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venerdì 22 nov
  • Riflessione su via Roma e sulla crisi: quale tessuto?

    Qualche giorno fa, dovendo effettuare delle compere, ho deciso di fare una passeggiata in via Roma: erano anni che non lo facevo. La prima cosa che mi ha colpito è stato che rispetto agli anni passati c’erano poche persone che camminavano, poi, moltissime vetrine di negozi ormai svuotate rimandavano a immagini di carcasse svuotate di vecchie auto da rottamare. Era come se un pezzo di città si fosse addormentata a macchia di leopardo per sempre. La crisi di cui tutti parlano è arrivata anche qua, è sicuramente un dato di fatto. Questa è dovuta in parte ad una “evoluzione”, involuzione, del sistema economico e commerciale che si è voluto dare alla città per omologarla alle grandi città d’Italia e d’Europa, la realizzazione di grandi centri commerciali dove poter effettuare compere di ogni genere o vivere parte della vita, e nel dire questo non esagero. Questi grandi centri commerciali sono come se fossero delle grandi astronavi dove perdere la cognizione del tempo; è significativo che quasi tutti i negozi non hanno nessun apertura verso l’esterno, che la luce naturale che entra è filtrata da vetri opacizzati, come a volere creare un mondo nuovo, il parco divertimenti dove si recarono Pinocchio e Lucignolo nella fiaba di Collodi. Naturalmente, come nella fiaba, questi luoghi hanno il potere di trasformare le persone da individui ad asini, solo che oggi questo piccolo inconveniente non si vede perché particolari computer rimandano un ologramma che inganna l’avventore che li frequenta. Artefici di questa trasformazione sono i suoni e le luci artificiali, musica assordante nei percorsi interni e luci artificiali che hanno il compito di rendere più visibile la merce messa lì per sedurre gli avventori. Questi mega mostri sono l’espressione massima del capitalismo finalizzato non solo al massimo profitto, ma soprattutto ad assoggettare con promesse di bellezza e vanità intere popolazioni, complice la pubblicità martellante che in ogni dove reale o virtuale ci ha invasi. Andare a fare un’analisi del fenomeno consumistico non è certo compito mio, ma è chiaro che questo esiste e che ormai per questo puro piacere vacuo indotto di consumare stiamo distruggendo ogni cosa, anche i luoghi in cui viviamo, la nostra città.
    Penso che sia arrivato il tempo di mettere in atto delle politiche che favoriscano il risanamento del tessuto cittadino che si è distrutto, di salvare il salvabile, di ripensare la città in modo da renderla nuovamente bella e vivibile. Per fare ciò è necessario favorire la sua fruizione ai Palermitani e ridare ossigeno vitale ai tessuti morti per farli rinascere utilizzando gli spazi, edifici strade e strutture esistenti ridandogli, se necessario, significati nuovi. Tutto ciò deve essere fatto nel rispetto della lettura del passato, ma senza aver nessun timore a innovare, modificare e trasformare. Un po’ come è stato fatto nei secoli nelle chiese della città dove si sono mischiati, sovrapposti e fusi vari stili di epoche diverse. È paradossale che i turisti che vengono a Palermo per visitarla non facciano nessuna visita ai centri commerciali e che questi facciano visita alla città abbandonata da tanti palermitani, che preferiscono svolgere parte della loro vita nei mega mostri. Mi piacerebbe incontrare la fata Turchina per chiederle di rimettere ogni cosa perfettamente funzionante al proprio posto, ma penso che questa sia una magia troppo grande per una sola fata, è necessario secondo me un contributo da parte di tutti noi e questo può nascere solo dall’incontro e dal confronto, dal desiderio di riscatto. Allora quali luoghi, dove incontrarsi? Esistono quelli virtuali, i gruppi sui social network, e quelli reali teatri, cinema, piazze, bar, coworking, scuole, università, associazioni culturali entrambi sono validi, l’importante è cominciare anche sbagliando, si potrà sempre porre rimedio, “ vedendo facendo” come alcune volte dicono i capomastri dei cantieri edili in cui bazzico.
    P.s.
    da Wikipedia:

    «Il termine civiltà deriva dal latino civilĭtas,[1] a sua volta derivato dall’aggettivo civilis, da civis (“cittadino”), a sua volta derivante da civitas (città, intesa come agglomerato sociale di individui e non come agglomerato urbano). In questo ambito indicava dunque l’insieme delle qualità e delle caratteristiche del membro di una comunità cittadina, nel senso di buone maniere cittadine contrapposte a rusticitas la rozzezza degli abitanti della campagna; concetto che in realtà voleva discernere l’organizzazione democratica dello Stato civile da quella individualistica ed autarchica della vita nelle campagne.
    Con entrambi i significati il termine passò nella lingua italiana nel Trecento………Avvicinandosi molto al termine di “cultura” cominciò inoltre ad indicare le caratteristiche (idee, valori, tradizioni) proprie di un popolo in un particolare momento della sua storia».

