Cercasi Dostoevskij
Succede quasi a scadenza annuale. Di solito a inizio estate, qualche volta alle soglie dell’autunno. Qualcuno si stiracchia, mette mano alla tastiera e disserta sullo stato della letteratura e/o della narrativa palermitana. L’argomento della conversazione di solito verte su due tormentoni: lo strapotere di genere del giallo alla Camilleri (o, discutendo di Palermo, sarebbe più preciso tirare in ballo Santo Piazzese) e la mancanza di un romanzo sociale e civile di conio palermitano, un Gomorra isolano, per intenderci. I tormentoni sono intercambiabili (perniciosa moda del giallo prima e carenza d’impegno poi, o prima la carenza d’impegno e le colpe del giallo che chiuderebbero il cerchio). La conclusione è sempre la stessa: lo spessore letterario a Palermo non esiste. Non c’è una opus magna, una bibbia di riferimento che riassuma in sé tutto quello che di Palermo e su Palermo bisognerebbe scrivere (per salvarla, almeno sulla pagina, beninteso): trama avvincente, stile tagliente, struttura prodiga di riflessioni, j’accuse socio-morale, spessore che solletichi l’attenzione di critica e di giurie di premi nazionali e internazionali, scandalo, cronaca, ironia, agganci storici, personaggi indimenticabili, uso creativo – e filologicamente rigoroso – del dialetto. Insomma, si vagheggia di un’opera (e di un autore) che riassuma tutte le virtù dell’arte del narrare, e la cui esistenza sarebbe possibile solo se si unissero venti cervelli pensanti e raccontanti sotto un solo nome, o meglio ancora se si materializzasse un genio letterario al pari di Dostoevskij (ma panormita) che contenga in sé una visione limpida, netta, definitiva della “creatura Palermo” e delle sottocreature che vi si agitano. Nel frattempo, in questa operazione lamentosa e velleitaria, io credo che ci si perda quello che già esiste. Magari disperso in mille rivoli (alcuni brani postati su Rosalio o su altri blog, per esempio, fanno parte di questa emorragia di pensieri, idee e riflessioni) o in un unico rigagnolo letterario dimenticato dai più (e mi si perdoni qui un atto di civetteria: io ho scritto nel 2007 un romanzo su Palermo e per Palermo – Figlio di Vetro, Einaudi –, che credo contenga, sotto la maschera dell’invenzione narrativa, molto di quello che avevo da dire su questa città, dai tardi anni ’70 ai primi ‘90).
Rivendicazioni personali a parte, mi domando: se si mettessero insieme le voci sparse nel web e nei romanzi scomparsi dagli scaffali, non si otterrebbe una polifonia su Palermo? Chi ci dice che un grande romanzo su Palermo (un mosaico di firme dalle tessere scompigliate eppure vivide) non esista già? È proprio necessario invocare un gigante letterario cittadino che non esiste, o che forse esiste, ma non come lo vorrebbero gli eterni scontenti?
Mi rispondo che non va così. Perché si sa: inforcare occhiali e senso critico, e cercare, e ricordare, e spiluccare, e valorizzare l’esistente è lavoro faticoso. Richiede più tempo e dà meno soddisfazione che anelare l’irraggiungibile.
Credo che una “necessità” di trovare il romanzo definitivo su Palermo o l'”Autore palermitano” (con la A maiuscola) non esista. Sono lprincipalmente le notizie interessanti che mancano a fine estate, e costringono gli eterni scontenti a lamentarsi ancora e riprendere la chiaccherata sullo stato dell’arte.
Il Genio di Palermo è nel sangue panormita. La polifonia si avverte nella strada. Una opus magna panormita sarebbe settoriale e banale. Non si può comprimere la genialità palermitana e chi entra nello spirito di Palermo ne rimane prigioniero volente o nolente. Palermo avvinghia nelle proprie spire, giorno dopo giorno. Bisogna soltanto abbandonarsi a Palermo, entrarvi nel seno e n on farsi soffocare. Wim Wenders, non palermitano, è risucito a cogleire anche in modo visionaraio, se vogliamo, una parte dell’anima di Palermo. Caro Giacomo tu sei in
grado di fare altrettanto.
