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mercoledì 20 nov
  • Quaderno di Palermo 34

    Come avevo anticipato precedentemente, adesso che sto per lasciare definitivamente Palermo, mentre cammino per l’ennesima volta lungo le sue strade, il mio sguardo cerca di ritenere nella sua memoria tutto quello che in questi anni ha appreso sulla città. Come se dentro i miei occhi ci fosse un caleidoscopio di immagini accatastate che si riflettessero a vicenda e non mi lasciassero intravedere con chiarezza tutto il loro ventaglio, così il ricordo che porterò via con me e che cercherò di non perdere nonostante l’inevitabile patina del tempo sbiadisca la vivacità e innanzitutto l’intensità del loro battito. Ma non è il caso di fornire ora un elenco dei luoghi più o meno comuni che tutti conosciamo e nei quali ci possiamo riconoscere o meno (si può pensare alle endemiche montagne di munnizza che come una piaga s’abbattono sulla città da una stagione all’altra, o agli splendidi fiori viola degli iacaranda di piazza Castelnuovo, i quali sorprendono piacevolmente i viandanti ogni mese di maggio, così come al maestoso ed emblematico Teatro Massimo, orgoglio di tutti i palermitani). Comunque sia, in questo momento la mia mente si rivolge forse all’angolo più significativo e battuto del tracciato di quest’urbe, voglio dire ai Quattro Canti. Nonostante si tratti del luogo verosimilmente più ricorrente quando si parla della capitale siciliana, non è meno vero che questa piazza ottagonale rappresenta come nessun altro edificio la metafora stratificata di tutto quello a cui potrebbe aspirare Palermo. Nessuno dei suoi abitanti non è ignorante del fatto che i tre livelli sovrapposti che configurano il caratteristico monumento raffigurano, al primo livello il potere della natura, al secondo il potere politico e al terzo quello sacro. Ovviamente quest’ultimo livello si trova più in alto poiché più vicino al cielo, il quale rappresenta le quattro patrone palermitane prima dell’avvento pochi anni dopo la costruzione della piazza, dell’attuale patrona per antonomasia della città, la venerata, l’adorata, l’eccelsa Rosalia Sinibaldi, Santa Rosalia.
    E per parlare dei luoghi comuni in rapporto a questa città, che uno cerca di capire il meglio possibile prima di andare via, non c’è niente come dare uno sguardo al rapporto dei cittadini di Palermo con la sua santa per eccellenza, adesso che ci stiamo avvicinando al rituale annuo che sta per svolgersi. Perché se da una parte uno rimane sbalordito davanti all’ antichità e spettacolarità della processione col suo carro trionfale – anche se si tratta di un rito liturgico nella più genuina tradizione cattolica, la prima impressione da fuori è quella di un corteo pagano cui prende parte la maggioranza degli abitanti della città -, dall’altra resta meravigliato di fronte all’esaltazione e all’ebbrezza, al delirio popolare di questo Festino che si verifica la sera di ogni 14 luglio da quasi quattrocento anni. Singolare oltretutto la coincidenza di questa ricorrenza con la Rivoluzione Francese, dove conviene ricordare che nella Parigi di allora e non di questo momento, la raggione entrò trionfante sul potere politico, che in quel tempo era sociale e innanzitutto religioso. Sì, quasi ogni cittadino di qualsiasi condizione sociale, ideologica e culturale si reca in centro la sera di questo giorno estivo lungo l’assiale Cassaro allo scopo di assistere a questa cerimonia che ha assunto una forma piuttosto profana sotto ogni punto di vista. E si direbbe che tutti fanno parte di questo rito collettivo per celebrare qualcosa che soltanto appartiene a loro, qualcosa che li accomuna dimenticando per alcune ore le differenze e i litigi tra di loro, così come le bassezze praticate sia dalla Politica, sia dalla Chiesa; propio come se si aprisse una parentesi di oblio propiziata dalle istituzioni, sempre rappresentate dal sindaco e dal cardinale della città e, certo, da tutti i suoi concittadini legittimi che stanno loro attorno, e dove i tre poteri – terreno, politico e celeste – tornassero a diventare uno e indivisibile intorno alla loro Santuzza, la loro dea, il loro idolo espiatorio sempre più mediatizzato. Sarà per questo che già l’anno scorso l’immagine secolarizzata di Santa Rosalia con la sua posa plastica assomigliava di più a una modella che va in passerella che a una vergine ieratica e devota?

    Estasi o mondanità.

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