con costi privati per chi pensa di potere costruire il proprio futuro su un dialetto.
.
Che io sappia,fino al 2011,dall’origine dei tempi,
il dialetto siciliano si e’ appreso in famiglia ed in strada,ma mai a scuola.
E la tradizione continua.
Non ho cognizione di scuole di dialetto siciliano.
ho imparato il dialetto o lingua siciliana che dir si voglia per strada e non mi dispiacerebbe affatto completare il mio scibile in fatto linguistico apprendendolo più approfonditamente.
Se gli eruditi autori dei post precedenti volessero segnalare links o quant’altro di digitale in materia farebbero cosa molto a me gradita e penso un pò a tutti.
P.S. Il nome Nirìa mi piace molto ma quanti palermitani o siciliani in genere sanno che in “lingua” corrisponde ad Andrea?
P.P.S. in palermitano la enne iniziale viene raddoppiata, Nnirìa.
P.P.P.S. ho sentito, in pieno centro storico, un’indigena chiamare il proprio piccolo Kevin, anzi, Kevi, per l’esattezza. Ke pena.
Questo è il mio III commento.Ho letto molte opinioni interessanti e molti attacchi polemici e continuo ad avere molte perplessità.Comunque ormai la legge c’è, e resta solo da sperare che sia applicata bene. Invito tutti ad andare a leggere quanto detto sulla questione dall’Assessore Centorrino.
Beh, sono contento, in effetti, che per lo meno si sia generato dialogo. Era il mio intento principale.
La risposta alle domande che mi sono posto (e che in molti ci siamo posti) troveranno una risposta nei prossimi passi, e cioè nella fase applicativa. Che, se fatta bene, rivelerà tutte le potenzialità di una cultura fra le più affascinanti al mondo.
Le mie perplessità rimangono: non si può essere, purtroppo, fiduciosi a priori nella classe politica siciliana, perché ultimamente ne ha combinate tante (aiutata da una popolazione votante che ha la responsabilità di averla voluta)…
Speriamo che, una volta tanto, riescano a sorprenderci in positivo.
@Giorgio. Lei sembra uscito da un romanzo di Orwell per affermare quanto abbiamo letto. Io le dico che se la società “del 2000” è come lei l’ha prospettata, avrei preferito di gran lunga nascere all’età della pietra, dove almeno avrei potuto sentirmi libero di avere una cultura che non fosse la cultura globale, un pensiero che non fosse il pensiero globale, una vita che non fosse una vita massificata e svuotata di tutto. Lei è fautore di un’unica lingua universale ove per essa s’intende la lingua inglese, una lingua cioè non neutra ma simbolo dell’egemonia di un orribile sistema capitalistico che ha per base la riduzione a poltiglia dei cervelli umani. Da ultimo mi chiedo come mai nella nuova società di cui parla l’inglese non abbia ancora preso il posto del siciliano nelle strade, dal momento che il sistema decimale (con cui lei ha fatto il paragone) ormai lo usano anche le galline. Saluti
qui si finisce col negare l’evidenza.
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Intanto se tutte le regioni d’Italia decidessero di introdurre il loro dialetto,servirebbe un esercito di studiosi e di docenti col risultato di fare un passo indietro di 150 anni.
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L’ultimo commento che leggo non fa che confermare che e’ difficile capire quando non si vuole capire.
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Ho incontrato
fuori dai loro paesi,
indiani,giapponesi,arabi,
e l’unico linguaggio
che ha consentito un certo dialogo e’ stato
“l’INGLESE”,
non certo il siciliano.
Quindi,quelli studiano l’inglese.
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Scrivete quello che vi pare,ma se gli aerei volano ed atterrano in ogni aeroporto,le comunicazioni con le torri di controllo
avvengono in lingua inglese.
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Lo stesso dicasi per le documentazioni scientifiche,in ogni campo del sapere.
Molto probabilmente cio e’ dovuto al fatto che la prima potenza mondiale sono gli Stati Uniti d’America,dove si parla
INGLESE.
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A seguire la Cina.
Per questo ho raccomandato di studiare il CINESE.
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Una unica lingua universale e’ probabile che si affermi fra migliaia di anni.
Abbastanza poco se si pensa che dagli uomini delle caverne ad oggi sono trascorsi milioni di anni.
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Gli uomini delle caverne non avevano ne’ un alfabeto ne’ un sistema per fare di conto.
Credo che in quei tempi sia nato qualcosa di
simile ad un pallottoliere.
Oggi il pallottoliere e’ rimasto in uso solo nelle sale di bigliardo.
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Oggi tutti i sistemi di comunicazione puntano a realizzare degli standard.
Internet e’ uno di questi.
Appena ieri anche i computer avevano i loro specifici linguaggi ed i loro protocolli di comunicazione,frutto dell’ingegno umano.
Erano prodotti eccellenti che venivano usati in specifiche situazioni,ma che richiedevano determinati prerequisiti,senza i quali “non c’era compatibilita’ per comunicare con altri sistemi”.
Per questo “sono stati accantonati”.
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Ora io non vedo in che cosa potrebbe migliorare la mia capacita’ di comunicazione in un villaggio globale,quale e’ il mondo intero,
approfondendo il siciliano.
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Anch’io ho una discreta conoscenza del siciliano,
e riconosco che ha una certa forza espressiva.
Ci sono termini pressocche’ intraducibili,
come
u chirchiriddu.
Ci sono frasi che restano impresse,
Ne cito alcune:
-sugnu ri cunfirenza e ttrasu
-vattinni ni dda bu…..ri to mugghieri,ca ta po’ sunnari na fimmina comu a mmia
(Claudia Cardinale nel Giorno della Civetta)
-risgrazziata,a mme figghiu facisti arristari…(id)
– Amuninni,picciotti.
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Ecco,una cosa che vedrei bene,
potrebbe essere la costruzione di un Data Base
con le frasi tipiche siciliane,col contributo di tutti,un po’ alla maniera di Wikipedia.
E’ indiscutibile la bontà di una lingua di koiné per comprendersi tutti. Questo non significa che ognuno possa conservare la sua.
Ci sono società, ad esempio in India, che sono tranquillamente bilingui o trilingui, e certe addirittura quadrilingui, e questo da migliaia di anni. In India, guarda caso, si conosce benissimo anche l’inglese, ma non per questo non si conoscono le altre lingue del territorio.
Fabio Canessa
ho trovato divertente il suo intervento.
Non molli.
Ghilardelli
siamo una terra di emigranti
ancora nel 2011
e per molti
e’ una tragedia,non capire e non farsi capire.
Ma qualcuno si è reso conto della grande conquista che hanno fatto gli italiani con la lingua italiana?
–
Perché in Germania dove la situazione dei dialetti è simile (ma più estrema) rispetto all’Italia, solo pochi mettono in dubbio l’importanza del tedesco standard?
–
Qualcuno mi vuol tradurre un articolo scientifico in lombardo o in siciliano?
–
Qualcuno capisce che l’Europa è destinata a perdere di importanza nei prossimi 50 anni? E con essa perfino l’inglese?
–
Volete investire nel futuro: se hanno voglia e volontà (e ammesso che ci sia la possibilità economica) fate frequentare ai ragazzi L’Orientale di Napoli o La Ca’ Foscari a Venezia. Lingue che avranno molta importanza: cinese, hindi.
–
Basta con questi dialetti. Simpatici quando si parla a casa o con gli amici. Utili per mantenere i legami con la nostra storia. Terribilmente provinciali già a 30 km di distanza.
Giorgio,
credi che se tutti i siciliani parlassero solo italiano avrebbero dei vantaggi? A parte che sarebbe quasi sicuramente un “italiacano” con marcate peculiarità regionali, il discorso potrebbe valere solo se vanno a vivere in qualche altra zona d’Italia. Se però un siciliano esce dal confine siamo ancora al punto di partenza. Semplicemente sarebbero provinciali in una provincia un po’ più grossa della propria isola.
Prassitele,
mi dispiace deluderti ma nessuno è contro l’insegnamento della lingua italiana. Semplicemente, non si capisce perché qualcuno pensi che la conoscenza di una lingua ne escluda automaticamente un’altra, quasi che siciliano e italiano si annullassero a vicenda nelle menti umane.
Non conosco la situazione tedesca (per quanto, secondo i dati UNESCO, la maggior parte delle parlate goda di buona salute), ma in Spagna stanno andando nella direzione della valorizzazione delle parlate locali, così come in Gran Bretagna e persino nella centralissima Francia.
Escludendo i paesi monolingui, le nazioni che attuano il nazionalismo linguistico in Europa sono l’Italia, la Grecia e la Turchia. Vista la compagnia c’è da andarne fieri.
Un professore della facoltà di economia dell’Università di Torino ha scritto (nemmeno tradotto, scritto) in piemontese un’intera dispensa. Il motivo per cui non si scrivono articoli scientifici in lingua regionale è meramente sociologico, non linguistico.
Se vogliamo investire nel futuro direi di copiare il modello indiano, siccome l’India starà al XXI secolo come gli Stati Uniti al XX. Quasi tutti gli indiani conoscono a livello madrelingua almeno due lingue. Chi frequenta le scuole ha anche una ottima conoscenza dell’inglese. Perché noi dovremmo fare diversamente?
L’ultimo intervento non è nemmeno da commentare. Non aggiungerei nulla a ciò che è già stato detto fino ad ora.
Aspetto che un docente universitario traduca un articolo scientifico (si parla ovviamente di materie come fisica, ingegneria, medicina…
–
Dunque ci scontriamo con risorse limitate e dobbiamo perfino impiegare soldi e risorse per insegnare qualcosa che non è neanche codificato perché si impara in strada, a casa e in genere nei luoghi di prossimità.
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L’Inghilterra ha una sola varietà dialettale “vera” quella che si parla nello Yorkshire il resto sono solo pronunce un pò diverse dalla Received Pronunciation.
–
Per i miei figli a scuola preferirei che venisse proposto un corso di cinese.
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Nessuno afferma che la conoscenza di un dialetto non possa coesistere con la conoscenza di una o più lingue. Ma noi siamo così provinciali (e ce ne vantiamo) che non conosciamo neanche una lingua oggi fondamentale come l’inglese.