    Difendere la nostra città equivale a conservare la nostra storia, identità e cultura, e questo non è cosa da poco.

    Ospiti
  • 9 commenti a “Riflessione su via Roma e sulla crisi: quale tessuto?”

    1. Cioè, in pratica, sei andato alla Rinascente.

    2. Mamma che pistolotto.
      Spesso non ci si rende conto che i tempi cambiano, e con essi la realtà circostante. Negli anni 50, quando iniziarono ad arrivare i primi supermercati, molti piccoli negozi d’alimentari furono costretti a chiudere, per il semplice fatto che i supermercati offrivano gli stessi beni (o magari anche di migliore qualità) a prezzi inferiori, ciò dovuto alle evidenti economie di scala.
      Adesso ci troviamo dinanzi ad un ulteriore salto, i centri commerciali, che non saranno il massimo della vita, ma che sono utili, estremamente utili.
      Infatti, si arriva in un parcheggio generalmente custodito, e si entra in un luogo dove si trovano raggruppati tutti i negozi di cui una famiglia può aver bisogno per il proprio shopping, dal supermercato al negozio di scarpe, da quello di giocattoli a quello dei cellulari, etc. Con in più la possibilità di riposarsi in un bar o addirittura vedere un film, sempre in un ambiente controllato da guardie di sicurezza.
      Si evita così di girare in macchina per la città, dovendo trovare innumerevoli parcheggi ogni volta che ci si sposta da un negozio all’altro, con evidenti perdite di tempo e denaro.
      Certo, e’ triste vedere tutte quelle saracinesche abbassate, ma il tempo non lo ferma la nostra nostalgia, purtroppo.

    3. david, il problema però è che la chiusura dei negozi in centro interviene sul decoro della città e sul suo appeal turistico. Certamente i centri commerciali sono utili, ma nelle grandi città sono in centro e non fuori dal centro come a Palermo, è indubbio che palermo è attorniata da centri commerciali che hanno un grosso effetto centrifugo. Ferma restando la costruzione dei centir commerciali, probabilmente si poteva intervenire anche con la costruzione di parcheggi e con una riorganizzazione funzionale della città per andare incontro alle esigenze di modernità da te citate.

    4. “..nelle grandi città sono in centro..”.
      Che strano, sino a stamattina intorno al Big Ben non c’era nessun centro commerciale, e dire che dovrei saperlo, dato che ci abito proprio dinanzi..evidentemente mi saro’ distratto.
      Il punto e’ uno: qualunque negozio e’ basato sull’esistenza di un profitto, e quando questo scompare, lo stesso negozio entra in sofferenza e ala fine fallisce.
      Come si possono salvare allora i negozi del centro? Solo offrendo qualcosa che i centri commerciali non possono offrire, sia in termini di merce (oggetti o cibo particolari) sia in termini di presentazione della stessa (negozi strutturati in modo creativo, di tendenza, etc).
      Tutti gli altri, anche se triste. e’ normale che soccombano, ne’ possono esser aiutati dallo Stato, che interviene solo quando un’azienda offre un bene di utilita’ generale (per esempio nel campo dei trasporti) ma certamente non puo’ salvare il negozio d’abbigliamento della zia Concetta o quello di ferramenta dello zio Toto’.
      In ogni caso, quei vuoti lasciati dai negozi falliti saranno prima o poi riempiti, com’e’ sempre successo, specialmente se si trovano lungo strade di prima grandezza.
      Che poi, tutto cio’ mi pare una battaglia di retroguardia, dato che qui, per esempio, i centri commerciali son gia’ considerati un po’ vintage, dato che ormai molta parte della popolazione compra pressappoco tutto su internet.
      Dove vivo, la reception riceve ogni giorno almeno una ventina di pacchi per i residenti, provenienti da Amazon, Tesco, Argos, etc, e contenenti un po’ di tutto, dalla verdura per l’insalata alla lampada d’arredamento, tutto consegnato con precisione estrema e senza alcun costo aggiuntivo rispetto a quanto potresti pagare se comprassi gli stessi oggetti nel negozio. Cosi’ l’unica fatica e’ mettere l’insalate nel frigo od accendere quella lampada. Magari tra 20/30 anni sara’ cosi’ anche a Palermo, noi le cose le facciamo con calma.
      Comunque m’e’ appena venuta un’idea: per evitare di andar sempre in periferia per un centro commerciale, perche’ non ne costruiamo uno alla Vucciria? Il nome ci sarebbe gia’ “Vucciria: il vero centro di Palermo”.
      Si potrebbe costruire abbattendo finalmente un po’ di quei palazzi diroccati che vi sono in giro, e magari costruirlo in forma circolare, con il muro esterno in stile ottocentesco per armonizzarsi col resto.
      In piu’ si potrebbe costruirlo proprio intorno alla fontana cosi’ cara all’Esimio Maestro Uwe, proprio inglobando la fontana al suo interno.
      Pensateci, sarebbe l’unico centro commerciale a ruotare intorno ad un’opera d’arte secolare con annesso artista contemporaneo che potrebbe, ogni mattina, scrivere con lo spray sulla medesima fontana “Compra” o “Spendi” per protestare contro il consumismo dilagante, e alla chiusura del centro prenderebbe spazzola e secchio per ripulire e ricominciare l’indomani mattina.
      Questa sarebbe una vera attrazione turistica!
      PS. Ho letto che i suoi pargoli sono aumentati. Non pensavo che portare un bel barbone rende piu’ prolifici. Buono a sapersi, comunque.

