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mercoledì 25 dic
  • La rivincita del balcone

    Nei miei 14 mesi trascorsi a Bologna mi sono sempre chiesta come facessero i bei palazzi antichi del centro a non avere i balconi. E soprattutto mi chiedevo quali vie di fuga avessero gli abitanti di quei palazzi antichi nei momenti di malinconia urbana. Perché il balcone in fondo è un po’ un rifugio: del fumatore appestato che altrimenti infetta la casa di cancro e di tabacco; dell’uomo agreste che coltiva un angolo di campagna nel suo pezzo di città; delle vecchiette che non uscendo più di casa vivono ormai nei passi e nelle incertezze della gente che vedono dall’alto.
    Il balcone bolognese è spesso interno, nascosto, camuffato da terrazzino: non dice niente della vita della strada. Tutto l’opposto del balcone palermitano. Bologna è una città che, sia per ragioni climatiche che a causa del coprifuoco, vive molto gli spazi interni: la strada, così come la piazza, sono vivibili solo in piena estate e nelle ore diurne. D’inverno si sta stipati nei locali in cui la distanza prossemica è pressoché azzerata e, solo coi primi tepori, appaiono capannelli di gente seduta al centro di piazza Maggiore o piazza Santo Stefano, che finalmente si animano dopo essere rimaste deserte per mesi. Momenti di riappropriazione urbana stagionale. Del resto ogni città ha i suoi: ad ogni primavera Bologna inaugura piazza Maggiore, Palermo piazza Magione.
    Il vero trauma, da palermitana, è stato dover rinunciare alla piccola serra odorosa sul balconcino di casa. Persino coltivare un po’ di basilico è diventato un problema: i davanzali dei suddetti palazzi d’epoca, certo abbastanza ampi, presentano problemi di sicurezza pubblica. Tra il vento e le colombe, il rischio caduta-in-testa-al-primo-che-passa ha reso l’esperimento di giardinaggio abbastanza arduo.
    Cerniera tra lo spazio interno, chiuso, privato, intimo della domesticità e lo spazio esterno, aperto, pubblico e sfrontato del quartiere, il balcone in estate si trasforma in loggiato per meglio gustare il teatro della vita. Riflettevo su quest’aspetto durante un aperitivo a Piazza Rivoluzione. Con me, a sorseggiare mezza birretta ghiacciata, oltre al mio amico Peppe anche le signore del terzo e quarto piano del palazzo in faccia al locale. Prendisole smanicato d’ordinanza, immancabile ventaglio scaccia mosche, sedia in posizione strategica per meglio ammirare il brulichio di anime qualche metro più in giù. Da che io ricordi, così è sempre stata l’estate di mia nonna: affacciata al balcone a prendere il fresco e a controllare il via vai di gente dal palazzo. Una sorta di Facebook fuori dallo schermo, in cui gli aggiornamenti di stato arrivano in diretta e senza filtri. Le finestre che si aprono non sono nel browser ma a casa degli altri, dove basta una luce accesa per spiare la vita del vicino, puntando sul vedere e non essere visti (che è, diciamo, la grande fortuna di Facebook). Insomma, anche prima dell’era Zuckerberg, le nostre nonne avevano i loro segreti per tenersi aggiornate sui fatti degli altri.

    Ospiti
  • 4 commenti a “La rivincita del balcone”

    1. Ma ci credi che proprio ieri sera parlavo con una mia amica svedese del ‘Facebook’ dei balconi palermitani? Ahahaha fantastico!

    2. Mi piace!

    3. Grazie Ciccio e grazie Lucio. La funzione “spia” dei balconi è grandemente sottovalutata a mio avviso!

    4. Concordo con quanto detto nel post. “Facebook fuori dallo schermo” è fantastico!! 😉

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