Prassitele,
appena lo trovo ti posto il link del professore (rettifico, è un docente di Ingegneria). E’ una dispensa, molto più di un articolo scientifico (per inciso, è noto che gli articoli scientifici vengono in genere redatti in inglese anche dai ricercatori italiani, quindi l’italiano è un dialetto?).
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Secondo il ragionamento “ci sono risorse limitate e il siciliano si impara per la strada”, non dovremmo più insegnare l’italiano, che oltre ad essere parlato per la strada lo è anche sui giornali, in radio e TV, negli sportelli pubblici, e per di più è già lingua veicolare nella scuola…
–
Forse non è chiaro: il siciliano è una lingua completamente separata da quella italiana. I cosiddetti “dialetti italiani”, tranne il toscano, sono lingue autonome e non varianti dell’italiano. Persino quelli dell’Accademia della Crusca si sono dovuti arrendere all’evidenza. In Gran Bretagna (che non è fatta dalla sola Inghilterra) c’è un grandioso esempio di bilinguismo regionale in Galles e un caso più unico che raro di lingua estinta e poi resuscitata in Cornovaglia, oltre che al gaelico scozzese in lenta ripresa e comunque tutelato dalle norme regionali laddove è ancora parlato.
–
Il fatto che in Italia non si sappia l’inglese è perché è insegnato male e i programmi sono da rifare. Dici bene quando ci vantiamo della nostra provincialità: seguiamo ancora i dettami ottocenteschi dell’italia “una d’arme, di lingua e d’altar” invece di seguire le linee internazionali dell’UNESCO e del Consiglio d’Europa. Proprio noi che ci vantiamo tanto di possedere il maggior numero di siti UNESCO siamo pronti a negare ad oltranza il valore di questo ente quando tocca i nostri preconcetti linguistici. Che situazione ridicola, tutta italiana.
@Prassitele
ma..vedi ,tutto sta a provarci e crederci .
Io ho letto un testo di critica letteraria in stretto siciliano ,cioe’ un metatesto (non un’antologia ma una critica) quindi con tutto il vivo rimando e la comparazione ad esperienze linguistiche e culturali di altra radice ,francese,inglese ,insomma l’opera di un poeta e critico letterario siciliano che commenta e critica l’opera di altri autori in lingua siciliana e non solo.Mi pare di ricordare che si chiami D’Alessandro. Vero e’ che probabilmente l’insegnamento cosi’ come impariamo l’italiano e l’inglese non e’ praticabile ne’ opportuno ma secondo me e’ quanto mai necessario come esercizio dello spirito frequentare le espressioni artistiche poetiche,letterarie,musicali ,popolari e auliche che la lingua siciliana ,anche tra le mille sue espressioni concrete, e’ stata capace di produrre.
..e poi come spiegheremmo il fenomeno Cammilleri ?
…o come entrare nei testi di Rosa BAlistreri ?
guarda che anche senza Camilleri e Balistreri,si vive benissimo…
non capisco a cosa serve citare il caso di qualche bontempone che si mette a scrivere un testo,anche scientifico,in siciliano,o in un qualunque dialetto,
a confronto con le centinaia di milioni di articoli che girano tra la comunita’ scientifica e risultano scritti in INGLESE.
Dialetto = mare piccolo
Mare piccolo = niente pesci
.
ma facitimi u piaciri….
Io continuo a non capirvi. Il signor Giorgio, che è il più agguerrito, si contraddice da solo dal momento che scrive in italiano. Ma come, ormai tutti parlano inglese e lei ancora scrive in italiano??? Come mai ancora non s’è adeguato? Qua i mistificatori siete unicamente voi, che mettete in bocca alla gente cose mai dette. Qualcuno ha forse negato la necessità di “koiné” a livello nazionale, internazionale, mondiale? A livello nazionale, volenti o nolenti, abbiamo una koiné che si chiama “italiano”, un nome che forse porta a torto, dal momento che “italiano” lo è diventato solo per decisione arbitraria di un élite culturale che ha portato alle stelle il volgare toscano. Dunque, tutti siamo in grado di parlare un toscano standardizzato, e fin qui siamo d’accordo. Usciti dall’Italia l’unica lingua per comunicare, direte voi, è l’inglese. Bene, vi cito un esempio di vita vissuta. Un po’ di tempo fa esco di casa e trovo alla fermata un signore dall’accento francese che in un italiano stentatissimo mi chiedeva se il bus che passava di lì andava in centro e quanto costava il biglietto. Ho provato a rispondergli in inglese, nel mio inglese da studente delle superiori, non eccelso ma sicuramente comprensibile. Ha capito meno di prima. Signor Giorgio, dov’è quest’universalità cui tanto ambisce? Dov’è quest’uniformità che lei continua a intravedere? Forse il retrogrado è lei, che non riesce a distinguere l’esigenza – sacrosanta – di conoscere codici per l’intercomunicazione tra popoli diversi e la necessità – altrettanto sacrosanta – di trasmenttere ai posteri il patrimonio culturale locale ereditato per innumerevoli generazioni. Fosse per lei, probabilmente tra vent’anni non si studierebbero non solo il siciliano, il ligure e compagnia bella, lingue già riconosciute da enti internazionali (non solo dalle nostre piccole regioni) e sottoposte a tutela obbligatoria, ma neppure l’italiano o il Risorgimento italiano, che nulla più avrebbero da dire in un contesto globale ove non importa più la ricchezza così bella e variegata che ci lascia il passato, ma la ricchezza effimera e materiale di un presente sempre più asettico e chiuso su se stesso. Se vuole può continuare a ridere leggendomi. Altrimenti, si faccia due domande. Buona giornata
l’italiano va studiato a scuola come succede oggi
perche’ da 150 anni esiste l’unita’ d’Italia,ed e ‘ il linguaggio che ci permette di comunicare
in ogni Regione d’Italia.
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Per me il bergamasco,il lombardo stretto,ed altri ancora,sono come il turco.
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Ma chi pparri turcu?
(tipica frase siciliana di chi non riesce a capire)
Fabio Canessa
la leggo sempre piu’ divertito.
Io non sono il piu’ agguerrito,
sono semmai uno dei pochi che accompagna le opinioni dandone i razionali,cosa rara tra i commentatori.
Lei continua a fare poco uso della logica.
Lei sta sostenendo che in Italia dovremmo parlare inglese?
Io non ho mai detto questo.
Io ho iniziato dicendo
studiatevi
L’INGLESE
ed anche IL CINESE,
visto come va l’economia del mondo.
E siccome lei non capisce,e’ chiaramente sottinteso che sono le lingue aggiuntive che consentirebbero di muoversi in un mercato globalizzato.
ora di argomenti originali ne restano ben pochi.
Ripeto quanto gia’ scritto.
Fin’oggi,non mi risulta che il siciliano sia mai stato oggetto di insegnamento nella scuola pubblica,
eppure
non credo che chi e’ nato e vissuto in Sicilia abbia difficolta’ a comprendere questo dialetto.
Non vedo quale emergenza si sia verificata nel 2011 per mettere in atto questa”pensata”:
il siciliano a scuola.
Incredibile!
Giorgio, o lei ciocca come una lama (me n’infischio del dialettalismo) oppure è qui per giocare e nulla di più. Qualcuno ha mai negato di dover studiare l’inglese? Non mi pare. Lei che ostenta tanta razionalità, mi dice secondo quale base razionale in italia dovrei parlare italiano se il mercato globale dell’italiano non sa che farsene? Ebbene, lei mi dirà: l’Italia è uno Stato con lingua ufficiale italiano, la Sicilia no. Le chiedo allora come fosse possibile la comunicazione quando l’Italia non esisteva ancora. Forse vorrebbe negare che esimi uomini di cultura toscanografi ma non toscani come Guinizzelli, Giambattista Vico, Goldoni non parlassero il proprio “dialetto” a casa propria? Eppure conoscevano l’italiano e il latino, che era l’equivalente dell’inglese oggi. Potrebbe allora obiettarmi che il “dialetto”, per l’appunto, non l’avevano certo imparato a scuola, ma in famiglia. Dunque perché oggi studiamo italiano a scuola se ormai è l’italiano che s’impara da bambini, e non più il dialetto? Se lei razionalmente avesse studiato un briciolo del suo dialetto, si stupirebbe di quant’è bello vedervi realtà linguistiche lontanissime, che lei inconsapevolmente adopera nella vita quotidiana senza averle mai studiate a scuola. Così scoprirebbe, se fosse genovese come me, che nel mio “dialetto” c’è una patina di greco, latino, inglese, francese, arabo, perfino russo e ungherese, e così per tutti gli altri “dialetti”. Crede che nell’era del commercio globale questa sia una perdita? E allora io le ripeto, viva il suo commercio globale e muoia da caprone (chiarisco che il termine è qui privo di ogni connotazione offensiva nei suoi confronti). Le auguro altre risate di gusto
siamo alle allucinazioni.
Non trovo che idee confuse.
A scanso di equivoci,viva lei da caprone
con le sue arzigogolazioni,
sempre nei termini privi di connotazione offensiva.
Nella scuola elementare di mio nipote partono avvantaggiati!!!!!
Su 24 in classe, 17 parlano SOLO SOLTANTO il palermitano incarcato!!!! Non capivo il motivo, poi ho conosciuto i genitori di alcuni e le nubi si sono diradate!!! Lo parlano a casa da sempre!
Però non è giusto, mio nipotino parte con un handicap non indifferente!!!
Ci mancherebbe. Si tenga la sua convinta razionalità e si adoperi per investirci tutti dei Lumi, dal momento che viviamo nelle tenebre. E cerchi ogni tanto di ricordarsi che nel mondo non esistono solo il commercio, i soldi, l’utilitarismo; c’è anche una cosa chiamata “cultura” ed è la base della coscienza civica. Ma a lei probabilmente non interessa. Speriamo che qualcuno della mia generazione abbia, in un futuro ormai non molto distante, un’opinione differente. Rida contento finché può. Saluti
e si faccia testare il Q.I.
Io il siciliano lo conosco bene,
e l’ho pure dimostrato,
e non ho alcun bisogno di andare a scuola di siciliano.
Lei farebbe bene a fare una full immersion
di italiano,
visto che non riesce a capire il senso
di tanti commenti scritti in italiano.
