Mafia export
«Non vedo, non sento, non parlo», questo è uno dei messaggi più gettonati nella produzione di souvenir “made in Sicily”.
Bancarelle, negozi, botteghe artigiane, sono letteralmente invasi da merchandising a tema: magneti, grembiuli da cucina, tazze per il the, borse da mare, teli da spiaggia, t-shirt, boule de neige e quant’altro, rigorosamente in “Mafia style”. Ma la cosa tragicomica (più tragica che comica) è che questo tipo di mercato ha grande presa sui turisti. La statuetta del mafioso con la lupara in mano è di gran lunga la più venduta, da anni. Chissà quanti turisti l’avranno in bella mostra nelle proprie vetrinette. In Germania, in Svezia, in Giappone, in America… In seconda posizione la maglietta con la stampa della famiglia mafiosa (padre, madre e figlio) e, in carattere strong, l’immancabile testo: «In Sicilia sugnu». Poi quella che ritrae solo il figlio (naturalmente con la lupara) con su scritto «figghiu d’arte sugnu». O, in alternativa, più semplice e diretto, «Mafiusieddu». Ma per il turista esigente, quello che volesse implementare la sua collezione, esiste il piatto del Padrino sul quale mangiare spaghetti o pennette, possibilmente all’arrabbiata. E per bere? Mafia collection ha pensato a tutto: si può scegliere tra la tazza con su scritto «Minchia, troppo bene si mangia» e il bicchiere con l’immagine di due siciliani con in mano (tanto per cambiare) una lupara e il messaggio «In due? Minchia (anche quella va esportata) troppe cose sappiamo». Ma non finisce qua: grembiule «Omo di panza sugnu» ma con la lupara, calamite da frigo «in Sicilia sugnu», stavolta con femmina sicula con le “minne di fuori” (sarà fimmina buttana, evidentemente) e borse da mare con la stampa the Godfather, alias il Padrino.
Ad Erice, a Taormina, a Selinunte, negli aeroporti siciliani, perfino nelle bancarelle ai piedi del Santuario di Santa Rosalia, si fa mercanzia di souvenir di “cosa nostra”, virgolettato che non è un refuso, anche se sarei felice di poter scrivere “casa nostra”. Pochi e al momento vani i tentativi di qualche volenteroso politico di far togliere dal mercato siciliano oggetti di questo tipo. L’ultimo tentativo, in ordine di tempo, è del deputato regionale Fabrizio Ferrandelli, il quale ha preparato un’interrogazione, in commissione regionale antimafia, per impedire la vendita di souvenir con chiari riferimenti alla mafia sul territorio siciliano. Si attende per settembre una risposta. Ma intanto il “giro d’affari” non si ferma. I turisti arrivano in Sicilia, riempiono gli occhi con innumerevoli bellezze, ma portano con sé il nostro “marchio di fabbrica”, ciò che ci stereotipa in tutto il mondo, la mafia. Il ricordo olfattivo dei nostri mercati, il sapore unico dei nostri cibi, verranno così mischiati e confusi con ciò che sarebbe meglio nascondere, cancellare; memorie del mare, del sole, di chiese, di teatri e di opere d’arte, resteranno astratti. Il concreto sarà fatto di t-shirt, di cappellini, di grembiuli, di borse da viaggio e da mare, con immagini e scritte piene di mafia. Ma in effetti c’è di peggio, qualcuno dirà: la “munnizza”, i mezzi pubblici, una città in disarmo… Una cosa è certa e incontrovertibile: noi siciliani amiamo farci del male. E allora baciamo le mani, un saluto che vi stampo sullo schermo, ma senza lupara.
Non è autoironia. E’ puro autolesionismo, riconoscimento che non siamo altro da questi stereotipi triti, ufficializzazione che siamo soltanto degli utili buffoni, che non meritiamo di essere presi sul serio e di elevarci da questa condizione di triste ignoranza.
Tutto vero ciò che avete scritto, amiamo farci male. Dovremmo esportare le cose belle della Sicilia e non questo schifo. Speriamo che prendono un provvedimento.
Questo siamo e quando parlano male di noi all’estero bene fanno. Schifè
Il vero problema è che tutta questa merce è “Made in China”! I boss mafiosi, se fossero davvero tali, dovrebbero pretendere e ottenere il riconoscimento del copyright e del diritto d’esclusiva. Una sorta di marchio D.O.C.
Così tutta la filiera, dalla produzione alla commercializzazione. sarà “Cosa Nostra”.
Condivido il pensiero di Michele Sardo, e conoscendolo personalmente so quanto dispiacere, moralità, indignazione, idealismo, e sofferenza, sono contenuti nel suo articolo.
