Quaderno di Palermo 27
Ci sono dei periodi nei quali per motivi di lavoro devo lasciare Palermo per un’intera giornata o addirittura per alcuni giorni, e la mattina presto mi reco nelle vicinanze della Stazione Centrale e, come uno farebbe in qualsiasi parte del mondo, acquisto il biglietto, salgo su un pullman, mi siedo in un posto davanti e aspetto di lasciarmi portare in ogni angolo di quest’isola magica e maledetta. Di solito si parte con puntualità, di solito l’autista è una persona affabile e paziente, ma soprattutto di solito la radio è sintonizzata su qualche stazione commerciale. Sì, la sua voce imposta e sovrastante ci accompagna per tutto il viaggio con le abituali cretinerie degli speaker, l’immancabile pubblicità e, certo, il tormentone delle canzoni di moda. Ed io, che mi dichiaro soddisfatto col solo guardare dal finestrino accontentandomi di quello che incontrano i miei occhi sempre desiderosi di sentire (il paesaggio della Sicilia è sempre sublime in qualsiasi stagione dell’anno), io per poter sopportare la sfilza interminabile di stupidaggini che sentono le mie orecchie martoriate e rassegnate, io inconsapevolmente delle volte mi metto a giocare con le parole della pubblicità o delle canzoni, e spesso scopro che non c’è nessuna differenza tra quello che cercano di venderci gli imbonitori di turno e l’ennesima banalità dei cantanti sulla bellezza o sull’amore. Tra “la tua femminilità appartiene solo a te…” o “la tua bellezza…appartiene alla parte migliore di me” o qualcosa che adesso ho scordato ma che ha a che vedere con “la bellezza in anteprima…”, uno non sa più se nel prezzo del biglietto, sempre più oneroso per via del crescendo della benzina, non sia anche compresa questa decadente giostra inarrestabile di prodotti e di sentimenti.
E nel frattempo, in contrasto con questo mondo assillante e fittizio mandato in onda nell’interno dell’autobus ai rassegnati o forse spaesati viaggiatori -non so se come conforto o non piuttosto come viatico- alla velocità del suo instancabile motore, dall’altra parte del finestrino il mondo di fuori si direbbe sia rimasto lo stesso e che ancora ci aspetti, come se fosse stato non soltanto dimenticato ma mai scoperto nella sua semplicità, nella sua vecchia libertà sempre rinnovata, nella “sua bellezza che appartiene a tutti noi” da quando il mondo è mondo e solo quello. Ecco ad esempio la cresta dele colline che appaiono all’improviso sull’imperterrito dissesto di alcuni tratti autostradali o le compatte sagome in lontananza di tanti paesi asserragliati: un unico blocco di colore disadorno. Ecco le palme che di tanto in tanto emergono di scorcio vicino a un inaspettato casale e che mi fanno sempre sognare, un albero primario perché schietto, ridotto nella sua lunghezza alla minima espressione con la sua chioma essenziale, come se il nudo fusto sempre più teso verso alto avesse come scopo quello di raggiungere la sorgente del sole. Infine, ecco l’altopiano ragusano con i suoi carrubi caratteristici, i suoi muretti di pietra bianca, i nomi di alcune località dove “il mondo sembra finire per cominciare per sempre”: Comiso, Modica, Ispica, Scicli, Chiaramonte… Se da una parte si vorrebbe raccogliere l’anima della gente, della terra e del mare di un’isola che tante volte sembrerebbe essersi fermata nel tempo, dall’altra si vorrebbe pure ritenere questo stesso tempo e penetrarlo per poterlo capire, come quando uno passa accanto ai mandorli fioriti ed è consapevole che si tratta solo di quel momento irrepetibile e nel medesimo istante irraggiungibile… Ma poi le ore trascorrono e uno, finito di lavorare e con l’immancabile stanchezza che ti aspetta dietro di te per prenderti d’assalto, uno poi la stessa giornata o qualche giorno dopo ritorna a Palermo all’imbrunire o anche a notte fonda e, mentre i suoi ultimi passi si avvicinano a casa nel silenzio della sua memoria, uno si chiede se in questa vita che si stia fermi o in movimento, forse non facciamo altro che spostarci da uno spazio all’altro di noi stessi.
Transito.
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