Bye,bye
Stupidocane, apprezziamo il sarcasmo. Del resto non le interesserà sapere che mio padre e mio zio (in minor misura quest’ultimo) hanno sempre parlato genovese in casa, salvo poi imparare l’italiano a scuola senza avere la minima difficoltà. Preciso che non si tratta di gente superdotata: mio padre è perito elettrotecnico (di conseguenza ha dovuto conoscere l’inglese), mio zio lavora come meccanico. L’unico problema è che, a furia di parlare italiano, ora si stanno dimenticando il genovese. Probabilmente, se la scuola avesse insegnato loro a distinguere tra i due, senza identificare la lingua locale con Satana, oggi saprebbero parlare due lingue distinte, anziché un italiano standard più che corretto e un genovese imbastardito, e nulla avrebbe vietato loro di studiare anche il cinese, l’arabo, il vietnamita, il marziano. Ma evidentemente non capisco niente, e preferisco ascoltare voi che invece avete argomenti razionali, anche se non dimostrati. Lieto di esservi discepolo
La cultura oggi
e’ capacita’ produttiva,realizzativa
e’ tecnologia,
e’ scienza,
e’ imprenditoria,
e’ innovazione,
e’ ricerca
.
La cultura e’ far vivere bene miliardi di individui,
ed in questo non vedo quale contributo possa dare
un qualsivoglia dialetto.
Giorgio, la full immersion la faccia lei, io che sono irrazionale e confuso ho voti eccellenti in italiano. Di certo non me ne vanto e di certo non credo di avere una cultura maggiore della sua. Ma credo di poter liberamente manifestare la mia idea e confutare le sue, visto che siamo in democrazia.
La cultura e’ anche la capacita’ di capire chi si ha di fronte anche nell’anonimato di un nick.
No Giorgio, la cultura è anche lo studio delle civiltà passate per comprendere la nostra e migliorarla. Se non se ne rende conto il problema non è mio, anzi lo è, perché siamo noi che un giorno dovremo riparare i vostri danni, ammesso che non ne faremo di peggiori. La scienza, la tecnica, la ricerca, tutto ciò che lei ha citato non nascono dal nulla, ma sono frutto di capacità che l’uomo ha perfezionato nel corso dei secoli. Glielo dico con un profondo senso di amarezza nel cuore, che ancora una volta lei non potrà che ridurre a fantasie e arzigogolazioni.
ed e’ cultura anche l’autocontrollo.
Sopratutto nell’uso del linguaggio.
Ci sono uomini che lasciano il segno e le loro biografie stanno nei dizionari enciclopedici.
Degli altri,solo polvere,nemmeno l’ombra.
Non vedo dove abbia mancato di autocontrollo. Se si riferisce al termine “caprone”, l’ho chiarito immediatamente, e se ne ha bisogno lo chiarisco ulteriormente. Intendevo per “caprone” una condizione in cui l’uomo è ridotto a macchinario del sistema, incapace di pensare a qualsivoglia contenuto culturale. Ed è la condizione in cui molti oggi si stanno riducendo. Ogni connotazione circa le proprie capacità intellettive è stata subito sfatata. Come vede un po’ di ragione ce l’ho anch’io, anche se di certo meno di lei.
Giorgio, mi pare di vivere una disputa tra illuministi e romantici, e la cosa mi fa anche un po’ sorridere, perché è la dimostrazione che in realtà noi siamo uguali agli uomini del passato, anche se ci pare di stravolgere il mondo. Si ricordi che ogni sua attività quotidiana è regolata da uomini che non compaiono in nessun dizionario enciclopedico, ma che sono responsabili della sua sopravvivenza. A partire dalle fogne fino al fatto che casa sua si regga in piedi. Il mondo, signor Giorgio, è fatto anche – e soprattutto – dalle piccole cose. Credere che la macchina funzioni eliminando anche un solo piccolo ingranaggio è pura follia
Tra parentesi, il suo “La cultura e’ anche la capacita’ di capire chi si ha di fronte anche nell’anonimato di un nick.” suona tanto come un “lei non sa chi sono io”. Lei per me può essere anche il presidente della Repubblica, visto il nome che porta, ma in questo momento è un cittadino come me, un utente della rete come me, un uomo libero di parlare e pensare come lo sono io. Della sua qualifica, della sua sapienza, della sua presunzione non so che farmene. Mi basta il suo nome per poter discorrere civilmente con lei.
il palermitano non è una lingua! Nessun dialetto lo è.
Conoscere l’italiano ed “un” dialetto, non equivale affatto a conoscere due lingue!
Viagiate, confrontatevi e capirete voi sostenitori.
Il dialetto è solo una “variante” della lingua natia.
Così è stato, così è e così sempre sarà.
PS: a casa mia il palermitano non si parla.
@Stupidocane Ahah ora sono io che mi sbellico dalle risa! Quindi lei se n’infischia della classificazione data dall’UNESCO e dai linguisti di tutto il mondo (eccetto quelli italiani). Proverò a informarla io, nel piccolo di quello che so. Il Siciliano è riconosciuto nella normativa ISO 639-3 come lingua a sé stante avente come codice “scn”, e lo stesso dicasi per il ligure, il piemontese, l’emiliano-romagnolo, il lombardo, il veneto, il napoletano e le lingue già riconosciute dallo Stato italiano con evidente discriminazione. Non ho voglia di tornare sulla distinzione lingua/dialetto e sul fatto che l’italiano e i vari dialetti hanno la medesima origine (il latino) ma evoluzione differente e come tali sono tutti sullo stesso piano, scientificamente parlando. Nel corso della discussione sono già stati citati i documenti che avvalorano quanto sto dicendo, se li vada a cercare, anzi, glieli rammento io:
http://www.phon.ucl.ac.uk/home/marco/lingRights/diritti%20ling-snipppet-final.pdf
http://www.phon.ucl.ac.uk/home/marco/lingRights/piano-azione-finale.pdf
https://www.facebook.com/lingue.dialetti#!/home.php?sk=group_181723511840962&view=doc&id=190196180993695.
Se non è contento, può trovare in rete ogni prova che non sono io qui a soffrire di allucinazioni.
http://www.sil.org/iso639-3/codes.asp?order=639_3&letter=i
http://www.sil.org/iso639-3/codes.asp?order=639_3&letter=s
Come vede, italiano (codice it) e siciliano (codice scn) sono considerate lingue di pari grado.
Italiano codice ita, chiedo scusa
Il siciliano e’ a tutti gli effetti una lingua,ci mancherebbe.L’unico problema e’ determinare quanto sia vitale.Ancora in tanti in Sicilia ,pur con sfumature diverse,lo parlano e fanno di questo il principale mezzo di comunicazione.Gia’ questo basta a definirlo lingua .
Poi rammento Ciullo d’Alcamo,l’anonimo di Lentini e altri padri della lingua scritta siciliana ,persino Dante ha perfettamente chiaro come l’italiano fiorentino abbia avuto la meglio sul siculo solo per ragioni storico socio politiche.
Quindi il siciliano E’ lingua.
Poi mi spiace Giorgio ma vivere senza avere ascoltato almeno una volta la Balistreri e’ come non aver mai amato.
CAmmilleri e’ apprezzato da tanti italiani oltre che all’estero.Quindi qualcosa di bello ci sara’.
Vi invito a troncare una discussione in cui si è detto tutto ciò che si poteva dire.
Ogni volta che nel mondo si fa una riforma di civiltà (e questa, pur timida, lo è), c’è sempre qualche retrogrado che cerca di fermarla.
Le argomentazioni di Giorgio non sono illuministe, sono prese di peso dall’ideologia nazionalista fascista.
Sono talmente retrograde e ridicole da non meritare alcuna risposta.
Semmai ci sarebbe da chiedersi come mai linguisti e appassionati di lingue regionali di tutto il mondo si interessino al siciliano e in Sicilia troviamo questa accesa minoranza di provinciali detrattori.
La spiegazione di questa apparente contraddizione storica sta nell’alienazione che i siciliani hanno subito come popolo da se stessi, ed è un fenomeno tipico del colonialismo.
Tanti anni fa, era il 1999, feci un viaggio in Guatemala e, visitando un villaggio Maya, vidi che nelle scuole elementari c’erano insegne bilingui in spagnolo e in Maya.
Chiesi spiegazioni alla guida e mi spiegò che ovviamente si trattava di una lingua standardizzata e moderna, stante il fatto che in secoli di oppressione spagnola il maya si era frammentato in diverse parlate, aveva perso la propria tradizione scritta, anche se era molto vivo nel parlato.
Un po’ peggio che il siciliano ma grosso modo…
Ora, la cosa che mi colpì non fu questa, ma quella che mi disse dopo. Lui era un maya colto e ci teneva molto a questa operazione di recupero culturale dell’identità nazionale più profonda del popolo guatemalteca. Ma al contempo mi disse che la “gintuzza” maya snobbava l’insegnamento della propria lingua, considerandolo “una schifezza”, una parlata per poveracci, dopo i tanti sacrifici che i loro genitori e nonni avevano fatto per farli parlare in “castellano”. Che non serviva per lavorare, etc. Insomma le stesse cosucce dette da Giorgio, ma più ignoranti e analfabeti erano, meno bene parlavano lo spagnolo, e più sostenevano queste cose.
Erano complessati nell’anima, in modo irreversibile. Erano eredi di una delle civiltà che ha segnato la storia mondiale (sia pure nel limitato ambito delle civiltà precolombiane) e volevano sentirsi invece nipotini di Cervantes e della Reconquista.
In questo portavano il segno della sconfitta storica di secoli addietro che avevano ancora impressa a fuoco nell’anima. Il riscatto del Guatemala, mi disse la guida, non può che passare dal recupero della propria dignità e della propria identità. Finché penseremo che tutto ciò che è “fatto qua”, “nato qua”, è “una schifezza”, saremo sempre sfruttati da Tizio e Caio e manterremo sempre una cricca locale rapace, improduttiva e asservita agli sfruttatori esterni.
Non riesco a vedere differenze sostanziali con la Sicilia. Proprio non riesco.
Lasciate quindi che Giorgio e lo Stupidocane si rodano il fegato per questa liberazione culturale della Sicilia, della loro terra.
La ruota ha (o quasi) vinto l’inerzia che la teneva ferma ed ha cominciato a girare (per fortuna).
