Il gelsomino dei poveri
Quando il morbo della mucca pazza, encefalopatia spongiforme bovina (Bse), fece dichiarare fuorilegge la milza (pare che il temuto «prione» che diffonde il contagio ami, emulo di Raspelli, rifugiarsi proprio in quel tenero organo), mio padre, che non era mai passato a un semaforo non verde, neppure con il giallo si azzardava, aveva sempre pagato ogni balzello che l’infinita burocrazia italiana gli affibbiava e ironizzava sulla propria osservanza pedissequa di qualunque norma, definendosi «Remigio alle leggi ligio», organizzò il solo atto di disobbedienza civile della sua vita.
Aveva fatto amicizia con un giovane macellaio in una curiosa circostanza. Un giorno s’era visto sbarrare l’accesso di casa da un bulletto con vistosa macchina da corsa. Mio padre, educatamente, aveva chiesto di poter aprire il cancello e rientrare in garage con la Fiat 500 d’epoca, restaurata alla perfezione dal mitico meccanico Geraci. L’energumeno l’aveva ignorato irridente continuando a parlottare al telefono e, alle rimostranze di mio padre, già anziano e malato, l’aveva minacciato con violenza. Il macellaio, a Palermo secondo la dizione spagnolesca carnicero detto carnezziere, notò la scena dal suo massiccio bancone decorato da lucidi rotoli di salsiccia, capretti interi e involtini ripieni di pinoli, uvetta e formaggio, separati da poetiche foglie di alloro come tratte dalla corona del Petrarca. Si limitò ad apparire nella sua stazza possente sulla soglia della bottega, indossando il grembiule cosparso del sangue sacrificale delle vittime della nostra gola, e chiedere stentoreo: «Dottor Riotta, c’è questione?». Il bullo, scusandosi profusamente, si allontanò sulla sua vettura che, come nella malinconica ballata di Paolo Conte, sapeva «di vernice, di donne, di velocità» e liberò il passo. Non ero presente, vivevo in America da tempo, e devo perciò riportare solo voci popolari: pare, secondo testimoni oculari, che il carnezziere avesse dimenticato, nella fretta di capire cosa stesse accadendo, di avere ancora ben impugnata in mano l’ascia pesante con cui stava spaccando certe ossa di bue. E – almeno così giura qualche anziano, ancora incerto se a convincere a più miti consigli il giovanotto fossero state le imperturbabili buone maniere del «dottor Riotta» o l’intervento del macellaio – pare che dalla lama affilata gocciolasse del sangue. Ma, conoscendo il gusto narrativo dei miei concittadini, non giurerei sul grandguignolesco dettaglio.
Fatto sta che mio padre, ormai certo della lealtà del negoziante, decise di arruolarlo nella sua clandestina resistenza al diktat sanitario di Roma contro la milza. Quando arrivava un animale la cui provenienza era sicura, dopo giuramenti solenni, che io immagino come quello degli Orazi nella tela neoclassica di David, il macellaio a sguainare in alto il coltellaccio, la milza veniva di soppiatto consegnata e mio padre, chef debuttante – aveva fin lì preparato solo un suo succo d’uva fresca acidulo, che riteneva salutare ma da cui io e i miei fratelli, accampando le scuse più risibili, cercavamo di tenerci lontani – la stufava illegalmente. La cerimonia avveniva d’estate, di solito a casa di Lia, a San Cataldo, dove, come in uno speak easy americano ai tempi del proibizionismo puritano contro l’alcol, accorrevano, grazie al cauto passaparola, gli adepti. Da una finestra sul giardino con l’araucaria mio padre passava la pietanza proibita, decorandola, come i suoi colleghi ambulanti rovinati dalla legge, con la ricotta e il caciocavallo, guadagnandosi, anno dopo anno, una fama che non l’abbandonò neppure quando la milza venne ufficialmente riabilitata e tutti però passavano il tempo a rimpiangere: «Eh, la tua mevusa Totò, quella sì che era schietta…».
