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martedì 19 nov
  • “Dio delle zecche”: dolci come Gandhi

    Danilo Dolci

    Danilo Dolci, un friulano trapiantato in Sicilia per cinquant’anni e candidato al Nobel per la Pace è raccontato nell’opera prima di Leandro Picarella e Giovanni Rosa, un documentario dal titolo, Dio delle zecche. Esordienti del corso di regia del CSC di Palermo, i due giovani autori girano con una buona padronanza del mezzo un insolito spaccato di Sicilia, raccontando l’impegno sociale e la forza dell’amore e della condivisione di un vero e proprio Gandhi di Casa Nostra.
    Fervido sostenitore delle lotte pacifiche basate sulla comunicazione, Dolci raccoglie le speranze della comunità di Partinico, riscattandole da una mentalità di assoggettamento, che costringeva i contadini alla richiesta di permessi desueti o addirittura feudali per l’uso dell’acqua, in pieno ventesimo secolo.

    La musica degli Antartica, quanto quella di repertorio, non travalica il tocco delicato di questa poesia, esaltandone il giusto equilibrio tra i vari piani dell’immagine e della storia narrata, anche quando risulta cupa e dal ritmo affannoso, come nelle immagini di repertorio della costruzione di una casa per le persone più disagiate.

    Il figlio En si muove tra i luoghi cari a suo padre, raccogliendo testimonianze di vario tipo – anche ironiche e folkloristiche – per compiere al tempo stesso un proprio viaggio esistenziale, al fine di comprendere e tenere in armonia le sue due nature: il norvegese squadrato e composto e il figlio di un uomo, che aveva portato sulle proprie spalle il dolore atavico di queste genti con forza di rigore e dignità. La particolarità del personaggio narrato racconta i mali storici della Sicilia da una prospettiva che vince e porta a conoscenza dei più quanto possa valere la forza dell’amore per il prossimo, della comunicazione e della lotta non violenta.

    Il ritmo pacato ma non lento, l’intreccio delle immagini che passano dalla Sicilia alla Norvegia con originale raccordo di fatti, luoghi e persone, narra di un uomo così dentro la natura da usarla come fonte d’ispirazione per i nomi dei suoi molti figli. E a questa visione quasi panteistica rispondono le parole di Sciascia che identifica la mafia in una piaga mostruosa, la quale ha varcato da tempo i confini dell’isola, a testimonianza di un livellamento negativo molto più pericoloso.

    L’incipit e il finale dell’operazione filmica in oggetto è affidato a due grandi esempi d’amore, che si specchiano l’un l’altro e racchiudono come una conchiglia tutto il documentario. Sembrano due mani che contengono una metaforica acqua pura e rigenerante. Dio delle zecche, oltre ad essere il titolo di una raccolta poetica dello stesso Danilo Dolci, potrebbe riferirsi simbolicamente a una divinità che sconfigga il parassitismo mafioso, partendo dal basso e credendoci fino in fondo, affinché si sradichi una mentalità inconcepibile e la presa di coscienza cominci proprio dai bambini. Anche l’indugio sulla commozione di En non risulta didascalico o ridondante ma conferisce quel minuto in più di eco necessaria allo spettatore, per assorbire quell’emotività incisiva a cui il giovane nordico fa fatica ad abbandonarsi.

    Un lavoro originale e coraggioso, presentato con molta delicatezza e fluidità.

    Il documentario verrà proiettato in anteprimaalle 21:00 (ingresso libero) alla sala Ccinematografica De Seta, ai Cantieri culturali alla Zisa.

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