Quaderno di Palermo 32
Ancora non c’è una data precisa, ma oramai posso affermare che tra qualche mese lascerò Palermo definitivamente. E, certo, è inevitabile dopo alcuni anni dentro questa ragnatela ingarbugliata (di definizioni per questa città ce ne saranno sicuramente a migliaia), è ineludibile, dicevo, farsi tutte quelle domande che di solito uno si pone prima di ogni partenza. Per esempio: cosa posso dire di portarmi dietro? Cosa mi ha donato questo luogo in tutto questo tempo che ci sono stato volutamente invischiato? Cosa ha destato in me questa rete di strade e piazze, di viali e vicoli (tante volte più che ciechi o bui), di fili sottilissimi intrecciati da secoli e che ancora reggono e continuano ad intersecarsi tra loro creando una tela sempre più densa e impenetrabile? Ma veramente ci sono venuto io a cercare qualcosa che credevo fosse perduta per sempre in questo labirinto fatto di pura memoria? O forse mi sono lasciato abbindolare dal canto che pensavo provenisse dalla prua immaginaria del Monte Pellegrino (ma chi era l’interprete che colmava le mie orecchie con suoni di richiamo)? In realtà, non nasceva questa voce remota da una mia sorgente inarrestabile, da una corrente interna che non acccenna mai ad esaurirsi e che ha come unico scopo attaversare tutti i luoghi memorabili purché servano di pietre miliari lungo il tratto di questa più che mai irruente e accidentata vita mia? E così via.
Il fatto è che partirò per altri spazi, ancora non tastati dai miei piedi inquieti, alla ricerca dei soliti traguardi apparenti che abbiano un riscontro con quello specchio che sotto sotto giace aldilà di me stesso, uno specchio che ha avuto sempre bisogno di sapersi riflettuto su tutto quello in cui s’imbatte la mia volontà di essere confrontata (chi sa se ha a che vedere con un gesto qualsiasi che sbocca all’improvviso davanti ai miei occhi, o con un paesaggio che per l’ennesima volta mi appartiene e mi conferma quello che sono sempre stato, o infine con un mondo nel quale si è solo una delle tante particelle che danno un senso alla sua inesorabile voragine). Ma, attenzione, un momento, mi dico, ancora i miei piedi sono fermi a Palermo, nonostante continuino a camminare ed a spostarsi ovunque e senza riposo attaverso la sua scompigliata matassa, i miei piedi che cercano con il loro movimento di portare a compimento ciò che è già scaduto da quando la mia curiosità si è saziata, una curiosità fatta di sapere e di conoscenza, di letizia e di pienezza, sì, ma anche di incomprensioni e di stranezze, di miraggi e di tante incommensurabili incertezze. Incerte come queste parole che alla maniera di un lungo e consistente filo vorrebbero impunturare tutti gli strati che sono stati trapassati durante questo tempo siculo che dopo lungo indugio sta per concludere. Un periodo della mia vita che io, come dicevo all’inizio, tra breve mi porterò dietro in altri luoghi, laddove si congiungeranno tutti i tipi di presupposti con i quali ho cercato non solo di avvolgermi, di proteggermi, di esserci, sì, ma anche di scoprire quell’altro che senza rendermi conto sempre mi circonda, un altro che era in me mentre cercavo di continuare a esistere e di capire che ci sono ambiti diversi che aspettano, e tutto ciò senza stentare di continuare a darmi diversamente.
Tessitura.
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