E un giorno o l’altro lo vedrò sbucare dal seminterrato. Lo inseguirò con lo sguardo: lo sdegno che gli sfregia il mento, gli occhi stanchi, la camicia stropicciata da una notte spesa a vincere per sentirsi sconfitto. Né buongiorno né addio. Una custodia che rintocca sulla coscia.
Sul dissolversi di quell’allucinazione indotta da noia, portici e cemento, Eddie Felson, lo spaccone del biliardo, sparirà verso piazza San Francesco di Paola. Si lascerà alle spalle me e l’unico posto di Palermo nel quale mi sembra probabile che possa apparire. Ma io, non contento, butterò il cervello su un dolly: azionerò un comando mentale e dondolerò su per la spina dorsale del grattacielo in controluce, quello con l’insegna ovale in cima. Vorrò trovare la finestra con le tapparelle bianche – deve essercene una, a metà dei diciotto piani – e da quelle fessure spierò Marion Crane, ladra per impulso, e Sam, della bottega di ferramenta. Sono seminudi, nella stanza di quell’albergo in cui si evitano domande alle coppie non sposate. Marion e Sam non sanno ancora di Norman Bates che tagliuzzerà i loro destini; Sam e Marion discutono di un futuro che sta per separarli. Convinti di essere a Phoenix, Arizona.
Fine del primo tempo: stanco di sentirmi ostaggio di un’America virata seppia, passerò al colore. Continua »
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