Incontriamo il Mercato!
Appariscente, matto, movimentato. Non è il teatro, è il Mercato!
Centro di accordo di ogni popolo, luogo che c’è sempre stato, di incontro, contrattazione, preghiera, palcoscenico di canti sussurrati o urlati sotto il sole, sotto la pioggia, non importa quando, e soprattutto dove.
A Palermo tutte le mattine il quartiere Ballarò disegna il sorriso della festa, anche se festa non è.
I pescivendoli, i macellai, i fruttaioli, apparecchiano sul palco le loro ricchezze, agghindate come donne alla domenica: macerie commerciali che diventano cattedrali. Il grande condimento è la fantasia!
I primi due euro guadagnati sono del venditore del pane di Monreale, che si affaccia alla fine di via Delle Pergole e il primo gesto è un segno di croce con le monete in mano. È la benedizione che suggellerà la sua giornata.
Chi non c’è stato chiuda gli occhi e senta: sono note “annacuse, colleriche e amuruse” di una vita mai sazia, mai stanca: questo è il nostro distrutto paradiso…dove fin da bambini si può ascoltare Palermo.
Giusto un po’ di strada e siamo al Cairo, è l’alba ma vale come un mezzogiorno!
Qui le strade del mercato brulicano di vita e sono strette e intrecciate, come le corde di un cestello di paglia, di quelli che la nonna ti lancia col filo dal balcone, e come quel cesto, raccolgono roba buona da mangiare o ancora oggetti che hai dimenticato, assolutamente essenziali per proseguire la tua giornata, e potere andare.
Si, perché anche i mercati Egizi sono così: anche se non ci sei già stato ti riportano indietro, come la nonna quando ti chiama. Scoprono dalla polvere sensazioni trascorse, che stavi per abbandonare del tutto perché di fretta volevi andare avanti.
Saranno gli odori, le suggestioni arcaiche di alchimie suadenti di immagini e suoni, una magia che, per chi proviene dal Meridione, specie dalla Sicilia, ti fa sentire a casa, o come quando fai visita a un parente che non vedevi da tempo.
Tappeti, spezie, manufatti. Le merci sono impilate. Le immagini si incrociano in un dejavu.
Si, è vero … forse qui le vespe fanno slalom tra le stradine con il coro del “va jeccati” della vecchierella che si è spaventata del rombo del motore, mentre lì passeggiano dondolanti asini bianchi carichi di sacchi di verdure, (mi ricordano le camminante ciondolanti di cert’uni con le buste colme di roba!).
Forse li nella terra delle Piramidi c’è qualche velo bianco in più, a far da scenario esclusivo di magnetici occhi di donna, beh si, qui abbiamo le lenzuola bianche che scivolano dalle case a ridosso delle insegne delle bancarelle.
Rimangono impressi gli occhi neri e brillanti di Hasan, un ragazzino al bancone della verdura, non meno vivaci dei nostri.
Da dove viene quel sorriso? Almeno una volta, ognuno di noi si trova a pensare alla felicità, a questa grande piccola scintilla che spesso le favole ci hanno fatto fantasticare immaginandola in cima ad un castello regale, sopra fondali di nuvole.
Occhio! Ma vuoi vedere che il segreto sta in luoghi come il Mercato? A questo “essere”unico fatto di anime che si uniscono tutti i giorni in ogni parte del mondo? Forse non sarà un caso quella contagiosa allegria, souvenir globale che ci si porta dietro dai mercati, ricordo di come vivere la vita guardando ogni giorno in faccia le difficoltà, con l’arma di un coraggioso e disarmante sorriso.
il mercato e’ uno dei pilastri della cultura, e’ la sintonia perfetta di interscambi dove profumi e lingue si incontrano e si insediano tra i colori del mercato stesso. Cultura e’ scambio di gesti e urla tra storia e parole, tra venditori e acquirenti, tra produttori e consumatori, tra tradizionali e internazionali, il mercato dello scambio e’ vivo, finche’ e’ viva la voglia di cultura dello scambio.
yarin barresi
interrompo per un attimo la poesia rievocando i vuci chi ghettano venditori, madri incollerite a rincorrere bambini monelli, o forse solo vivaci, e astanti.O forse anche questa è poesia…
ps: il cestello di paglia, o panaro, in zona mercati lo calano anche personaggi equivoci per strani “passaggi”, non solo le nonne 😉
Si, vabbè, ma attenti al tonno!!!
Si,Vito.Forse anche questa è poesia! ma non mi è mai capitato di assistere a queste “poesie” pur bazzicando spesso per Ballarò. Di bambini monelli inseguiti dalle madri,in quel mercato non ce ne sono più… forse 50 anni fa!(col traffico che c’è ora, figurati!)quando le case che attorniano le bancarelle erano abitate e quel centro storico era ancora vivo… adesso trasformato ( almeno lì) in relitti disabitati ( sfruttati come magazzini nei pianterreni) oppure dimore accunzate alla meno peggio per donne e uomini “extra-comunitari”. e quindi forse la tua immagine è molto più “poetica ” della mia mio caro “antipoetico”! :)…
Per i panari… manco questi purtroppo ho mai visto, nè della nonna nè del delinquente/ personaggio equivoco 😉 …Non ho detto di vedere panari scendere da palazzi di un mercato… ( ti immagini: andrebbero a finire in testa a un pescivendolo o un fruttarolo! e i vuci poi!:D )ma solo che la forma del cesto mi faceva ricordare quella delle strade “attorcigliate”…
Ma poi… per quello non ci sono i “pizzini”? 🙂 🙂 🙂
Zelig: si, attenti -assolutamente-al tonno putrefatto!
Yarin: quello che dici completa perfettamente il messaggio che volevo far passare!e cavolo!se ci mettevano d’accordo prima lo avrei aggiunto al mio articolo! 🙂
chiarisco: il panaro lo calava una spacciatrice col nutrico in braccio