Il cambiamento
Provengo da una scuola di pensiero secondo cui il massimo dell’astrazione consente il massimo della concretezza, ragione per la quale teoria e prassi sono necessariamente complementari e non alternative come si tende a sostenere da più parti. Così, ragionando del cambiamento, vorrei dire preliminarmente due cose: il cambiamento è una dinamica che apre al nuovo. Parlando del nostro tempo e della nostra società, associamo il cambiamento al nuovo, ovvero ai giovani, al futuro. Questa è la prima cosa. Da sola però non basta. E vengo alla seconda. Il cambiamento necessità di una visione relativa al vecchio, aspetto che tendiamo a declinare associandolo alle vecchie abitudini, al passato. Ne deriva una considerazione importante: non vi può essere cambiamento se non vi è contemporaneamente un’azione verso il nuovo ed una complementare verso il vecchio.
Analizziamo: se il cambiamento protende soltanto verso il nuovo, se rivendica soltanto il futuro, se si preoccupa soltanto dei giovani (per restare nei confini che ci siamo assegnati qua), esso si traduce in semplice speranza e nell’ipotesi che dovesse concretizzarsi, attuerebbe una sostituzione del vecchio col nuovo. Sostituzione o rottura. Perché vi sia reale cambiamento, occorre invece che nel medesimo movimento e mutamento, avvenga una correlativa azione nei riguardi del vecchio, affinché ciò che si deve abbandonare per realizzare il nuovo, non resti a pesare nell’ombra come un virus latente, in attesa del momento buono per allignare un’altra volta. Com’è tristemente accaduto. Continua »
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