“La traversata” di Salvo Toscano, un estratto
Un attraversamento di Palermo in macchina che dura 18 ore. In mezzo, per i tre protagonisti, un giovane precario palermitano e due stravaganti turisti americani, mille peripezie: cortei di ex detenuti, cassonetti rovesciati, strade chiuse per lavori ma senza che si veda un lavoratore, partite del Palermo, sagre del pesce organizzate per scroccare soldi all’Unione europea e improbabili tornei ciclistici. È la trama de La traversata (Novantacento edizioni, 96 pagg., 7 euro), il nuovo libro di Salvo Toscano, in questi giorni in libreria e in edicola con I love Sicilia.
Ne pubblichiamo un estratto su licenza dell’editore.
Dal grande bar della piazza c’è un viavai continuo di avventori armati di arancina. Patty li nota: “Arancini!”, esclama come se urlasse “Terra!” dall’albero della Santa Maria (o della Nina o della Pinta, fate voi).
“Arancine”, correggo io. Che per un palermitano, “casa” è giusto appunto il perimetro territoriale all’interno del quale le arancine vengono chiamate come si deve. Cioè al femminile, ça va sans dire. Perché per un panormita è matematico che se una cosa in questa città si fa in un modo diverso dal resto del mondo, è perché il resto del mondo è nel torto. Palermitani. Figli di un dio maggiore. E pertanto irredimibili.
Spiego a Patty che il locale è rinomato in città proprio per questa specialità, le succulente palle di riso fritte. Alla carne o al burro. Ottime le prime, anticamera del paradiso (e della inevitabile acidità di stomaco) le seconde. Bob gioca d’anticipo e, rassegnato, mi chiede dove può parcheggiare. Domanda impegnativa, visto che trovare un posto da queste parti è difficile quanto scovare una vergine in una discoteca di Ibiza. Ci va bene dopo dieci minuti di tentativi.
Al bar c’è un po’ di ressa. Prendiamo tre arancine e altrettante birre, paga di nuovo tutto Bob, e ci accomodiamo fuori a sfondarci le budella. Sul marciapiede due ragazzetti con capigliatura da popstar britanniche e vocali spalancate genuinamente locali stanno terminando il loro pasto. Uno dei due si terge alla meno peggio la bocca con la salvietta del bar e con grande nonchalance la lascia cadere per terra.
Un elegante vecchietto coi baffi ben curati passa da lì in quel preciso istante e, ammantandosi di un’aurea di socratica saggezza, ammonisce il capellone.
“A casa butti l’immondizia per terra? Non lo sai che la strada è anche tua?”.
Il giovanotto gli rivolge una rapida occhiata con aria di sufficienza. E impassibile gli risponde:
“La vuole venduta?”.
Le coincidenze letterarie, anch’io in tempi non sospetti scrivevo di arancine nel mio blog,
http://www.pensierinblu.com/blog/2011/06/21/le-arancine-di-pablo/
Voglio un gran bene ad Andrea Camilleri, lo considero quasi un parente, divoro ogni suo nuovo romanzo, lo ammiro per la sua capacità produttiva, inesauribile, per la sua vena creativa, amo i suoi personaggi storici così tremendamente siciliani, rido con le lacrime, quando nella lettura mi imbatto in Catarella e adoro il commissario Montalbano. Con il dutturi siamo simili per gusti letterari, per scontrosità, per una grande generosità camuffata da crudele ironia e amiamo entrambi la buona tavola e i sapori della nostra terra.
Ma c’è una cosa importantissima che ci separa: si chiamano ARANCINE! e non ARANCINI!
Credo che siano la ghiottoneria di strada meglio conosciuta della nostra ricca offerta di abusi di gola. Quando verrete a Palermo, troverete nelle vie dei quartieri popolari (fieri conservatori delle nostre tradizioni e dei nostri sapori), le Friggitorie, luoghi dove gli alimenti più svariati sono accompagnati da un comune denominatore: la frittura d’olio. Sulla qualità dell’olio possiamo spesso discutere e recriminare, anzi per noi mangiatori metropolitani è uno dei principali argomenti diconversazione. La regola vorrebbe olio d’oliva, ma spesso si trovano olii di semi o olii piuttosto vecchi. Quindi il primo buon consiglio da dare all’avventore incauto è farsi consigliare da chi è più esperto, ci vuole uno stomaco da vero palermitano per digerire certe fritture e non ci si abitua in un giorno (io per esempio sono ancora in una fase di avvicinamento al concetto di sbutriato, ovvero di stomaco bucato, che permette quindi di digerire tutto, la massima palermitanità possibile per un’intestino).