    5. …il mondo come un quartiere dove tutti possono comprare tutto è una realtà, non lo nego, ma la mia riflessione o domanda è: quale tessuto? che significa cosa ci facciamo del centro storico e di via Roma? secondo me è venuto il momento di ripensare la città, il fatto di abbandonarla a se stessa non è un bel pensare… ci sono già delle iniziative che si muovono in questa direzione:pedonalizzazioni, locali, negozi di design con materiali riciclati, etc ma questo non basta ancora a ridare vitalità alla città… la forza dei centri commerciali è che è tutto pianificato da una sola entità con finalità di profitto, mentre andare a coordinare le attività del centro storico dovrebbe essere compito della politica, che per me significa dialogo incontro azione riscatto… parlando con dei giovani artisti dell’attività ” ALAB” associazione liberi artisti e artigiani di BALARM sono rimasto affascinato dalla loro bravura e dalla loro voglia di credere a qualcosa di nuovo a costo di enormi sacrifici… mi auguro che tanti altri Palermitani sulla scia di questi pionieri possa ritrovare il gusto di rivivere la città.

    6. David, forse, visto che parli di Londra, si potrebbe prendere come riferimento il centro commerciale di Westfield, la cui posizione è stata azzeccata. Questo è stato costruito non in una landa desolata come il Conca D’Oro, ma a ridosso di un’area abitata, così da essere raggiungibile anche a piedi dagli abitanti di Hammersmith o dai molti turisti che alloggiano nei B&B di Shepherds Bush Rd.
      Sul discorso del naturale evolversi degli stili di acquisto sono daccordo; i negozi vuoti del Centro di Palermo potrebbero, ad esempio, riconvertirsi in servizi per turisti, come trattorie e di oggettistica artigianale siciliana.
      Paradossalmente il Centro di Palermo, in cui chiudono tutti questi negozi e molte sono le abitazioni disabitate, potrebbe riconvertirsi in qualcosa di potenzialmente nuovo, come avviene ad esempio per i quartieri degli artisti in molte città del mondo.
      Proprio il degrado di certi quartieri, il basso costo di affitti e per acquistare un immobile vecchio, hanno fatto si che molti artisti squattrinati abbiano “invaso” certe zone in molte capitali europee, trasformandoli in luoghi attrattivi e che si sono poi riqualificati automaticamente acquisendo valore e visibilità.

