Lessico siciliano quater
Proprio quando mi convinco di avere già letto (e scritto) tutto sulla lingua sicula, il suo lessico, la sua fonetica e le sue evoluzioni (o involuzioni), vengo puntualmente smentita da nuove “scoperte”. Basta ascoltare anche solo il dirimpettaio per accorgersi che non si può mettere un punto all’argomento. Solo puntini di sospensione. Eccomi, quindi, pronta ad un aggiornamento. Palermitanissimo, se mi si concede il superlativo. E va bene che siamo impastati con il latino, (oggellannu per esempio deriva dall’espressione latina “hodie est annus”) e va bene che di dominazioni ne abbiamo subite fin troppe, ma alcuni fenomeni linguistici restano, per me, inspiegabili.
Voglio iniziare dalla fonetica. E inizio con una domanda: come può essere che un gruppo consonantico, al momento della pronuncia, muti totalmente suono, discostandosi dal grafema? Per dirla più facile, faccio un esempio, alla domanda «lei ha un’e-mail?», posta da un impiegato di un ufficio pubblico ad un signore che stava davanti a me, lui ha risposto: «Non sono vecchio, ho quarantaquazz anni, zanquillo, me ne sento di elezzonica”. Il gruppo “tr” per qualche strano motivo si trasforma in “z”, o, meglio, il suono somiglia più ad un “tz”. Non è difficile, quindi, sentire abbanniare (che, per la cronaca, sarebbe un germanismo da bandujan = dare pubblico annuncio) «una cassa di fragoli a quatz euroooo», oppure «’u picciriddu avi quatz anni, pigghia ‘u mietz ca ‘u misuramu, viriemu quant’è fattu». Così come, sempre per un mistero insondabile, quattordici, sembra il numero più difficile da pronunciare in italiano, da chi è abituato a parlare il dialetto. Da quairttuorddisci si passa a quartoddici. Non c’è verso. Ma non è più difficile da pronunciare, la verità? Per i non siculi l’espressione «me ne sento» equivale a dire «sono esperto».
Passeggiando per il mercato, non sarà difficile imbattersi in cartelli che solo a noi siciliani non fanno “impressione”. Da noi è facile acquistare «arance PER spremere» e «zucchine PER friggere». Per non da. Come dire, devi spremere qualcosa? Un brufolo? Le meningi? Hai bisogno delle arance. Devi friggere qualunque cosa? Cotolette? Pesce? Ti servono le zucchine. Ha un non so che di surreale.
Ma l’ambito che distingue il siciliano dagli altri è quello (già altrove ampiamente dibattuto) del corpo. Sarà che siamo “sanguigni”, ma le parti del corpo le dobbiamo usare per forza per rendere determinati concetti.
Il sangue, appunto viene usato sia per motivi affettivi: i figli da noi sono “sangu mio”, sia per la maledizione più cruenta e volgare che si possa immaginare “ietta sangu”. Sarebbe come augurare ad un nemico “sanguina!”, ma, come al solito, in italiano non rende. Così come non rendono, se non in versione originale, altre espressioni. Al panificio, dice una signora ad una sua amica: «Ero stanchissima, ieri sera, te lo giuro, ho stirato con la faccia». Che se uno non sa che significa “debolissimo, fiacco”, pensa che invece del ferro da stiro, la signora abbia usato la faccia per togliere le grinze a camicie e lenzuola. Un’altra parte del corpo usata per indicare grosso divertimento, sono i fianchi. Noi quando ridiamo a crepapelle, ci facciamo i fianchi. Sissignore, «risate, l’altro ieri, nni ficimu ‘i cianchi». Non sono sicurissima, ma vorrà dire che dal troppo ridere, ci dolevano i fianchi.
Per esprimere poi somma soddisfazione e godimento, in ambito alimentare, quando uno è sazio di una pietanza che spinnava può esclamare, invece «l’avevo di desiderio, ‘sta pasta cu ‘i tenerumi. Minni manciavu un bellu piattu, mi arrivò fino all’ugna r’u pieri». O ancora, sempre per esprimere soddisfazione e sollievo «mi vinni ‘u cuori!». Come lo traduci? «Mi è venuto il cuore?». Dove? E da dove viene? Oppure, quando uno si rode, si dice non solo che si mangia i gomiti, ma, per farla più difficile, noi ci mettiamo pure il sale. Una minaccia potrebbe essere «te ne faccio pentire! T’ha fari manciari i umiti c’u sali!».
Non mancano espressioni truculente (un poco esagerate a dire il vero) per esempio, per descrivere un tipo che non le manda a dire e non ha paura di dire le cose come stanno noi usiamo dire «taglia carne e ossa».
Un’altra abitudine che non riesco a spiegarmi e che probabilmente non appartiene solo ai siciliani è la reiterazione, all’interno di una frase, di una parte di essa, all’inizio e alla fine. Forse la usiamo per rafforzare il concetto, oppure è un modo per drammatizzarlo rivolgendosi, con un punto interrogativo sottinteso, ad un ipotetico pubblico (teatranti siamo, si sa). Svariati gli esempi: «Ti devo dire una cosa, ti devo», oppure «(siccome c’è freddo) mi ghiacciò la testa, mi ghiacciò», ma anche «“finisci di mangiare, finisci».
