Quaderno di Palermo 30
Quando uno arriva in quest’isola, una delle prime cose che scopre è che di Sicilie ce ne sono almeno due, vale a dire la parte orientale e la parte occidentale. Poi capisce che due città concentrano nel loro carattere le differenze più sostanziali di queste realtà regionali. Perché non possiamo dimenticare che le città, nonostante la loro anima sia esclusivamente urbana, sono nate intorno a un luogo, a uno spazio, a un paesaggio naturale e originario. Penso che molti di noi siano del parere che la posizione determini tanto la fisionomia quanto l’indole dei posti, così come certamente il carattere dei loro abitanti. Perciò tra Palermo che guarda verso Nord e Catania che si volta verso Est, già da questo semplice fatto che ha a che vedere con l’orientamento, sia lo scopo per il quale sono nate e le spinge a muoversi in uno o nell’altro modo, sia la maniera di essere di ognuna di esse, dicevamo che già da questo semplice fatto per forza devono essere ambedue città completamente diverse. Quella meta che diversamente e certo in modo inconsapevole si sono proposte di raggiungere fin dall’inizio, quel punto d’arrivo che anche se lontano, indistinto e sicuramente irraggiungibile non smette di attrarle, fa sì che i loro movimenti e le loro articolazioni si svolgano in maniera diversa e talvolta addirittura opposta.
Il senso di tutto ciò – e questo vale per tutte le città significative – sembra riecheggiare misteriosamente nei nomi. E non mi riferisco tanto, o non soltanto, al significato etimologico di un toponimo, ma più semplicemente all’immaginario diverso che evocano in ognuno di noi. Nel caso in questione, per esempio, a me che non sono di queste parti, il suono di Palermo da sempre mi richiamava alla mente un luogo dove la storia si raccoglie in un accumulo disordinato di strati, che fittamente ne conservavano la memoria. Invece, il nome di Catania, nonostante fosse sempre suggestivo, rimaneva molto più vago, indefinibile e inevitabilmente unito all’Etna ed alla sua forza distruttiva e tellurica. No, non c’era un presupposto di spazio con dentro un contenuto. E ora che ci sono e che conosco ambedue le città, ora che abito a Palermo da un bel po’ e che di tanto in tanto mi sposto a Catania per lavoro, mi rendo conto che ho penetrato questi due nomi, che so cosa nascondono questi appellativi sempre evocativi. Perchè, tanto come in ogni atteggiamento umano cova l’antagonismo e la competizione con l’altro, così rivaleggiano questi due capoluoghi storicamente contrapposti per contendersi il potere (e su questo niente si potrebbe aggiungere tranne che capita ovunque tra città vicine o di uno stesso paese). Così come non è mai stato facile accettare i pregi degli altri, cioè quelli che io non solo non possiedo ma che a priori e consapevolmente non avrò in nessun momento della mia vita, così accade quando una delle due città viene lodata, ammirata o addirittura sputtanata (non si sopporta neanche che si parli male di lei perché nonostante tutto si smette di parlare di me). Il fatto è che, se non ho capito male, Catania si direbbe che non ha avuto mai bisogno di nessuno e che vorrebbe essere ancora più indipendente per andare più in là, per volare più in alto. Proprio come se si bastasse da sola col suo spirito imprenditoriale e aperto verso il mondo. Rispetto alla capitale siciliana, abituata a essere il centro decisionale dell’isola per secoli, mi sa che guarda con apparente sufficienza tutto quello che gira in torno a sé. Sì, i loro abitanti hanno un’altra proiezione verso il mondo. Questa è almeno la mia impressione dopo tanti anni di spostamenti attraverso quasi ogni angolo di questa terra sicula tanto amata e sicuramente anche tanto incompresa, anni per me di conoscenza non solo geografica, ma innanzitutto interurbana, umana, emotiva.
Punti cardinali.
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