Ho smesso di fare la cosiddetta vita mondana da qualche anno, un po’ per sopraggiunti impegni familiari e un po’ per stanchezza dovuta all’età che avanza. Ammettiamolo: vent’anni buoni di sbrio ci bastano. Uno comincia intorno ai diciott’anni e giunto a quaranta un poco si deve siddiare di fare le stesse cose. Ai miei tempi (non c’è niente da fare, mi viene di dirlo “ai miei tempi”) dai sedici ai trent’anni, si usciva il sabato e c’erano le pizzerie, poi sopraggiunsero le paninerie, poi i pub con la musica dal vivo. Un cinema ogni tanto. La discoteca. Le feste. Le benedettissime feste private a cui si scoppava portati da amici di amici. Dai trenta ai quaranta arrivò l’epoca dell’aperitivo, dei ristoranti un po’ più ricercati (che la singletudine ci faceva permettere…). Ora non pretendendo di avere scoperto l’acqua calda, mi pare di avere notato un fenomeno che sicuramente non appartiene solo a Palermo, ma che a Palermo sembra essere legge non scritta. Ora vengo e mi spiego. Anzi no, già sono qua. Quindi mi spiego e basta.
Nei succitati venti e passa anni di sbrio, ogni tanto, distrattamente, come capita quando vivi le cose e ci sei dentro, mi ponevo qualche domanda sul perché ovunque andassi, incontrassi sempre le stesse persone. Può essere mai? Mi chiedevo? E mi rispondevo pure, è che Palermo pare grande. Ma è un pirtuso. MaiMaria. Niente di più falso. Ci sono persone che non si incontreranno mai. Perché Palermo è divisa in caste. Come quelle dell’India. Sissignori, pensiamoci. Continua »
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