E non la fermeranno certo loro.
@Ninni: segnalo due splendidi siti dove approfondire l’argomento “lingua siciliana”. Da notare che nel primo dei due siti – lo sottolineo a beneficio di chi si crogiola nella propria presunzione e nella convinzione che “lingua siciliana = chiusura”, si trovano compendi di grammatica della lingua siciliana scritti anche in inglese, francese, spagnolo, serbo e portoghese.
http://www.linguasiciliana.org/
http://www.linguasiciliana.it/
Quoto parola per parola il post di Ciccio qui sopra. Anch’io ho avuto contatti con la realtà Maya, ma nel Quintana Roo (Stato messicano) e la situazione è la stessa. Con una differenza: lo Stato ha scelto di investire fondi e risorse nella lingua maya proprio come fattore di sviluppo economico. Né più né meno come è accaduto, in Europa, in Galles, Catalunya, eccetera. Ora anche la Sicilia potrebbe agganciare questo trend sostenuto dalle più importanti organizzazioni internazionali. Infine, vorrei rimarcare che le considerazioni di Ciccio sono perfettamente le stesse che portarono Ignazio Buttitta a scrivere quel suo capolavoro che ho già citato qui sopra.
Gioann March Pòlli
Sul versante linguistico e’ vero ,ci sono stati interventi di alto livello e disquisizioni -dispute scientificamente addirittura avvincenti.
Sembra invece non affrontato abbastanza il lato “dangereuse” della cosa ,e cioe’ il rischio che questo non diventi il contrappunto della stupida deriva leghista.Ma comprendo che mescolare i due temi sia ,al cospetto degli interventi precedenti,un tornare a considerare strumentalizzazioni di bassissima LEGA e ormai inopportune.
Grazie per i links Gioann.
annatr’anticchia
arrivanu
cumpari nofriu e cumpari virticchiu
e i pupiddi cu li tammureddi……..
sarà riconosciuta dall’UNESCO, dalla comunità europea e da qualche altra “organizzazione” superiore, ma non ravvedo affatto la necessità di “innazzarla” a lingua. (tutti i dialetti)
Io la penso così.
purtroppo per voi(stupido cane e giorgio) il siciliano, come è stato dimostrato a più riprese in questo post, è una lingua, che spero abbia il futuro che si merita. Non deriva dall’italiano, ma addirittura si potrebbe affermare l’esatto contrario(Federico II, ecc..). rassegnatevi, borghesucci. voi sì che siete antiquati, reazionari e obsoleti, non il siciliano.
vi mannassi a cògghiri ‘u fèrru viècchiu a beddu lampu, avutru chi compiuter.
p.s.scusate la caduta di stile, ma con questi due non se poteva più.
Esprimo la mia opinione, non è errata per il solo fatto che non sia uguale alla tua, non credi Giuseppe?
Sarà quello che vorrai…un giorno, ma sino ad allora (forse) sentire frasi in un palermitano volutamente forzato, mi provca l’orticaria, che ci posso fare?
A casa mia si è smepre e solo parlato L’ITALIANO!
Ma ti lascio una perla: Nni viriemu rumani e siddru unn’avissimu a bbiriri speramu c’ammancassi pi ‘ttia”
PS: chiaramente con simpatia 🙂
scusami tanto. ora non voglio dire che quello penso io è l’assoluta sacrosanta verità oggettiva, ma converrai con me, che se vai a rileggere i comments precedenti, viene dimostrato ufficialmente (tranne ancora che in italia) che il siciliano è una lingua(non le sue varianti dialettali, tipo palermitano, ecc.). ora, a me, che un palermitano, o in generale un siciliano, sia contrario a una cosa del genere mi mette le mani nel sangue, tutto qua. forse ho sbagliato a prendervi troppo sul serio, non commetterò più lo stesso errore.
ciao.
p.s. io ci sugnu. quannu e dunni vo’ tu. e s’ ‘un nni virièmu adduma ‘a luci.
no problem.
sicilianu e’ na parrata pi li viddani…
@stupidocane: siciliano, piemontese, veneto, napoletano eccetera non hanno bisogno che tu o qualcun altro li “innalzino” a lingua, perché già lo sono di per sé. Ci sarebbe invece bisogno che il proverbiale provincialismo italico ed i suoi alfieri se ne rendessero finalmente conto, e ne prendessero semplicemente atto, come avviene nelle altre parti dell’Europa civile. E dessero finalmente piena attuazione agli articoli 6 ed 11 della stessa Costituzione italiana di cui peraltro si vanta e decanta la modernità un giorno sì e l’altro pure. Che ipocrisia. Ed invece, un abisso di civiltà continua a separare lo stato italiano da quelli spagnolo, britannico, belga, olandese e financo ungherese e rumeno… per non parlare anche di quello francese, già patria del centralismo e del giacobinismo più ottusi ed incredibilmente oggi più avanzato del nostro anche su questo tema.
Nessuna novità, insomma. E’ sempre la solita vecchia storia di quanti credono di vivere nell’ombelico del mondo soltanto perché qualcuno li ha convinti di questo, prendendoli solennemente e ripetutamente per il fondoschiena. E loro, beati, ringraziano.
Per fortuna il mondo va avanti anche senza di loro. E la splendida Sicilia, terra fiera e di bellezza incommensurabile, dimostra, almeno in questo, di lasciarseli volentieri alle spalle.
Gioann Pòlli
“Seggi zeneize a riso ræo, buzanchitene de tutti e parlighe ciæo”
Con questa “villaneria” ligure saluto Giorgio e i suoi simpatici amici precisando 1) che ho assolto ogni indicazione esplicitata nel proverbio, 2) che tuttavia è vero anche che “a lavâ a testa a l’aze se ghe rimette lescïa e savon”. Mi che son miscio dinæ da cacciâ via no ghe n’ho. Ve salûo.
Dialetti = comunicazione sbrigativa e abborracciata
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Dialetti = poco usati (in certe realtà per nulla usati)
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Dialetti = descrivono la vita quotidiana
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Dialetti = cambiano pronuncia dopo pochi chilometri
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Dialetti = non hanno generalmente né un’ortografia né una grammatica codificata
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Dialetti = futuro tendente a zero
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Dialetti = scarsa capacità di descrivere l’astratto
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Dialetti = Babele e frammentazione
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Dialetti = piccolo mondo antico, come era bello quando eravamo soltanto noi! Conservazione e passatismo che si vogliono far passare per novità (oggi è di moda il particolarismo e la piccola patria…piccola sempre più piccola). Oggi non ci si sente limitati dal proprio provincialismo, ma la temperie culturale che viviamo incoraggia questo atteggiamento e costringe i meno dotati ad accettarlo acriticamente.
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Lingue e dialetti così come piante e animali si estinguono. Basti pensare che un tempo la lingua celtica era parlata in mezza Europa. Non ha resistito né alla pressione del latino né alla pressione della lingue germaniche (ci sarà stato più di un motivo per questa estinzione). Unica traccia vitale del celtico: la pronuncia nasale diffusa nel tedesco in Austria o nel francese in Francia oltre a qualche toponimo in giro per l’Europa.
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Chi parla la lingua celtica oggi vive in aree assolutamente periferiche e marginali come l’estrema parte ovest dell’Irlanda. Pochissimi sono i locutori. I tentativi di rianimazione “cardio polmonare” sono accaniti e il risultato è: obbligo di studiarla a scuola ma niente esami finali. Se questo non è accanimento terapeutico.
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La Scozia non usa più il gaelico. Nei secoli gli scozzesi sono arrivati allo Scottish Standard English una variante dell’inglese (perfettamente intellegibile dagli inglesi) rotica e con particolari pronunce.
computer,non compiuter
(scherzi dell’inglese tra scritto e parlato)
ed ecco la riprova di uno che si esprime in qualcosa che per gli italiani equivale al turco.
Incomprensibile,come lo e’ il turco per gli italiani.
ora ho maturato la netta e precisa convinzione che questa vicenda del dialetto siciliano nelle scuole e’ la contrapposizione ai festeggiamenti dei
150 anni dell’UNITA’ D’Italia.
Insomma,una nota di protesta.
Il proverbio in genovese dovrebbe essere:
Sii genovese, di risate scarso, infiaschiatene di tutti e parla chiara
Poi:A lavare la testa all’asino ci si lascia la spazzola e il sapone
E infine: Io che sono povero denaro da sprecare non ho.
Pardon per il refuso “Parla chiaro”
sempre tirchi questi genovesi.
Non vedo perche’ un asino non debba avere diritto ad una doccia.
Ho molto rispetto per i poveri.
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Il siciliano come dialetto rievoca epoche di analfabetismo diffuso,di miseria,di fame e disperazione,di sfruttamento nelle solfatare
e di prepotenza nelle campagne.
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C’e’ stata un’intervista in TV a Rosa Balistreri,che senza alcuna difficolta’ ammetteva che per scappare via dal proprio paese era stata costretta a prelevare le elemosine dal salvadenaro della chiesa.
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Camilleri sull’uso dialettale ha costruito una fortuna personale,ma devo ammettere che dopo avere letto una decina dei suoi libri,mi pare che non mi sia rimasto dentro altro che niente,a meno di qualche battuta irripetibile che accende sicuramente la fantasia di certi lettori.
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A me sembra che tutti stiano perdendo la testa. Prima i leghisti che vogliono che si insegni nelle scuole il padano,adesso noi con il dialetto siciliano. E intanto i nostri ragazzi quando c’è da fare un tema dal titolo “L’evoluzione dello psiconano dagli albori a oggi” o quando c’è da scrivere un semplice commento su “Feisbuc” sembra come se litigassero con la lingua italiana. E in più poi pretendiamo pure che apprendano una lingua straniera,così dopo a un turista inglese a Mondello diranno:”I no spik inglish,only palermitano!”
Vorrei che qualche linguista spiegasse a Christian che più lingue si studiano e meglio si comprendono tutte.
Chi studia l’inglese e il francese, il latino e il greco, conosce meglio l’italiano. E così con il siciliano. Non è ideologia, è un principio di didattica.
infatti a Brooklyn si parla l’anglosiculomaccheronico.
E che significa? a perte il mio giudizio e il tuo,non entusiasti (nemmeno io lo sono infatti)per Cammilleri i nostri rimangono due giudizi al cospetto di un successo che deve essere spiegato in ben altra maniera.
