Il sarto di Picasso
Nell’antichità, per mangiare, gli animali e gli esseri umani si appostavano dietro i cespugli e catturavano le loro prede; poi le sbranavano e le dividevano con il branco. Solo che dopo essersi saziati, gli animali si addormentavano, mentre gli esseri umani iniziavano a scolpire sulle pareti della grotta le scene della caccia.
I loro cuccioli osservavano e imparavano. Quei graffiti non erano solo disegni, ma racconti, prima che l’uomo inventasse il linguaggio.
Il racconto è probabilmente uno degli elementi che più ci distingue dagli altri esseri viventi. Le storie sono uno strumento importante, forse il più incisivo per trasmettere emozioni e saperi. Non è un caso che la narrazione sia alla base di tutte le culture e che i racconti, di qualunque tipo, piacciano tanto ai bambini.
Le storie, a detta di molti scrittori, esistono a prescindere da chi le racconta, ed il narratore, il romanziere, diviene una sorta di mediatore, qualcuno che svolge il compito di intercettare e rendere quella storia fruibile ad altri.
Se questo è vero in generale, lo è in particolare per la storia de Il sarto di Picasso, la vicenda incredibile di Michele Sapone, un sarto nato all’inizio del Novecento in un piccolo paese del casertano, sballottato dalla vita tra Torino, Spalato, Ginevra, Parigi e Nizza, dove nell’immediato dopoguerra è entrato in contatto con il mondo dell’arte. Da quel momento ha cominciato a frequentare gli artisti della Costa, scambiando con loro abiti e quadri. Quando poi ha conosciuto Picasso, tra il sarto italiano e il pittore spagnolo è nata un’amicizia intensa e fraterna, che non si è mai interrotta fino alla morte del maestro. Anche loro, Picasso e Sapone, si scambiavano vestiti con opere, senza lasciare che il denaro inquinasse il loro rapporto. Si pagavano a vicenda con il baratto, come facevano gli uomini prima di inventare il denaro.
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