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giovedì 21 nov
  • Quaderno di Palermo 29

    Nelle nostre vite discordanti è sempre presente, che ne siamo consapevoli o meno, qualcosa di contrario a noi stessi, di opposto a quello che siamo e sentiamo; questo qualcosa conferisce necessariamente un senso diverso a ogni azione eseguita lungo il proprio percorso esistenziale. Possiamo affermare che questa, chiamamola, “remota e contraria presenza”, comunque un minimo la si conosca, anzi la si intuisca, condizione questa indispensabile per cogliere le sue caratteristiche primordiali. Ma altrettanto si potrebbe sostenere che codesta presenza non smette mai di essere incombente, e che nonostante la lontananza e l’incertezza in cui si colloca, questa sua vaghezza caratteristica persiste nella nostra quotidianità. E così succede con quasi tutto nella nostra vita, sempre costituita di idee opposte, di ragionamenti contraddittori, di presenze assenti. Fare le cose da sé ha un senso perché dall’altra parte di noi c’è un punto a cui si rivolge l’azione, il cui scopo tante volte non ha bisogno di essere né chiaro né evidente, ma almeno sì percepibile. Ora se io per esempio non sapessi che qualcuno leggerà queste parole, non starei qui a pensare e a scriverle; esse prendono senso davanti alla vostra presente assenza. Questo lato contrario che ogni cosa e persona possiede è rinvenibile anche nelle città, soprattutto in quelle che sembrano definire la propria identità in ragione di un’altrui presenza, proprio come se fossero nate per contrapporsi a qualcosa di diverso dalla propria natura.

    Questa lunga farragine (si ringrazia quelli che sono arrivati fino qui) viene al caso perché se lungo i testi di questo quaderno ho parlato diciamo della fisicità di Palermo e del comportamento dei suoi abitanti, penso che lo sguardo che ho voluto dare a questa città risulterebbe manchevole se non si accennasse al suo lato opposto, estremo, discordante, ma sempre in contrasto e sottilmente invisibile, cioè la città rivale per eccellenza: Catania. E non mi riferisco a una cosa non così banale come può essere il calcio e i suoi graffiti aggressivi che si possono leggere contro la squadra della città etnea sui muri di Palermo (niente di più semplice e ruvido al tempo stesso), perché altrettanto si potrebbe dire delle scritte che imbrattano le mura della “Milano siciliana”, come già prima di sbarcare a Palermo avevo sentito chiamare Catania, e indirizzate alla squadra della capitale. Mi capita spesso di avvertire i segni di questa perenne contesa. Nel caso di Palermo, la città dove vivo e lavoro e che quindi conosco meglio, nella nostra città avverto come un fastidio, un’incomodità, non dico ogni volta, ma quasi ogni volta che in qualsiasi conversazione Catania entri sul palcoscenico. Come se velatamente o anche sfacciatamente ci fosse una gara costante con essa, senza rendersi conto che sia l’una che l’altra si spingono a vicenda ad essere sempre le stesse, a non cambiare. Sì, l’impressione è che Palermo e Catania, non smetteranno mai di guardarsi con la coda dell’occhio perché una è lo specchio contrario dell’altra, il rovescio della sua identità. Ognuna con la sua fierezza, Palermo capitale storica e Catania capitale commerciale, ambedue fingono di non vedersi, di non sentirsi, di non amarsi, come se non sapessero che l’una senza l’altra non potrebbero vivere o meglio ancora, esistere, proprio come quelle coppie che stanno sempre a litigare ma che mai a poi mai si lasceranno. Queste due nature dissimili, che pure si specchiano in due mari diversi, offrono i loro sguardi complementari all’eterna e contradittoria Sicilia. Palermo e Catania, entità diseguali e contrapposte, ognuna così ben raffigurata nel suo totem divergente, l’Etna col suo smisurato e nascosto potere terrenale, il Monte Pellegrino come l’ingente proa di una nave per sempre in procinto di partire.

    Controversia o dissenso.

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