Insomma, mevusa o no, al mercato di un tempo ogni bancarella
prometteva delizie. Ed è giusto rimpiangerlo, con il suo clamore, il suo disordine, la sua energia vitale. A patto però di non dimenticare quello che, oltre l’alone di luce delle lampade da cento watt sulle bancarelle, perfino ai miei occhi di bambino appariva come il buio della miseria. Il picciriddu emaciato, che vendeva coroncine di fiori di gelsomino infilati uno dentro l’altro, balsamiche, leggiadre, ma come staccarsi da quello sguardo spettrale, occhioni neri che imploravano un soldo come salvezza per la sera? E i cortili, i catoi interrati, dove la sporcizia, il degrado, la paura si vedevano senza bisogno di avere studiato le inchieste di Sonnino e Franchetti, o le denunce di Danilo Dolci. Un mio compagno di giochi era andato a studiare al seminario, vestiva da piccolo sacerdote alzandosi con grazia la tonaca per giocare a calcio. Suo padre, un pescatore, era morto giovane, la mamma per vivere contava solo su una mucca stenta, in una stalla decrepita. Studiava dai preti perché era la sua sola chance, ed era già fortunato ad averla, «da grande vorrei fare il medico». La povertà era nel ragazzino del bar che non andava a scuola, su e giù per le scale con i vassoi pieni di bicchieri con la granita, la camicia bianca tre taglie più grande del torace ossuto; nel garzone del barbiere che ci guardava con invidia, pulendo la bottega, nelle nostre scorribande sul piazzale; in Pino, il ragazzo di fatica del fruttivendolo, che dall’alba ai Mercati generali, gestiti dal racket di Cosa Nostra, a buio fitto quando cadeva ultima la saracinesca, consegnava a domicilio frutta e verdura, scaricava cassette, lucidava il pavimento.Era così coperto di sporcizia che per strada gli gridavano: «Lavati con la spazzola di ferro…», e lui sorrideva in risposta, allegro, pieno di forza.
[…]
Quando la scuola dell’obbligo portò sui banchi i bambini di strada che vendevano il gelsomino, la città perdette un gesto poetico, comprare quei rametti miracolosi di grazia – celebrati con il loro venditore fanciullo in una magica foto di Enzo Sellerio – e aspirarne la fragranza.
La civiltà guadagnò nuovi cittadini responsabili e il destino di quei ragazzi migliorò. Ebbero la chance di essere più, non meno felici. Il resto è fuffa da elzeviristi nostalgici, dimentichi del dolore che si nasconde dietro la dignità, e l’eleganza, dei poveri. Il Vangelo dice «i poveri li avrete sempre con voi» non per farci rassegnare, ma per incitarci a eliminare miseria e oppressione.
(Per gentile concessione da Gianni Riotta – Le cose che ho imparato Le Strade blu Mondadori)
Che poesia! Ritorno -con la mente- bambino.
Dunque, vediamo un po’: uno scrive un libro. Non un romanzo, si capisce, ma una raccolta di racconti, un collage di pensieri sparsi. Insomma, uno di quei libri che somigliano ai temi di “introspezione”, quando nei compiti in classe le alternative erano “letteratua” e “storiografia”. Poi ogni tanto ne prende un pezzettino, lo pubblica su Rosalio o su altri blog, come se fosse un esigenza estemporanea suscitata da chissà quali eventi improvvisi.
Mi ricorda il vecchio luogo comune secondo cui la prima dose te la regalano.
Come funziona? Questi spot sono a pagamento, o Rosalio glieli pubblica gratis?
Dice “e a te che te ne f…”.
Mah, sarà che avevo inteso il blog in un altro modo, io.
@me stesso
ovviamente “letteratura” e “un’esigenza”…
scusate le sviste
Ivan, dici bene. Che te ne frega? Le bollette dell’hosting non si pagano da sole.