    7. Beh, sig. Pablo, per me il centro di Londra e’ la zona 1, per chi conosce la citta’, e in questa zona non sono sorti centri commerciali di rilievo per un semplice motivo: acquistare il terreno sufficiente per costruirne uno sarebbe proibitivo.
      E in ogni caso, Central London ha gia’ il suo centro commerciale all’aperto, che e’ Oxford Street, che tra l’altro puo’ ben simboleggiare il cambiamento di una strada nel corso degli anni.
      Quando arrivai, circa un dozzina d’anni fa, c’erano gia’ molti negozi tutti uguali sempre delle stesse compagnie d’abbigliamento, telefonia, fast food, etc, tutti stipati strategicamente ogni 500m/1km, in modo tale che anche solo per sfinimento alla fine entravi in uno di essi. Ma c’erano anche tanti negozi indipendenti, soprattutto di souvenirs o tavola calda che rendevano la via molto variopinta. Poi, pero’, a mano a mano che i contratti d’affitto scadevano, gli imprenditori indipendenti si trovavano dinanzi a richieste esorbitanti per continuare la loro attivita’, e quindi erano costretti a lasciare, e il loro posto veniva regolarmente preso da grandi multinazionali che avevano il portafoglio molto piu’ capiente.
      Ora, quelle poche volte che vado in Oxford Street (perche’ odio dover nuotare in quel mare di gente che c’e’ sempre) noto che ci saranno non piu’ di una dozzina di brands operanti nella via, ma con molti punti vendita ognuno. Certamente la strada ha perso una sua vecchia identita’, ma ne ha trovata un’altra, forse peggiore, ma devono essere i compratori a stabilirlo.
      Comunque, vedere quanto accaduto a questa strada, mi fa essere ottimista pure per Palermo, perche’ son convinto che anche quei vuoti in centro verranno prima o poi colmati.
      Che poi i due veri grandi centri commerciali di Londra si trovano entrambi a circa 40km dal centro, e tutti e due sono stati costruiti in aree periferiche o depresse.
      Ma adesso quelle stesse aree son diventate molto piu’ accettabili, e nuove costruzioni abitative sono state create, e i valori immobiliari sono aumentati, creando dei nuovi poli residenziali che decongestionano le zone piu’ centrali.
      Lo stesso potrebbe accadere per il centro Conca d’Oro.
      E forse non sarebbe qualcosa di male.

    8. Forse se i negozietti palermitani fossero stati più onesti, magari riuscivano a resistere, sia alla crisi economica che alla concorrenza.

      Negozi dove le commesse erano pagate pochissimo, cafonissime e strafottenti, dove era impossibile esercitare i diritti basiliari del consumatore..a cominciare dal diritto al recesso, dove non solo eri trattato male, ma anche preso in giro durante gli sconti con prezzi rialzati e scontati (a volte più cari del prezzo intero, dove eri trattato a pesci in faccia e per farti rispettare dovevi litigare con il proprietario!!

      La verità è che i nostri commercianti non hanno la minima idea di come si lavori; come può una piccola salumeria competere con un supermercato del calibro di Auchàn? Perchè una città come Monaco di Baviera è circondata da centri commerciali, ma anche piena di piccoli negozi alimentari in perfetta salute? Perchè trattano bene (benissimo direi!!) il cliente, non cercano di fregarlo, hanno tutti dei piccoli tavolini per la degustazione e hanno puntato su prodotti tipici e di nicchia; chi a Palermo ha fatto così (qualcuno c’è!!) ha resistito e fa ancora affari!!

    9. Non vedo soluzione ne’ speranza per attività commerciali in senso tradizionale,nelle zone limitrofe a VUCCIRIA e dintorni.E’ finita un’epoca in cui ti mostravano frutta scelta e ti impaccavano gli scarti,o ti rubavano sul peso.Fuori dagli alimentari,escludendo le coppole e le coffe in cui ai tempi degli gnuri si poneva la biada per i ronzini,i negozi proponevano tutta merce d’importazione,ne più ne meno di quanto oggi avviene nei centri commerciali.Solo che in questi i prezzi sono crollati,grazie alle delocalizzazioni ,
      al risanamento delle attività produttive,alla logistica distributiva.
      Nessuno pensi di far ripartire improbabili attività nel centro storico facendo leva a soldi pubblici.Se uno ha un progetto del genere,ci provi con i suoi soldi,sempre che riesca a trovarli.Non c’è spazio a Palermo per costruire centri commerciali nel centro storico.E poi a che servirebbe?In pochissimi anni ed un po’ alla chetichella a Palermo sono nati
      Grandi centri commerciali in aree periferiche dove si sono realizzati grandi parcheggi
      e luoghi di ristoro.Aree facilmente raggiungibili per fare la provvista settimanale.Finita l’epoca in cui si faceva il turno dal barbiere per una rasatura o dal salumiere per avere un etto di affettato,spesso in condizioni igieniche alquanto deficitarie.
      Dunque nessun rimpianto per quelle saracinesche chiuse,come per le persiane chiuse.

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