Pubblico impiego = pubblica utilità?
Il Comune sta incontrando forti resistenze a coprire con propri dipendenti mansioni a suo tempo svolte da dipendenti Gesip. Vista la natura delle mansioni in questione, sembra più che altro una questione di principio. E se proprio dobbiamo fare questioni di principio, forse è il momento di affermare anche il punto di vista del cittadino-contribuente, destinatario ultimo dei servizi così come finanziatore finale degli stessi attraverso le imposte nazionali e locali che versa nelle casse pubbliche.
Premesso che è cosa buona e giusta che il Comune assuma nel proprio organico appartenenti a categorie svantaggiate il cui rendimento potrebbe essere anche pari a zero senza nulla togliere al valore civile ed anche economico di tale impiego, per tutte le altre risorse umane (il Comune è il più grande datore di lavoro di Palermo) dovrebbero valere i seguenti principi:
- ogni dipendente comunale dovrebbe valere il proprio costo ovvero il proprio stipendio pubblico in termini di benefici per la cittadinanza (servizi, infrastrutture, decoro, sicurezza ecc.);
- il pubblico impiego è innanzitutto un servizio, non un privilegio;
- il pubblico impiego deve essere utile e percepito come tale dai
cittadini (citizen satisfaction); - il pubblico impiego deve essere svolto in modo efficiente quindi
avvalendosi anche di tecnologie e di risorse umane più qualificate; - il pubblico impiego deve essere meritocratico quindi vi si deve accedere per concorso e per copertura di effettive esigenze della pianta organica;
- un comune può anche avere ventimila dipendenti, ma se non offre servizi percepiti dai cittadini come da albergo “cinque stelle lusso” vuol dire solo che costa troppo e che è diventato uno stipendificio.
Quindi, tanto per essere chiari, anche la mansione più semplice come aprire il portone di un ufficio comunale deve essere vissuto con la consapevolezza e l’onore di svolgere una pubblica utilità altrimenti non serve produrre certificati medici, ma solo trarne le doverose conseguenze.
Enunciazioni certamente condivisibili, anche se un po’ generiche e soprattutto di difficile attuazione immediata, dato che in alcuni casi ci si potrebbe scontrare contro qualche sindacato iperprotettivo o contro una mentalita’ acquisita nel corso dei decenni e quindi abbastanza refrattaria al cambiamento. Comunque tentar non nuoce.
Il punto debole della sua argomentazione, sig. Didonna, e’ la sua accettazione nell’organico comunale di una parte di impiegati che, in ragione delle proprie problematiche, potrebbe ricevere uno stipendio anche per non far nulla: certo, e’ una soluzione di tipo keynesiano che avrebbe anche alcuni vantaggi, che pero’ sarebbero annullati dai piu’ numerosi problemi. Si finirebbe proprio con il considerare l’impiego pubblico ancora come un privilegio e si creerebbero due categorie di impiegati: coloro ai quali verrebbe richiesto di lavorare e coloro ai quali sarebbe concesso il dolce far niente. E si sa che la mela bacata contagia quella sana. Allora, sarebbe meglio fare semplicemente della beneficenza ai bisognosi senza la farsa di chiamarli a lavorare per il comune.
Le categorie svantaggiate non sono quelle dei lavativi, ma solo quelle dei portatori di handicap.
Io ho sempre pensato che i dipendenti pubblici dovrebbero attenersi ad uno specifico così deontologico, perché essi si fregano di rappresentare il Comune di Palermo nella loro mansione..
Di conseguenza se si comportano male arrecato un danno d’immagine al Comune.
Codice deontologico
Beh, nel contesto del mio commento era abbastanza evidente che i bisognosi (o categorie svantaggiate come le definisce lei) sono quegli individui che si trovano in uno stato di indigenza, molte volte unito ad una mancanza di formazione scolastica e professionale. Se poi il trovarsi in quello stato dipenda da una particolare propensione all’ozio, oppure ad altri motivi sociali e personali, cio’ esula dalle mie conoscenze e non mi permetto di generalizzare.
Vorrei ricordare che gli assunti per l’appartenenza a categorie svantaggiate lavorano come gli altri. Un cieco fa il centralinista meglio di un vedente, ad esempio. Un muto esamina una pratica né meglio né peggio di un chiaccherone.
Vorrei pure ricordare che povero non è uguale a “categoria svantaggiata”.
Vi saluto da Harward, sono in compagnia di Giannino, lui è in completo a righe io a scacchi. 😎
Mobilita’ tra uffici .Chi rifiuta sia licenziato
Certo, Sig. Orazio, si puo’ anche dire che chi e’ povero non fa parte di una categoria svantaggiata. Ma a ben vedere non e’ neanche un privilegiato.
Dico ai fini dell’assunzione, david, credevo fosse chiaro, è la legge, non vedo ragione di polemiche o di altro.