Riguardo alla Balistreri non mi hai detto nulla,che significa? tanti artisti hanno fatto la fame e non solo in quanto artisti.
BAlistreri non e’ morta ma ” murìu” ,era siciliana nella sua essenza .E nel dire le cose in lingua siciliana significava svelava aspetti che in altra lingua non si colgono.
certamente in questo post di “psiconani” ne abbiamo incontrati fin troppi.
Mai avrei immaginato , scrivendo chiari,semplici ed incontrovertibili concetti in perfetto italiano,
di dovere incontrare tante deficienze nella comprensione del tema che si e’ ampiamente svolto qui.
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Il siciliano,nelle sue varie accezioni provinciali o montanare,e’ un modo di esprimersi pure simpatico.
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Per secoli e secoli si e’ tramandato da
padre in figlio,senza ricorrere all’insegnamento
nella scuola pubblica.
Io stesso ne faccio uso
a seconda le situazioni,col risultato di lasciare meglio il segno.
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L’ITALIANO e’ il simbolo dell’Unita’ d’Italia
e consente di farsi capire nelle varie regioni d’Italia.
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l’INGLESE e’ la lingua piu’ consona oggi a farsi capire in uno scenario internazionale,almeno per noi latini,
e si e’ affermata su varii campi,tecnologici e scientifici.
.
il CINESE puo’ considerarsi la lingua che puo’ dare
altrettante opportunita’ di LAVORO,come l’inglese,
dal momento che questo miliardo di abitanti sta
per superare perfino gli STATI UNITI D’AMERICA
nel loro ruolo di PRIMA POTENZA MONDIALE.
Ormai i prodotti cinesi entrano dapertutto
ed hanno qualita’ ottime.
.
In un mondo ideale,sarebbe un bene per tutti disporre di un linguaggio universale.
Ci si e’ provato con l’ESPERANTO,
ma,come e ‘ ben noto,e’ stato un fallimento.
.
Solo con un linguaggio universale,chiunque puo’ comunicare con chiunque.
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Bossi ne ha fatto un discorso “politico”
contro Roma ladrona.
Molti commentatori politici hanno oggi rispetto di
Bossi,che venti anni fa veniva deriso per le sue esternazioni.
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Qualcuno al Sud vuole seguire le orme di Bossi?
vari e non varii
ovviamente
Fino a venti anni fa il cinese stava soltanto dentro la grande muraglia,ma gli studenti delle universita’ e gli scienziati cinesi hanno sempre parlato l’inglese e continueranno a farlo.Il problema di imparare il cinese e’ per le aziende straniere che dovranno entrare piu’ capillarmente a contatto con la popolazione cinese ad esempio nel settore dei servizi.
Il problema che Tu sottolinei,gia’ emerso nel corso del dibattito,e’ quello della strumentalizzazione politica.
MA permettimi di dire che gli interventi dei commentatori precedenti rivelano la preparazione e l’espressione di studiosi esperti della materia,molto piu’ di chi se ne occupa en passant da un blog.E con un supporto scientifico non indifferente.Magari tutti i nostri blog e post vedessero una partecipazione di questo livello!!
folklorista
non perdiamo di vista il tema.
Rosa Balistreri,splendida interprete di certe
situazioni siciliane,
NON FREQUENTO’ MAI ALCUNA SCUOLA DI SICILIANO.
Folklorista
rileggi bene i miei commenti.
Io ho dato un indirizzo,inglese e cinese,
e bocciato questa idea di insegnare il siciliano
nella scuola pubblica,
che comporta dei COSTI A CARICO DELLA COLLETTIVITA’
.
Vai a vedere quello che succede nelle Aziende.
l’EDUCATION che si fa e’ finalizzato
per raggiungere determinati risultati.
Non si addestrano le persone su temi sui quali non devono poi operare.
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Quindi,se qualcuno pensa di trarre vantaggi dal perfezionamento del siciliano,
si cerchi e SI PAGHI I DOCENTI.
.
Le persone a cui ti riferisci mi pare abbiano voluto giocare ed anche molto pesantemente
e trasferire in una inutile,sterile polemica
la conversazione,
con l’aggravante di giudizi
ed aggettivi
ad personam,
che e’ il colpo di coda del perdente
che si appresta a dileguarsi.
Il cumulo di commenti, di varia natura (in genere garbati ma anche guerriglieri e appassionati, a volte sconclusionati altre intelligenti e provocatori) mi fa riflettere su quanto l’argomento sia sentito. Mi fa pensare che, col mio primo post su Rosalio (l’unico, perché mi piace parlare solo quando ho cose da dire), abbia fatto centro. E, avendo fra le cose più care per me il dialetto siciliano, mi fa piacere.
Ma, ancor di più, mi fa pensare a quanto sia necessario che, da un punto di vista operativo-attuativo, la cosa venga affrontata con tempestiva attenzione, prima che degeneri in un caos in cui truffatori e dilettanti allo sbaraglio si muovano in totale libertà d’azione (e di latrocinio).
@Giorgio ma vede, lei non dice cose sostanzialmente sbagliate, semplicemente si porta dietro un retaggio ideologico comune a molte persone. Questa idea che “il dialetto è una lingua simpatica, da usare in famiglia o con gli amici per ridere o per sottolineare meglio un concetto” non è affatto nuova. Gli stessi vostri discorsi si sarebbero potuti udire al tempo di Dante, quando la lingua degna d’essere insegnata era il latino, mentre il “volgare”… beh, appunto, era volgare, buono per il basso popolo, deformazione (dialetto) della lingua natia (latino. Qualche secolo dopo spuntavano ovunque maestri che insegnavano a poetare in volgare. E il fatto che si sia scelto il toscano come “volgare nazionale” è da imputare a ragioni politiche, culturali e storiche assolutamente contingenti. Se la medesima situazione si fosse verificata a Reggio Calabria, oggi parleremmo una specie di reggino standardizzato, e farebbe ridere un toscano che pretendesse di chiamare “lingua” il suo volgare dialettucolo. Ciò che il signor Giorgio non capisce, o fa finta di non capire, è che le “koiné” (nel senso ampio del termine) sono state, sono e sempre saranno necessarie a tutti i livelli, ma è impensabile accettare passivamente il fatto che l’idioma locale scompaia del tutto. Probabilmente in Sicilia il problema è meno grave, perché la “koiné” italiana è meno diffusa, ma posso garantire che a latitudini più alte la situazione è ben differente. Tra l’altro, continuo a sostenerlo, se s’insegnasse il “dialetto” anche dove lo si parla regolarmente, lo si tratterebbe come lingua a sé distaccandolo perciò dall’italiano, a beneficio dell’italiano stesso! La stessa cosa avviene comunque con l’italiano, che, sebbene oggi sia la lingua madre di migliaia di bambini, ha bisogno di essere “plasmato” attraverso regole e implementi di cui si farebbe carico la scuola.
Certo, non c’è nessuna necessità di fare lo stesso col dialetto. Si tratta prevalentemente di una scelta culturale, una scelta di amore proprio nei confronti dell’Italia, un Paese che dovremmo amare anche in funzione delle sue diversità. Chi santifica l'”Unità d’Italia” senza tenere conto del fatto che l’Italia è un crogiolo di popoli, culture e lingue (e lo stesso discorso si può estendere all’Europa o al mondo stesso) non può definirsi tollerante né cosmopolita.
chiedo scusa, ma vedo molti post piuttosto “militanti” accettati tranquillamente, con tanto di attacchi personali. Il mio ultimo, in risposta all’utente stupidocane, dopo essere stato “in attesa di moderazione” a lungo, è stato cancellato. Forse che sono stato ritenuto un “truffatore” o un “dilettante allo sbaraglio”? Eppure non avevo offeso nessuno. Semplicemente, esprimevo con grande sincerità le mie opinioni e le mie felicitazioni per il fatto che la splendida Sicilia sappia lasciarsi alle spalle i residui di concezioni ottocentesche. Sarei lieto di una risposta, anche in privato, grazie.
Gioann March Pòlli
Le lingue e i dialetti si evolvono e talvolta scompaiono per molteplici ragioni.
Il celtico era parlato in mezza Europa: non ha resistito né all’avanzata del latino né all’avanzata delle lingue germaniche. Si è sostanzialmente estinto. Cosa è rimasto di vitale e diffuso del celtico? Le pronunce nasali del tedesco in Austria, del francese, del portoghese, dello spagnolo.
I pochissimi locutori del celtico si trovano in aree assolutamente marginali e periferiche come l’estremo ovest dell’Irlanda. Hanno tentato di riportarlo in auge obbligando il sistema pubblico di istruzione all’insegnamento coatto. Lo studiano tutti, nessuno mai sostiene un esame di lingua gaelica e questo su esplicita richiesta dei genitori. Se questo non è accanimento terapeutico. Irlanda e Scozia hanno le loro lingue standard : Hiberno English e Scottish English, semplici varianti di una lingua germanica chiamata inglese. Esse sono perfettamente intellegibili dagli anglofoni avendo solo pronunce differenti dalla parlata standard (sono rotiche e con poco spostamento vocalico). La complicata morfologia, la sintassi e la grammatica del gaelico hanno giocoforza ceduto il passo alla forma semplice ed efficace dell’inglese.
Sono convinto che il tempo non farà che rendere sempre più obsoleto e provinciale un certo tipo di dibattito. Oggi i più accettano acriticamente (è di moda) l’onda prevalente del piccolo mondo antico , della frammentazione, della piccola patria: piccola sempre più piccola. Mi sembra di poter dire che quando si comincia a dire: “proteggiamo la lingua locale” questo sia il sintomo più evidente di quella malattia che la porterà ben presto all’estinzione. Il siciliano non è a rischio di estinzione: è vivo (anche troppo), è parlato, è diffuso ed è in evoluzione anche perché è in definitiva nelle sue strutture, facilmente ibridabile con l’italiano standard. La trasmissione del siciliano continua ad avvenire naturalmente senza rianimazione cardio polmonare.