Le friggitorie non si riconoscono per l’insegna, ma per la lunga scia di odori con cui inondano la strada. Ci si trovano i gusti più svariati: carciofini, cardi e broccoli in pastella, panelle e crocchè di patate, gamberetti e calamari, melenzane e zucchine, frittola e ARANCINE.
L’arancina è la regina delle friggitoria. Merita il titolo per forma, profumo, gusto e bellezza plastica. Noi teniamo tanto alla forma delle nostre golosità, basta pensare alla cura che mettiamo nel fare la frutta di Martorana.
Oggi i gusti delle arancine sono i più svariati, salmone, gamberetti, zucca rossa, pistacchio di Bronte, spinaci, pollo…ma la tradizionale è quella al ragù di carne.
Non esiste una ricetta univoca per prepararla ognuno di noi vi aggiunge il proprio personalissimo tocco, a volte si può essere tacciati di eresia per un’aggiunta troppo audace, oppure, pubblicamente lodati per avere trovato qualche geniale gusto che coniuga tradizione e sapore (ma è un caso davvero raro che si possa assurgere a tale onore).
Provo a darvi la mia personalissima versione di arancina. E nel farlo sò che qualcuno già storcerà il naso, ma ci voglio provare lo stesso.
La cosa più importante nell’arancina è il riso, dovete assicurarvi di prendere un riso che non scuocia e che mantienga intatta la sua fragranza, bisogna sentire in bocca ogni singolo granello, la magia potrebbe svanire prima di iniziare. Sono aboliti i risi al nero di seppia, rossi e basmati, con questi vi candidate alla scomunica dalla religione dei ghiottoni.
Bollite il riso, esaltando la cottura con del buon sale marino e a due minuti dalla fine dello zafferano -che avete comprato in qualche vostra vacanza- ma senza eccedere, fate assorbire tutta l’acqua, mescolando a ritmo di danza, quindi è indispensabile ascoltare della buona musica, vedrete che il sapore ne risentirà positivamente. Le energie positive sono processi osmotici di magia e la cucina ne risente parecchio.
A questo punto, finita la cottura, unite prontamente delle uova (se trovate quelle bianche, oltre a fare un salto indietro nella vostra infanzia, troverete un altro pizzico di magia), mescolate rapidamente e unite del burro e del caciocavallo ragusano ben stagionato grattugiato. A questo punto inizierete ad essere inondati da un profumo speciale. Lo dovete lasciare raffreddare e dedicarvi alla preparazione del ragù.
Mi raccomando fatevi dare del buon capuliato (trito di maiale), dal vostro macellaio di fiducia e iniziate a prepare il ragù utilizzando del pomodoro siccagnolo, a fine cottura lasciate cadere dei pistacchi, del primo sale o tumazzo, e del caciocavallo grattugiato, la cucina ora sarà decisamente inondata di profumi e la magia avrà inizio.
Non dimenticate di cambiare cd e di mettere del rock, arriva la parte più divertente, la composizione dell’arancina! Prendete il riso che ormai sarà freddo e mettetelo nel palmo di una mano inumidita, piegata a mo’ di cucchiaio, quindi, riempite di ragù l’incavo e con un altra mano richiudete con un altra dose di riso. Avrete quindi una forma tondeggiante, ma per somigliare ad un’arancia occorre ancora del tempo, dobbiamo passarle, nella farina, nell’uovo sbattuto e nel pan grattato. Dopo che lo avrete fatto, potete friggerle in olio d’oliva bollente, appena saranno dorate, tiratele fuori e asciugatele con la carta assorbente per togliere l’eccesso d’olio.
Ed ora ditemi se non somigliano a delle arance? indi non possono che chiamarsi ARANCINE!
Buon appetito!