Angela, ti ringrazio. Ma evidentemente non ho, come altri, il gagliardetto di scrittore palermitano impegnato, convalidato da qualche associazione preposta allo scopo. Nè l’ho mai cercato. E ne sono felice. Ma forse dovrei cominciare a cercarmelo, con l’età che avanza.
Penso che Palermo, come qualunque altra città, la si debba raccontare come si vuole, senza dettami o prescrizioni. Il lavoro dello scrittore è così intimo, privato, legato alle sensazioni personali, ai ricordi, alle emozioni e alla propria storia, che non avrebbe senso cercare di indirizzarlo aprioristicamente fornendo dei modelli. Ogni storia è ciò che deve essere, nel bene o nel male, piaccia o non piaccia ai lettori o ai critici. Non ha senso credere che esista un solo buon modo per raccontarla.
Ribadisco che il lavoro su Palermo c’è, esiste. Basta saperlo cercare.
Non so e non credo di avere le competenze per sapere se abbiamo bisogno di un Dostoevskij palermitano; d’altra parte probabilmente, considerato il numero di città che meriterebbero un proprio grande autore, solo poche possono effettivamente vantarsi di averne uno.
Io intanto mi accontenterei se avessimo più “piccoli” autori palermitani, lontani da velleità di opus magna e con i piedi che poggiano sul suolo (fisico e culturale) che si estende grosso modo da villabate a sferracavallo… 🙂
in tal senso, una piacevole sorpresa di qualche mese fa è stato “L’invenzione di Palermo”, di Giuseppe Rizzo. Invito chi non lo conosce a cercarlo, io me lo sono ritrovato fra le mani quasi per caso, senza averne mai sentito parlare prima…
anzi, sarebbe interessante anche “condividere” questo genere di dritte, che renderebbero la ricerca più facile ai pigri cronici come me… 😛
giacomo, quel che trovo offensivo è, da una persona che come te reputo intelligente – e penso di averne accennato in altri post – rispondere con sarcasmo e prosopopea a commentatori che hanno semplicemente un diverso punto di vista, senza per altro giudicare o criticare il vostro lavoro, ma semplicemente trovando il post mal impostato, come in più lettori abbiamo cercato di far emergere.
tutto qui
scusate, nel commento precedente ho sbagliato post, lo copio e incollo di là 😀
ma non eravamo rimasti che per fortuna c’era vasta? io mi ero tranquillizzato così…
Certo, questo “Figlio di Vetro” dev’essere proprio un best seller se l’autore se l’è presa tanto…
@preda: no, “Figlio di Vetro” non è stato un bestseller. Nemmeno lontanamente. E’ stato un romanzo andato all'”asta”, ovvero conteso da varie case editrici molto importanti e infine approdato a Einaudi. Le auguro un simile destino, se avrà la velleità di scrivere qualcosa. Ma se la sua equazione è classifica= qualità, ne dubito. Però provi a leggerlo. Potrebbe essere un buon punto di partenza per giudicare.
@preda: Ah, poi mi spiegherà anche con chi me la sarei presa.
infatti, come ha scritto qualcuno, c’è vasta. il tempo materiale e spaesamento, ciascuno a suo modo opus magna e via discorrendo.
A questa domanda pare rispondere oggi su La Repubblica-Palermo un lucidissimo e poco autoreferenziale Roberto Alajmo.
Titolo: L’impossibilità di scrivere il Romanzo di Palermo.
Questo pezzo è apparso oggi su la Repubblica, a pagina dieci. E’ il mio contributo pubblico alla discussione, al di fuori del “guscio protettivo” di Rosalio e di presunti infingimenti. Chi vuole, oltre che controbattere qui può farlo nella pagina delle lettere del giornale. Anche senza firmarsi. C’è questa possibilità, per i più “timidi”. Domani provvederò a postare anche il link.