Invece ho gradito molto la conclusione:
“Quando la scuola dell’obbligo portò sui banchi i bambini di strada che vendevano il gelsomino, […]
la civiltà guadagnò nuovi cittadini responsabili e il destino di quei ragazzi migliorò. Ebbero la chance di essere più, non meno felici. Il resto è fuffa da elzeviristi nostalgici, dimentichi del dolore che si nasconde dietro la dignità, e l’eleganza, dei poveri.”
Un attacco feroce al mito della decrescita e al “si stava meglio quando si stava peggio”.
Ivan, se vuoi i libri gratis ci sono blogs più adatti
@Laydo
no.. non mi sono spiegato bene, evidentemente.
non cercavo libri gratis (tanto meno di Riotta!!)
Il senso del mio post è un altro: ripeto, se io scrivo un libro, lo metto in vendita e poi spargo pezzettini su blog molto frequentati… sto semplicemente adottando una meschina tecnica di marketing virale.
Tutto qua.
D’accordo con Ivan! Gretta tecnica di marketing virale! E da quel che posso aver capito (perfino da qualche battuta di suoi colleghi) mi sembra che Riotta non faccia niente “gratis” .Fa bene! Invece,la “eccelsa” conclusione,come definita da Emanuele,e’per me banale! Come quella di dire”se ci fosse piu’lavoro, la malavita avrebbe meno accoliti”!
E,poi, scusatemi ( non ha pertinenza)! Ma quando un uomo e’ generoso, una donna lo vede subito! Dall’abbigliamento,dal “tipo”di sorriso,dal linguaggio,dallo sguardo..subito! La aridita’,animo e quindi argent,e la tirchieria,non so perche’ ma emerge! Parola!
Se il carnezziere lo consente premetto che Riotta mi è sempre stato antipatico.
Non capisco perché un giornalista “ammuntuato” evidenzia nella sua stringata biografia, in questo blog, che è interista.
Da quando il tifo calcistico è un connotato di una persona?
D’altronde la sua apparizione alla domenica sportiva dove si presentava come palermitano appassionato interista (e com’era appassionato!) l’ho trovata particolarmente fastidiosa e ridicola.
Noto con rassegnazione la malafede e la cattiva creanza di alcuni lettori. Pazienza.
Grazie Gianni per avere concesso questo pezzo a Rosalio, era un mio sogno da tempo averti qui. Ci vediamo più tardi a la Feltrinelli. 🙂
Come sempre i contenuti pubblicitari su Rosalio sono chiaramente indicati e palesi e questo post NON lo è. Vi invito a rimanere in tema e a essere rispettosi nei vostri commenti. Grazie.
Sarò rispettisissimo.
Ho letto il post del dott. Riotta, mi sono appisolato dopo 9 secondi netti.
Se viene richiesto” lascia un commento” per di piu’ su uno stralcio di un libro,bisogna consentire il libero arbitrio di dare il proprio”commento”.Altrimenti meglio dire ” copia quanto segue”.Grazie Buongiorno
Gisella liberissimi di commentare ma gradirei che si sia rispettosi. Ad ogni modo questo non è il tema del post e ti invito a rimanere in tema. Saluti.
Premesso che ero,con mia sorella,compagno di scuola di Gianni in ‘quel’liceo palermitano dove era anche nostro compagno ed amico ‘quel’sindaco di Palermo ‘cool’,vorrei dire che il brano è sincero e vero,anche se non so quanto ‘letterario’in senso più stretto.Io,al contrario di Gianni,ho tuttora il piacere di deambulare a lungo e in largo per il Centro Storico,per le stesse strade e piazze che esploravo da bambino negli anni Cinquanta.E dunque,complice una stupenda casa-studio panoramica,visito,guardo,rifletto,ricordo,e(nei limiti del possibile)contengo nostalgie e nostalgismi.Anzi,sono già nostalgico di questa Palermo,da un futuro che vedo perfettamente,pur sapendo che non ci sarò.E devo dire che questa città la amo più che nel 1960 o 1970,forse perchè dopo 50 anni di viaggi innumerevoli,ho capito che non è solo bella:è solo una delle città più belle del mondo,purtroppo.Attendiamo con speranza che ancora possa essere amministrata con onore e dignità…Ciao Gianni,volevo salutarti da Feltrinelli,ma ero in campagna e mi è sfuggito l’impegno !Scrivi ancora su ‘Rosalio’,ci farai davvero piacere.