@thor Non posso che condividere: di fatto le lingue regionali (se vi viene meglio chiamateli dialetti) verranno conglobati nell’italiano. Però è abbastanza deprecabile pensare “in fondo cosa me ne frega, sono destinate a scomparire, scompaiano pure”. Dal momento che alla base di questo fenomeno non ci sono cause diciamo così, “naturali” ma ideologie perverse infuse nei locutori, voglio almeno sperare che i genitori di domani possano riprendere la tradizione orale di quelle lingue nei confronti dei figli. L’unico modo per fare ciò è trattarle col giusto riguardo. Se continuiamo a pensare “dialetto = corruzione della lingua” è chiaro che il dialetto muore. Se invece pensassimo in termini scientifici, come nel 2011 dovrebbe essere scontato fare, capiremmo che il “dialetto” è una lingua (con tutte le sue varianti) che vale la pena continuare a parlare, perché non è inferiore all’italiano né ad altro. Non sarà una lingua “utile”, ma del resto l’italiano lo è? O forse ci sentiamo legati all’italiano in quanto collante della nostra unità nazionale (un po’ precaria, diciamo la verità)? E nell’epoca dell’Europa unita, dell’italiano cosa dovremmo farcene? In realtà, caro Thor, le lingue regionali non sono ancora morte, ma è indubbio che stiano morendo. Tocca a noi scegliere se stare a guardare o almeno rimettere tutto nelle mani della prossima generazione. Posso capire che il siciliano non sia a rischio, ma vi garantisco che molti altri idiomi lo sono, e spariranno entro brevissimo tempo. Se periranno, non se ne accorgerà nessuno. Ma avremo perso un inestimabile tesoro.
Michele Burgio
vedo che ha anticipato un concetto che mi ripromettevo di sviluppare,e cioe’:
dal momento che il siciliano a scuola non si e’ mai insegnato,
chi dovrebbero essere questi docenti
stipendiati con fondi pubblici,
che dovrebbero farsi carico
di dare lezioni di siciliano?
.
Io rilancio l’idea cui ho gia’ accennato.
Oggi che c’e’ a disposizione le rete,non sarebbe meglio creare un testo ON-LINE
accessibile a tutti,
testo da creare ed implementare col contributo
spontaneo ,e non rimunerato,di tutti?
Canessa
vedo che e’ ritornato in scena dopo quell’incomprensibile,per me, messaggio in dialetto genovese.
Lei guarda al passato che e’ morto e sepolto da secoli,e continua con le sue sottili provocazioni.
Vada a farsi spiegare dai linguisti perche’ il toscano si e’ affermato come idioma nazionale.
Mettere in dubbio l’utilita’ della lingua italiana,dopo quello che ho scritto,significa che lei scrive senza leggere e valutare i commenti.
Mi saprebbe dire come dovremmo intenderci tra ITALIANI?.
Come dice Thor,
l’idioma locale non rischia alcuna estinzione,
sono i siciliani che hanno la necessita’ di
conoscere altre lingue,e sono quelli che
si muovono in un mare grande,che si muovono,
che vanno oltre Ficarazzi e Valguarnera Caropepe
(Carrapipi),che vanno dove il LAVORO viene offerto,
ma con qualche prerequisito.
Appena ieri un TV locale ha diramato un messaggio
che offriva la posizione di CROUPIER,su sedi diverse,a condizione di conoscere l’inglese.
Se uno si ferma a raccattare il ferrovecchio a Bellolampo,ovvio che il siciliano gli avanza,pure.
.
In quanto all’Unita’ Nazionale,mi pare sia abbastanza salda,e grazie a questa Unita’
che il paese e’ fra i piu’ industrializzati del mondo,produce ricchezza da potere mantenere anche il centro sud e non certo esportando poesie.
.
Oggi e’ stata la Festa della Repubblica Italiana
e,a fare gli onori di casa alle tante delegazioni mondiali,c’era Giorgio Napolitano.
E,chi vuole intendere,intenda.
@giorgio
1) il messaggio non era in dialetto genovese. Come lei stesso ha fatto nel corso della discussione, ho inserito due proverbi e una frase in genovese. Il resto era in italiano
2) Mi fa ridere il fatto che LEI continui a provocarmi mentre non si rende conto che ho ogni argomento per risponderle. Non ho mai negato l’importanza dell’italiano, tant’è vero che sono mie parole “le “koiné” (nel senso ampio del termine) sono state, sono e sempre saranno necessarie a tutti i livelli”. Con quella frase salvavo l’italiano, l’inglese e tutti i linguaggi che vuole lei. A questo punto mi chiedo se lei sappia cosa significa il termine “koiné”.
3) Quanto al toscano come lingua nazionale, non ci sono valide ragioni linguistiche per giustificarlo, ma piuttosto storiche, politiche, culturali. Se Bembo e i petrarchisti non ci fossero mai stati, forse saremmo ancora qui oggi a discutere su quale lingua innalzare a favella della nazione unita.
4) L’Unità nazionale è talmente salda che un partito secessionista che non voglio nominare annovera propri esponenti in Parlamento pur avendo uno statuto che va sfacciatamente contro l’Italia una e indivisibile così com’è menzionata nella Costituzione. E’ talmente salda che ancor oggi ci diamo dei terroni e dei polentoni. E’ talmente salda che noi dell’Italia ce ne fottiamo, eccetto quando gioca la nazionale. Il sentimento nazionale è una bella cosa, ma conta poco se non si rispettano le leggi, se si evadono le tasse, e se si pensa di poterlo tranquillamente fare.
5) Anch’io festeggio la Repubblica italiana. E mi auguro che quest’Italia inizi a sentirsi orgogliosa di se stessa, unita nelle sue molteplici differenze, finalmente libera dei complessi di inferiorità nei confronti del mondo. Quegli stessi complessi, signor Giorgio, che le fanno guardare alla Cina mentre non si accorge che i problemi li abbiamo in casa. Amichevolmente
@prassitele: vedo che insisti particolarmente sulle lingue celtiche. Non hai però parlato della situazione del gallese. In Galles, il 50 per cento delle scuole, OGGI, è bilingue: inglese-gallese. Non si insegna tanto IL gallese ma IN gallese. Utilizzato veicolarmente. Proprio per evitare l’errore dell’Irlanda, dove il gaelico si insegna come se fosse un reperto del passato, un po’ come da noi il latino. Invece, in Galles, la lingua sta riprendendo fortemente vita e prestigio sociale. E la regione (o nazione, come viene chiamata giustamente nel Regno Unito) ha un’eccellenza in più. Tra l’altro, un’eccellenza proprio nel campo degli studi sul bilinguismo lingua di Stato/lingua regionale, e a Bangor, sede dell’Università, si recano studenti di tutto il mondo. Il governo regionale del Galles ha infatti, da quando esiste, vincolato fortemente la ripresa economica del territorio gallese, stremato dalla crisi seguita alla chiusura delle miniere, ad una “economia produttiva” che sia anche “socio-ecologica”. E funziona. Un esempio, in prospettiva, splendido proprio per la Sicilia. Già, ma “noi”, a gettare in acqua e a rinchiudere nei musei le nostre lingue, siamo “troppo avanti”. E loro “troppo arretrati”… Se parlo di italietta provinciale succube del piccolo mondo antico ottocentesco di “uno stato = una lingua”, una ragione ci deve pure essere. Soltanto che ci ostiniamo a non volerna vedere, al di là dei dati che pure parlano chiaro.
Gioann March Pòlli
ps: tutto quanto ho detto sul Galles è facilmente riscontrabile con una ricerchina minima minima in internet. Se non mi credete, accomodatevi pure.
Joann March Polli
lei e’ l’autore del messaggio del
28 maggio ore 18,13
che considero uno dei piu’ scadenti
di tutto il post,
assieme a quello di Canessa
del 31 maggio ore 10,58.
.
Sono i ragionamenti che portano fuori strada,
quando non si e’ capito.
.
Questa e’ la differenza,
c’e’ chi afferra al volo,
e chi necessita di ripetizioni.
Canessa
continui pure a giocare
secondo lei mi riferivo all’intero commento o ai proverbi in genovese?
In questo lei dimostra una personalita’ fortemente limitata per stare in certi circuiti.
adesso le propongo un nobel
per il koine’.
.
ma cu lu purtaru a chistu?
Canessa
ma cosa scrive sulla Cina?
Che cosa ha capito?
e ora,cu lu
vostru pirmissu
aiu autri chiffari….
Tutto il rispetto per le lingue celtiche.
–
Continuano comunque ad essere marginali.
–
Galles: 600000. 120000 parlano in maniera non esclusiva il gallese e in prevalenza l’inglese.
480000 gallesi non sanno parlare in gallese.
–
Inghilterra: 50000000. parlano tutti inglese e non sanno una parola di una qualsiasi lingua celtica. E’ molto più probabile che parlino tedesco, francese, italiano, latino, greco piuttosto che gallese.
Giorgio
infatti,qui sin dall’inizio si dice proprio,mi pare, che il siciliano NON SI PUO’ insegnare (ne’ sarebbe opportuno)in quanto lingua perche’ “affetta” da certo polimorfismo indomabile e irriducibile a schemi tipicamente grammaticali- sintattici , ma che E’ comunque una lingua.
LA BAlistreri non ha studiato siciliano ma ha pensato in siciliano .
E certamente leggeva e studiava antichi testi scritti in siciliano.
A Giorgio:
“creare un testo ON-LINE accessibile a tutti,
testo da creare ed implementare col contributo
spontaneo ,e non rimunerato,di tutti?”
Chiede a me un parere su una cosa del genere? Vuol dire allora che non ha capito nulla di tutto quello che ho scritto, ahimè!
Il dialetto (come ogni espressione linguistica) è un oggetto di studio di una certa complessità! Dagli aspetti grammaticali (fonetici, morfologici, lessicali, sintattici) a quelli volti in diacronia, diastratia, diafasia, diamesia è giusto che sia affrontato da professionisti. Cosa ce ne faremmo di un testo babelico online, dove chiunque arrivi dice la sua inesattezza?
