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martedì 19 nov
  • L’autonomia siciliana nel progetto di Francesco Ferrara

    «La prego di dire a Ferrara – il 7 luglio 1860, scrive il Cavour al conte Michele Amari di S. Adriano – che ho ricevuto la sua lettera e le sue note. Ho letto attentamente l’una e le altre. E non faccio ad esse che un solo commento. Se l’idea italiana, scriveva Cavour, non ha nessuna influenza in Sicilia, se l’idea di costruire una forte e grande nazione non è ivi apprezzata, i Siciliani faranno bene ad accettare le concessioni del re di Napoli e di non unirsi a popoli che non avrebbero per loro né simpatia né stima».
    Una lettera che mostra irritazione e fastidio per una proposta giudicata inopportuna in un momento particolarmente critico del processo unitario. L’iniziativa del profugo siciliano Francesco Ferrara, il maggiore economista italiano del XIX secolo, si collocava nel momento più alto dello scontro sul destino della Sicilia dopo il ritiro dei Borbone da Palermo. C’era infatti chi spingeva per l’annessione immediata dell’isola sancita da un plebiscito e chi invece, pur accettando il dogma unitario e la pregiudiziale monarchica, avrebbe voluto che la stessa fosse stata deliberata da un’assemblea elettiva che ne doveva stabilire modalità e condizioni. Francesco Ferrara, che era già riconosciuto come prestigioso studioso a livello internazionale, si permetteva, non richiesto, di far recapitare allo statista piemontese un piccolo testo, Brevi note sulla Sicilia, nel quale sintetizzava la sua posizione nei confronti di un tema così delicato. L’irritazione di Cavour era, dal suo punto di vista, più che giustificata: l’autorevolezza dell’economista siciliano, che non era nuovo alla critica nei confronti del governo piemontese e che a seguito di tali contrasti aveva lasciato la cattedra all’università di Torino per trasferirsi a Pisa, era tale che le sue opinioni, ove fossero circolate, avrebbero certamente avrebbero potuto influenzare il corso degli eventi. Ferrara, infatti, contrariamente all’intendimento dello statista piemontese, si schierava contro l’annessione sic et simpliciter dell’isola al regno sabaudo evidenziando i pericoli che avrebbero seguito una tale scelta primo, fra tutti, il fatto che la riduzione a provincia periferica del regno avrebbe avuto riflessi negativi non indifferenti sullo sviluppo economico e sociale del suo territorio. Inoltre, memore delle vicende storiche dell’isola, l’economista evidenziava come il dar corso ad una scelta, non condivisa, avrebbe fatto «sorgere, nei Siciliani, aspirazioni non perfettamente italiane, che i partiti interessati non dimenticherebbero di nutrire» così che «…la Sicilia non divenga la piaga del Regno italiano com’è stata quella del regno borbonico».
    Entrando nel merito della proposta, diciamo che Ferrara non si fa scrupolo di chiedere per la Sicilia un’ampia autonomia riservando al Sovrano ed al Parlamento del Regno “tutte le materie di comune interesse italiano”, mentre essa «si amministrerà e governerà colle proprie istituzioni, e con un potere esecutivo, il cui supremo rappresentante sarà un viceré, nominato da S.M., ed a lei sola responsabile, munito di poteri costituzionali e assistito da segretari di Stato, siciliani, scelti da lui e responsabili al paese». Infine, esaltando la sua dignità di Stato, indicava la cessione di sovranità su base pattizia auspicando che il sovrano piemontese «si mostrasse pronto ad accettare l’annessione nei termini anzidetti» stabilendo un accordo «col governo locale, sulle conclusioni delle quali si farebbe cadere il suffragio della popolazione, sia per via di comizi, sia per via di Assemblea».
    Cavour che – come ha evidenziato Giuseppe Astuto nel bel volume Cavour, con la Rivoluzione e la diplomazia, edito da Bonanno – tesseva la sua tela diplomatica per inserire il disegno unitario nella naturale evoluzione del contesto geopolitico europeo e che proprio nel plebiscito sull’annessione della Sicilia al Regno cercava nuova legittimazione, considerò perfino pericolosa l’iniziativa di Ferrara. Non è senza motivo che lo statista piemontese chiedesse al La Farina di controllare l’economista, che intanto aveva raggiunto la Sicilia, per l’influenza che poteva avere sui Siciliani.
    Di fronte alla presa di posizione di Cavour e, forse convinto da quelli che gli erano più vicini, Ferrara non sollevò la sua voce indignata e, perfino, rinunciò a diffondere le sue idee tanto che quel testo rimase inedito fino al 1921, anno in cui fu ricompreso nella pubblicazione delle Opere complete.

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  • 5 commenti a “L’autonomia siciliana nel progetto di Francesco Ferrara”

    1. Molto interessante, ma continuo a pensare, sulla base dei fatti, che rivendicare la propria diversità e autonomia sia stato funzionale al sottrarsi ad una virtuosa competizione territoriale su un progetto più grande a vantaggio dei pochi che hanno tratto profitto da questa rivendicazione conservando rendite di posizione.
      Tenere basso il livello della competizione, rifiutare il confronto in nome della diversità, ci ha alla fine condannati ad un eterno sottosviluppo costringendo i migliori ad andar via a vantaggio dei parassiti.

    2. Assolutamente lontano da qualsiasi tentazione revisionista, solo una riflessione su una posizione culturale di notevole valenza a fronte di una posizione ancor più politicamente realista di Camillo Benso diCavour

    3. D’accordissimo con Donato Didonna.
      Sono maturi i tempi per un Movimento per l’Abolizione dell’Autonomia ?

    4. Abolizione dell’autonomia in cambio di cosa, di nulla.
      La virtuosa competizione territoriale non ha mai avuto motivo per non esistere, con o senza autonomia.
      Al contrario l’autonomia fornisce o dovrebbe fornire un senso maggiore di responsabilità, e se in Sicilia questa non fosse apparsa sufficiente lo dovremmo attribuire alle classi dirigenti e politiche, chiedendoci quanto hanno fatto a favore della regione, quanto sono stati capaci di opporsi, quando necessario, al governo centrale, il quale di incentivare uno sviluppo non sembra averne mai avuto grosse intenzioni. Come non sembra averne avute per tutto il mezzogiorno.
      Forse qualcuno crede che in cambio dell’autonomia ci finanziano finalmente le tratte ferroviarie mancanti.

    5. L’Autonomia non ci ha forniti di alcun senso di responsabilità in più: anzi sta facendo pervenire la figuraccia fatta dall’Isola agli occhi della storia e del mondo a proporzioni intollerabili. E’ arrivata semplicemente l’ora di abolirla. Che cosa poi la Sicilia sia capace di fare in una cornice nazionale ed europea moderna, senza piagnistei, privilegi e furberie, sarà da vedersi. Ma è un gioco che prima o poi avremo l’obbligo di scoprire.

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