NB-Sono quasi vegetariano(talora con problemi) per colpa delle carnezzerie e dei carnezzieri palermitani e delle loro ‘esposizioni’di un tempo.Ma va bene così.Il pane con la milza lo mangio ‘senza milza’,cioè solo ricotta e formaggio,ma tuttavia imbevuti di olio intriso.un ingegnosa maniera di gustarne l’afrore e quasi il sapore senza sbranare il bravo bovino(o è suino?).Mi pare che in questa configurazione si chiama ‘schietto’,o sbaglio ?
Ok… calma.. calma.. calma..
Proviamo a tornane ad un tono più sereno.
Tony, tu hai realizzato un sogno e siamo tutti felici per te.
D’altra parte, se alcuni lettori avvertono un disagio nella lettura di un post, credo sia giusto manifestarlo e, permettimi, credo sia giusto che tu ne tenga conto e cerchi di capirne le motivazioni.
Nel merito, anche lasciando stare l’aspetto venale del marketing subdolo (in effeti forse Riotta può campare anche senza i lettori di Rosalio), rimane il fatto che quel post avrà sottratto a Riotta al massimo 8 secondi netti, il tempo di aprire il file word del suo libro, copiarne un pezzo e incollarlo. La domanda è: sarebbe troppo chiedere che gli ospiti si sforzino di impegnare qualche minuto della propria creatività per rilasciare contributi originali alla comunità?
E’ una delle pagine che mi sono entrate nel cuore sino in fondo. La gentilezza, signorilità del padre di Gianni Riotta, contro l’arroganza. Comprendo perchè Gianni abbia queste qualità naturalmente!Romanticismo vero vissuto. Libro scritto con la mente, il cuore, toccando al fondo dell’Anima!Grazie per averlo scritto Ave!!!
Grazie a Ivan per aver saputo esprimere,con equilibrio e pacatezza ( un classico per gli Uomini,quasi mai per le donne!) “un disagio” avvertito nella lettura del post. Disagio inspiegabile..subliminale.Mah! sara’ la mia avanzata eta’!
Ho letto il richiamo ad essere”rispettosi” di Tony Siino che seguo su Twitter. Se io volessi essere rispettosa verso un amico e/o una persona,avrei messo su twitter solo il post senza i 14 commenti,di cui uno solo positivo.. E’una personale opinione! non vuol essere un”appunto” ..forse si’,visto che adoro Riotta!
Concordo pienamente con Ivan e Gisella…
Non trovo molto elegante questo “copia e incolla” (che sia a fini pubblicitari è abbastanza chiaro).
Io, personalmente, quando ho scritto qualcosa per Rosalio l’ho fatto “in esclusiva” perché ritenevo che quel preciso discorso trovasse giusta collocazione su questo blog, così come quando scrivo altrove ritengo giusto scrivere altrove. Per pubblicizzare (in maniera sacrosanta) il libro si potevano usare altre strategie, più esplicite, magari.
C’è scritto “Lascia un commento”. Questo è il mio.
Michele Burgio.
Ivan a me dà fastidio intanto l’uso di termini come “meschina” e “gretta” (per la mala creanza). Nella sostanza non capisco perché non ci si debba promuovere. Gianni ha concesso questo pezzo dopo avergli chiesto tante volte di darci o scriverci qualcosa per Rosalio. Lo ha fatto per promuoversi? Ottimo! Non capisco perché non si dovrebbe promuovere qualcosa che si fa. Soltanto noi ci creiamo certi problemi assurdi.