Io ero e resto dell’idea che esiste già chi può formare gli insegnanti: i docenti di Dialettologia. Nella sola Università di Palermo quelli strutturati (ordinari, associati, ricercatori) sono sei, cui attualmente si aggiungono due assegnisti di ricerca, una decina di dottori di ricerca e tre dottorandi in corso di borsa… Senza contare istituzioni di pregio come il Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani (www.csfls.it). Gente che ha speso e spende la propria vita professionale (e, in realtà, non solo quella) per portare avanti progetti misconosciuti e poderosi come il Vocabolario Siciliano in cinque volumi o l’Atlante Linguistico della Sicilia…
Mi viene sempre una certa malinconia a pensare che tutto questo esiste già e che è praticamente semisconosciuto… Progetti gestiti anche con fondi pubblici (spesso non generosi ma che comunque permettono a queste istituzioni di sopravvivere) e che quindi vorrei che al pubblico ritornassero, anche perché la gente possa vedere che quei soldi sono spesi bene, per produrre pubblicazioni di valore.
due parole sul concetto d’unità nazionale. se per unità nazionale s’intende che debba scomparire la lingua, la cultura e le tradizioni siciliane, io sono contrario all’unità nazionale, e spero che quest’italietta di truffatori, mafia, e cattolicesimo retrograde sparisca con esse il più presto possibile. se l’unità nazionale(cosa che mio malgrado penso perché abbastanza dimostrabile storicamente) deve reggersi su un nord industrializzato che tallona da vicino i paesi più “progrediti” d’europa, e un sud mantenuto volutamente sottosviluppato, succube, suddito e consegnato (anche questo facilmente dimostrabile storicamente) alle criminalità organizzate, io sono contrario all’unità nazionale.io ieri non ho festeggiato un bel niente, e continuerò a non festeggiare fino a quando non constaterò un’inversione a queste due tendenze dello stato unitario sopra descritte. infine, mi fa rabbia che molti siciliani non conoscano la storia contemporanea della loro\nostra isola. e ora, se volete, sputami addosso.
Michele Burgio
le do’ un consiglio.La prossima volta che affronta un tema,non ci venga a raccontare le informazioni basilari dopo un centinaio di commenti.
Si concentri,rifletta sul fatto che si rivolge ad una platea che di queste storie sa poco o niente,
dica tutto quello che sa sull’argomento e ponga dei quesiti precisi.
Se in uno di questi quesiti avesse chiesto se sia corretto IMPORRE il siciliano a tutti
gli scolarizzati,la mia risposta ,per quel poco che puo’ valere,sarebbe stata ed e’ NO.
Se avesse chiesto se sia il caso di finanziare
un progetto a termine,finalizzato a realizzare
un Vocabolario o un Atlante ,avrei chiesto di sapere chi e quanti sono e per quanto tempo i soggetti interessati e la risposta mia personale,sempre per quel poco che puo’ valere,
sarebbe forse stata SI.
.
In quanto a quello che lei definisce testo babelico ON LINE,sono in totale disapprovazione,
WIKIPEDIA DOCET.
Wikipedia e’ l’esempio che si puo’ sapere,praticamente tutto su tutti ed in tutte le epoche.C’e’ chi sa le cose e le scrive,e ci sono i gruppi organizzati di CONTROLLO.
e FUNZIONA ALLA GRANDE.
FOLKLORISTA
ma mi dici chi te lo fa fare a riproporre le questioni che riproponi?
Lingua o dialetto,non cambia niente.
La cosa importante e’ decidere se il siciliano,che non e’ mai stato insegnato alla scuola dell’obbligo,e’ giusto che venga insegnato nel 2011.Cui prodest?
Nei paesi come gli USA e la CINA
vige la pena di morte.
Qualcosa vorra’ pur significare che le prime 2 potenze mondiali mandano a morte chi commette gravi delitti.
In Cina,rubare nella pubblica amministrazione
e’ considerato grave delitto.
a Burgio
credo che lei non ha capito nulla di quello che ho scritto io.
Gia’ molti commentatori hanno sottolineato che
il lessico dialettale cambia da provincia a provincia,o giu’ di li’.
Ergo,sarebbe un’opera umanamente impossibile
mettere ordine a questa babele,senza alterarne
le specifiche connotazioni.
Per questo non rimane che affidarsi ad un esercito di volenterosi che da ogni singola localita’
raccolgano le testimonianze dirette del linguaggio,
cosi’ come si presenta in ogni luogo.
l’Unita’ Nazionale
in merito al linguaggio
SI BASA SULLA LINGUA ITALIANA.
.
L’Italia e’ un paese unito
e dentro i suoi confini
tutti sono soggetti alle stesse regole.
.
Repubblica e Democrazia per tutti.
.
LA LEGGE E’ UGUALE PER TUTTI.
.
La Repubblica Italiana si fonda sul LAVORO.
@giorgio
La ringrazio e continuo a rispedire al mittente le provocazioni. Chissà chi è lei per spargere giudizi sulla qualità o meno dei commenti.
1) Sul messaggio in genovese
“ma cu lu purtaru a chistu?”
“e ora,cu lu vostru pirmissu aiu autri chiffari…”
Vorrei farle notare che lei stesso ha usato una “parrata pi li viddani” (tutte parole sue) che nonostante tutto ho capito perfettamente, pur vivendo dall’altra parte dell’Italia. Se lei ha elementari problemi di comprensione il fatto non mi tocca.
2) Sull’Italiano/Unità Nazionale: continui pure a sparlare. Ho mai negato che l’Italiano sia necessario per comprenderci tra italiani? L’italiano è FONDAMENTALE nel momento in cui io son genovese, tu sei siciliano ed evidentemente non possiamo comunicare se non con una lingua che conosciamo entrambi. Punto. Ma siccome lei fa discorsi sull’inglese e sul cinese, io le chiedo: bisogna allora eliminare l’italiano dalla scuola, dal momento che credo nessun bambino lo impari nelle aule scolastiche (tant’è vero che molti anziani oggi comprendono l’italiano ma parlano solo “dialetto”, soprattutto nel Meridione) per insegnare l’inglese o il cinese, dato che sono le uniche lingue “utili” per trovare lavoro oggi? E cosa ne facciamo di storia, musica, arte… insegnano forse qualcosa di “utile” ai fini di un’economia globalizzata? Mi risponda.
Lei fa il gioco di chi ha detto che “con la cultura non si mangia”. Confonde una realtà squisitamente pratica con l’esigenza di salvare una realtà culturale. Anche le foreste pluviali stanno sparendo, e infatti l’umanità ragiona come voialtri, che tanto molte cose sono destinate ad estinguersi. Eppure, a cosa servono le foreste pluviali se non a farne carta e legna?
Ora si studi la prossima provocazione. Saluti.
Un’altra cosa, se posso permettermi. Anche il lessico italiano varia da regione a regione.
Italiano : Italiano regionale = lingua regionale : dialetto locale.
Eppure si è trovata una forma standard per l’italiano, con buona pace di tutti. In base a cosa sarebbe impossibile per un “dialetto”?
@ Giorgio:
innanzitutto grazie per le perle di saggezza (“il lessico dialettale cambia da provincia a provincia,o giu’ di li’”).
L’ “opera umanamente impossibile:
mettere ordine a questa babele,senza alterarne
le specifiche connotazioni” vedrà che non è poi così impossibile, se si adoperano gli strumenti della dialettologia. Le do due indicazioni bibliografiche recenti ed interessanti: S. C. Trovato, La Sicilia in I dialetti italiani, UTET, 2002, pp. 834-97; G. Ruffino, Sicilia, Laterza, 2001.
Poi, per fortuna l’operazione che dice lei (“non rimane che affidarsi ad un esercito di volenterosi che da ogni singola localita’ raccolgano le testimonianze dirette del linguaggio, cosi’ come si presenta in ogni luogo”) il Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani (www.csfls.it) la porta avanti da sessant’anni.
Più specificamente, l’Archivio delle Parlate Siciliane, diretto dal prof. Vito Matranga e che ha sede presso il Laboratorio di Geolinguistica (Edificio 12, primo piano)del nostro Ateneo, è a disposizione di tutti.
canessa
1.Il piccolo particolare che sfugge al suo acume e’ che io posso parlare siciliano,e lo faccio quando parlo cu li viddani,
ma li viddani conoscendo solo il siciliano,
non potrebbero parlare con me in italiano.
.
2.lei manifesta un ulteriore affondo di acume quando si pone il problema di eliminare l’italiano dalle scuole,e pone il quesito.Ho gia’ scritto che certi circuiti non sono consigliabili per determinate specie umane.Solo un pazzo potrebbe pensare di togliere lo studio della Lingua madre
dalla scuola,e la lingua madre e’ l’ITALIANO
(devo precisarlo perche’ altrimenti con lei si corre il rischio di vedersi presentare il siciliano.
.
Inglese e Cinese non sono,ovviamente, le uniche lingue utili per trovare Lavoro,ma sicuramente
sulle rotte dell’emigrazione italiana,e quindi anche siciliana,ci sono paesi come gli USA
nei quali l’INGLESE e’ fondamentale se non si vuole finire a fare il lavapiatti.
Io ho solo scritto,e ribadisco,
invece del siciliano,
STUDIATEVI L’INGLESE
ED IL CINESE,
essendo la Cina la nuova potenza emergente.
.
REPETITA JUVANT
.
Augurandomi di averle chiarito le idee su questi pochi concetti elementari,resto sempre a sua disposizione qualora ritenesse necessario
un ulteriore mio intervento.
Non esiti ad interloquire.
E con questo passo ai distinti saluti
per un dialetto l’impossibile lo ha gia’ dimostrato lei stesso,scrivendo i proverbi in genovese,di cui non ci ho capito un’acca.
Capiscisti?
Michele Burgio
grazie per le informazioni che continua a darci
a piccole rate,
informazioni che qualcuno potra’ ritenere utili.
.
I miei progetti e programmi viaggiano su altre
direttrici,come ovviamente emerge da quanto da me scritto.
In altri termini non ho alcuna curiosita’,voglia,convenienza,
attitudine,predisposizione,a dare il mio tempo per apprendere che Nniria vuol dire Andrea,
cosa per altro che gia’ sapevo.
Per me se uno ama farsi chiamare Nniria,io lo chiamo Nniria,e va bene cosi’.
comunque,vi faccio notare,che un certo Giuseppe
in data 3 giugno ore 11,42
ha aperto la questione dell’Unita’ Nazionale
ed e’ a lui che mi riferivo col mio commento.
.
Quindi,signor Canessa,se dissente da quello che io ho scritto in proposito,
le consiglio di riparlarne con il signor Giuseppe.