Mettendo insieme quanto sopra stiamo attenti che, prima o poi, davanti a qualche non siciliano potrebbe scapparci una frase del genere «dopo quazz’uri a scuola, sangu mio, a picciridda era abbattuta, ci vinni ‘u cuori, ci vinni! Accattavu un chilo di aranci per spremere e ci fici un’aranciata ca c’arrivò fino all’ugna ru pieri!».
ah ah ha bravissima
Grazie per l’ennesima perla.
Dato l’orario, vado a festeggiare con un’arancina “a carne” ed una “ines con ricotta”!
😀 , finalmente, una boccata d’aria
Ahahahah… Ma si puo’ ridere cosi’?… Mi fannu mali ‘i cianchi… ahahahahah…..
10 cum laude!!!
PS: Chi me ne spiega l’intrinseco significato della parola RICAPIRE?
Temo non voglia dire soltante, capire due volte…
Spettacolare 😀
Se mi permetti un micro appunto che nulla vuole togliere al valore dell’articolo (che cianchi che mi faccio quando ti leggo!), e-mail è un prestito linguistico e andrebbe declinato al maschile.
Ciao Maria. Circa il “ni ficimu i cianchi” penso a quel “mi murò n’i cianchi” riferito alla soddisfazione con cui si è mangiato qualcosa (io l’ho sempre sentito riferito a sasizze e bistecche). I fianchi opimi sono sempre stati sintomo di salute, finchè non arrivarono le diete. E il riso fa buon sangue. Insomma “sono ingrassato dalle risate”. Chissà.
Ho un altro contributo ma aspetto di avere finito il tuo bellissimo “Palermo è fimmina”, magari scopro che ne avevi già parlato tu e fazzu ‘a figura d’u babbu. Appropo’, nel frattempo mi spieghi perchè “babbo” sta per “stupido” da noi e per “papà” nel Nord Italia, senza approfittare dell'”assist” per prendere in giro la categoria? Grazie.
Viva la Cubito! Io me la immagino che cammina col suo tacquino sempre dentro la borsa e ogni due minuti si va a nascondere in bagno per prendere appunti su quello che sente dire in giro… AH AH AH!
Volevo solo dire che non si pronuncia quaZZu semplicemente quattrru, quattordici si pronuncia quaittuaiddici. ecc…. TR non subisce nessuna trasformazione solo gli ” avusitani”quartiere ai pressi di villa Giulia, trasformano il dialetto palermitano e’ anche qualcuno che ci gioca sopra. Scusate l’introduzione.
Si Luca sul numero 14 ho infatti scritto a parte. Ma, secondo me ” tr”, specie in fine di parola diventa “zz” . Magari sarà avusitano!;-)
Brava. Molto pure.
@Carlo: babbu potrebbe derivare dal greco “babazo” che significa “ciarlare”…perchè i nordici chiamino così il papà, non lo so. Non mi intendo di “patuanismi”
Per i fonemi che si discostano dai grafemi… credo che molto derivi dalle infleunze di altri dialetti sul palermitano, che oramai nella sua forma pure è difficile da riconoscere.
“zucchine per friggere” e ” arance per spremere” sono divertenti e surreali, fanno pure ridere, ma indicano “onestamente” quello che stai comprando.
e l’intramontabile, ormai da più di una generazione, Viale Trarsburgo?
Ti sbagli. La versione corretta (Cubit-ale) è ‘Viale Zzarsburgo’.
🙂
Però il concetto che una cosa sia finalizzata a e quidi sia adatta per (per spremere), non é del tutto sbagliata, trovo.
Sul resto, ovviamente, i modi di dire sono molto ‘fisici’. Mi faccio i cianchi, é molto fisico, quando ridi davvero troppo e troppo a lungo, ti fa male la parte bassa della vita, appunto i fianchi, perfettamente comprensibile.
L’altro giorno ragionavo con una collega di sociologia, su un’altra espressione, riferita alle persone molto in avanti in età. Come al solito sembra spietata ‘che c’hanno a’ sparari pi muoriri’?, ma credo rifletta solo una certa insofferenza, per il protrarsi di una forma di controllo sulle nuove generazioni, da parte di chi ha ancora le redini in mano e non vuole lasciarle, pena la sua personale perdita di identità.
E la via Tucher…(o Tugher)
“Per” invece che “da” viene diritto diritto dallo spagnolo in cui negli stessi casi si usa “para”. 🙂
il mio vicino di casa aveva un pastore maremmano che però non era maremmano puru sangu, era un po’ meticcio perchè il maremmano originale era il suo “sminnonno”
ah ah ah oppure sbinnonno 😉
DA OSCAR, COMPLIMENTI!!!
La Maria è stata, a mio avviso, la perdita più pesante tra gli autori di Rosalio. Noiutenti la vogliamo bene e la apprezziamo per le risate al ‘cubito’ che ci faceva fare. Tvb ♥