Michele Burgio
quando si riporta una perla di saggezza,
e’ meglio mostrarla per intero.
.
Io ho scritto
“Gia’ molti commentatori hanno sottolineato che
il lessico dialettale cambia da provincia a provincia,o giu’ di li’.”
.
Quindi le chiedo di non attribuirmi perle
da me immeritate.
.
Si rilegga i commenti al suo post e
scopra le fonti di determinati concetti.
Ad ogni modo
.
http://www.siciliainformazioni.com/giornale/politica/126112/napolitano-congratula-parata-giugno-mostrata-immagine-viva-nostro-paese-scena-internazionale.htm
e,questo che e? :
.
http://www.linguasiciliana.it/sicita.htm
adesso proporrei di chiudere,dando il link
su un documento che avrebbe dovuto costituire la base di ogni discussione di questo post.
Targato MPA
Movimento per l’Autonomia Siciliana
ci spiega il tutto,ed anche certi commenti.
.
http://www.linguasiciliana.org/2011/04/la-lingua-siciliana-a-scuola-approvato-ddl-allars/
le volevo rammentare signor giorgio che la legge è stata approvata all’unanimità. o forse vuol far intendere che i politici siciliani, nessuno escluso, siano tutti degli autonomisti incalliti, impazziti?
p.s.io sugnu ‘i ‘n palièjrmmu e parru sicilianu cu cuegghiè e dunnegghiè:a’ chièsa, ‘ò stadio, ‘ò tiatru, a l’univejrsità; a firenze, a napuli, a milanu:dunnegghiè. avutri chi viddani…
I’m sorry for you, but this is the truth.
Io non capisco cosa si ottiene a fare tutte queste polemiche nel momento in cui viene fuori un’opinione discorde.
.
I commenti a questo post mi hanno spinto a fare qualche semplice indagine,
e cosi’ posso darvi un link da cui si evince che
il finanziamento da parte della Regione Sicilia
ad una miriade di enti e’ roba vecchia.
Eccovi un prospetto di spese relative al 2002
con i relativi beneficiari.
il Link
http://www.linguasiciliana.org/2007/07/u-finanziamentu-da-riggiuni-pi-linsegnamentu-du-sicilianu-na-li-scoli-20012002/
Giuseppe
se va a guardare i commenti sul Documento di legge,
che sono in calce allo stesso,
scopre che qualcuno mi aveva preceduto
nel classificare il siciliano.
in quanto a chi ha fatto sfoggio di termini
ellenistici,
ecco cosa dice Wikipedia sul Koine’
.
http://it.wikipedia.org/wiki/Koin%C3%A9
.
pertanto ritirerei il nobel…
@Giorgio
“Con il termine koiné, nel corso dei secoli, si è spesso indicato qualsiasi linguaggio condiviso da culture e popoli diversi, originario o predominante sulle varie lingue e forme dialettali di un’area più o meno estesa”. Ora mi spieghi dov’è il problema col termine che ho usato io. Detto ciò, lei ha un livello di acume talmente alto che non capisce neppure l’ironia dei commenti! Secondo lei sostengo realmente di dover eliminare l’italiano dalle scuole? Sostenevo solo che, secondo le sue tesi, perfino l’italiano sarebbe ormai arretrato… Ma non so se riesce a cogliere. In secondo luogo se lei afferma di parlare il siciliano “cu li viddani” e lo parla con me, o lei si contraddice oppure mi dà gratuitamente del villano. E se lei intende per “villano” uno che parla la sua lingua regionale, ben contento di esserlo, altrimenti lo vada a dire a qualcun altro. E cerchi di finirla con le sue sottili provocazioni sull’acume, sull’intelligenza e cose varie. Almeno finché non avrà dimostrato di essere superiore a ciascuno di noi.
Inoltre: “Solo un pazzo potrebbe pensare di togliere lo studio della Lingua madre
dalla scuola,e la lingua madre e’ l’ITALIANO”. Dunque se uno impara come lingua madre il siciliano, dovrebbe obbligatoriamente studiare il siciliano? La lingua madre è relativa all’individuo, non alla nazione in cui si nasce! Nel momento in cui la lingua madre è tale sarebbe perfino superfluo studiarla, perché se venisse appresa in maniera corretta le regole si conoscerebbero e si applicherebbero spontaneamente. Tuttalpiù si potrebbe studiare la letteratura.
Canessa
mi pare che ci troviamo in una situazione disperata,
e drammatica.
Ogni volta che va a formulare un tentativo di ragionamento,la cosa si aggrava.
Non siamo qui per dimostrare chi sia piu’ bravo
fra i tanti piu’ o meno anonimi personaggi.
Lei si studi il siciliano.
Io cerchero’ di capire se ho attitudini per il cinese.
Che ne dice se ci leviamo mano?
.
Intanto vi ho mostrato che la Regione da molto tempo distribuisce soldi per insegnare il siciliano.
Quanti lo sapevano?
Che cosa ne abbiamo ottenuto?
Che molti tra i nostri emigrati si ritrovano in terre straniere a livello di analfabeti,
e quindi enormemente svantaggiati.
Ma guardi che io non voglio dimostrare proprio niente. I guidizi sulla qualità dei commenti li ha fatti lei, lei ha ridicolizzato, lei provoca. Per me non sussiste alcun problema. Evidentemente nemmeno l’italiano serve a comprendersi appieno. Probabilmente se avesse scritto in siciliano avrei capito meglio, forse perché sarebbe stato più diretto. Buona domenica
Canessa
Ella ha una vocazione deduttiva.
Non fa che dedurre.
L’ultima pure sulla lingua madre.
Onestamente non ci ho capito nulla su cosa volesse dire.
Credo che questo sia il mio grande limite.
Dietro i suoi ragionamenti,mi perdo come in una valle pervasa dal nebbione.
Vuole l’ultima parola?
Se la prenda,
ma non apra altre dispute.
E’ solo un consiglio,ovviamente.
Decida liberamente.
e non dimentichi,ogni sera,di rileggersi
il suo messaggio del 31 maggio delle 10,58,
messaggio fatale.
Apro tutte le dispute che voglio aprire, non m’importa avere ragione. M’importa solo che si rimanga nei limiti della correttezza e della libertà di pensiero. Non sono io ad aver dedotto “affondi di acume” e cose simili. Possiamo avere opinioni distanti anni luce, ma non mi mai sono permesso di dare giudizi su quanto lei sia furbo o meno. In ogni caso può risparmiarsi i salamelecchi, ho 18 anni scarsi e non mi offendo se mi dà del tu. Sarei semplicemente onorato se non prendesse in giro la gente ad ogni risposta. Poi faccia come crede
Comunque veda di spiegarsi invece di criticare e basta. Mi spieghi ora cos’ha da dire sulla lingua madre. Trovi un punto scorretto in quello che dico. Abbia il coraggio di dimostrare
viri ca manci pani scurdatu.
dal tuo messaggio del 31 maggio delle 10,58,
“…Il signor Giorgio, che è il più agguerrito, si contraddice da solo dal momento che scrive in italiano. Ma come, ormai tutti parlano inglese e lei ancora scrive in italiano??? Come mai ancora non s’è adeguato?…”
E alcune frasi dopo,mi dai del “retrogrado”.
.
Dunque,io che propongo l’INGLESE ed IL CINESE
per potere affrontare le nuove sfide degli anni 2000 sarei un retrogrado.
.
Sarcasmo (mal riuscito,perche’ e’ una roba da psicanalisi affermare che dovrei parlare inglese in un contesto italiano,fra italiani)
seguito da grave offesa,
.
Quindi,caro ragazzino coetaneo,
ammesso che tu lo sia veramente ,
o stai facendo il finto tonto,
vedi di darti una regolata
e
quannu ti trovi mmenzu li cristiani
un po’ fari u canazzu ri mannara.
cos’altro ti devo spiegare?
Mettiti accanto uno che ti possa spiegare,e rileggetevi i commenti uno per uno,
troverai tutti i chiarimenti che ti possono aprire il cervello in quello che e’ stato gia’ scritto.
.
Trovo un caso abbastanza singolare che uno che sta a Genova posti su un blog palermitano.
lasciami qualche dubbio.
Gioann March Pòlli i commenti rimossi violano la policy dei commenti.
Giorgio non sta a te decidere se e quando i commenti a un post siano da concludere.
Vi invito a essere rispettosi nei vostri commenti e a rimanere in tema e vi ricordo che questa non è una chat. Grazie.
Rosalio
con tutto il rispetto dell’ospite,
quale mi considero,
io ho scritto
“proporrei di chiudere”
(ed era rivolto ad uno specifico lettore,
oltre che a me stesso).
Ovvio che non decido un bel nulla.
@Giorgio
Ha ragione, anch’io chiuderei qua. Lei fa tanti discorsi sul “contesto italiano” e sull’unità nazionale e poi rinfaccia a me che sono genovese di aver scritto in un blog palermitano. Invece la informo che il post mi è stato reso noto tramite Facebook. In merito al commento che lei ha più volte menzionato, ne ripeterei convinto ogni singola parola, sicuro tra l’altro che “retrogado” non sia un’offesa e che comunque c’era dell’ironia, mentre altre espressioni sottili da lei usate sono velatamente offensive. Comunque. Lei non ha ancora dimostrato quale errore ho commesso nell’uso della parola “koiné” e in tutto il resto che lei contesta. Si risparmi di rispondere, perché non capiterò più su questa pagina a perdere tempo con dei professoroni presuntuosi e provocatori. Mi stia bene e mi raccomando, si studi il cinese se vuole restare al passo coi tempi
Ultima cosa, tanto per citare le cose integralmente: “Forse il retrogrado è lei, che non riesce a distinguere l’esigenza – sacrosanta – di conoscere codici per l’intercomunicazione tra popoli diversi e la necessità – altrettanto sacrosanta – di trasmenttere ai posteri il patrimonio culturale locale ereditato per innumerevoli generazioni.”
Le assicuro che è lingua italiana, può capirla benissimo
a chi servi cuntinuari a cociri l’ovu ruru?
Girala comu ti pari sempri cucuzza e’.
.
Tengo a sottolineare, dopo più di un anno e mezzo dall’ultimo commento, quanto segue:
http://www.csfls.it/index.asp?id=56