Aggiungo che questo “mercato” è frutto di un misto tra cattiveria umana e stupidità. La cattiveria intesa come quello stato selvaggio… “purché si fotta” e chi se ne frega della morale, o dei danni procurati. Stupidità come tutta quella dalla quale derivano i luoghi comuni. Stupidità degli utili-idioti. La stessa cattiveria che si riscontra nello sfruttamento delle conseguenze causate dalle guerre. Anche la cattiveria tascia che spinge a fare business coi relitti delle tragedie con morti. La stupidità di tutti i professionisti dell’antimafia, nei quali includo pseudo-artisti, scrittori, cineasti, che sprovvisti di idee originali, sprovvisti di vera creazione, sfruttano il facile tema mafia, in tutte le salse.
La mafia che consente misero business ad alcuni disperati locali, i suddetti, ma danneggia un’intera regione, la Sicilia, affossandola; la stessa mafia (anche la cosiddetta “dei colletti bianchi”) che in altre regioni ed altri paesi genera PIL e sviluppo, quindi anche in questo senso noi siciliani siamo gli utili-idioti.
Fin da ragazzino ho sempre pensato che la mafia, se si vuole realmente eliminare, non si elimina coi mezzi attuali, che è come fare la guerra coi fiori in mano contro nemici armati di mitra e bombe, fiori in mano che fanno il solletico ai mafiosi.
Cattiveria e stupidità, di un’umanità cresciuta poco.
Mi sono un po’ allargato, ma capisco e condivido l’indignazione di Michele.
Ciò che hai scritto rispecchia la realtà di una città ancora incontaminata, purtroppo, non solo da menti mafiose, ma da persone ignoranti e superficiali.
Complimenti comunque sei stato capace di vedere il “nostro” mondo con occhi nuovi, occhi che tutti noi dovremmo avere.
Spero di leggere altri articoli scritti da te!
P.S. leggo con piacere che Michele Sardo entra a far parte degli autori di Rosalio, gli auguro belle soddisfazioni professionali anche qui (Michele è giornalista professionista).
E devo notare con piacere che il suo articolo è scritto in uno stile gradevole da leggere, anche se contiene argomenti… rivoltanti, disgustosi per ogni buon siciliano.
Pensiero in controtendenza, uno sul fronte sociologico, l’altro su quello di comunicazione:
non possiamo accettare la logica di mercato e poi indignarci per il fatto che la Mafia “vende”. Sulla Mafia sono costruite intere carriere, e questo non ci scandalizza, potrei fare un lungo elenco di nomi di personalità che se non fosse esistita la Mafia non esisterebbero. A confronto questi souvenir mi sembrano del tutto inoffensivi. Peraltro la mafia è parte integrante del nostro sistema economico e politico, io credo che un certo modo mafioso di ragionare che molto spesso noto in conterranei onesti dà la misura di quanto il fenomeno sia intriso nella nostra società, al netto del fatto, si capisce, che i mafiosi veri e propri (quelli che ammazzano per capirci) sono numericamente una minoranza statisticamente inconsistente. La Mafia è parte della nostra cultura, è parte del nostro inconsapevole agire molto oltre il nostro percepito (quanti di noi cercano l’ amico per avere riconosciuto un diritto, quanti di noi denunciano se vedono commettere un reato, quanti di noi percepiscono la priorità del bene collettivo sull’interesse particolare?). E quindi questa dei gadget è solo una delle possibili rappresentazioni delle facce del nostro essere, e non credo che l’intervento di Ferrandelli sia la risposta culturalmente adeguata al fenomeno. La risposta giusta a mio avviso dovrebbe essere quella di potenziare le cose positive e la consapevolezza su questi temi e non certo nascondere le negative sopratutto la Mafia: inutile negare che c’è e che è una delle cose che dal di fuori caratterizza la nostra terra. C’è poi un aspetto di comunicazione che a mio avviso depotenzia il messaggio che sembrerebbe inviare. Questa folklorizzazione dei personaggi e dei modi di dire in qualche modo ne indebolisce il messaggio macabro. Va infine fatta una riflessione sul turista che acquista questi oggetti, è che evidentemente non li collega al fatto che Mafia significa morte, violenza e distruzione. Ed anche questo, io credo fa parte dei nostri limiti nel sapere vivere e raccontare questo dramma della nostra terra a chi viene a visitarla. Per cui nel comprendere l’indignazione di Michele Sardo, pur infastidito, non riesco ad indignarmi, quantomeno non anche per questo.
Condivido e sottoscrivo l’analisi molto ben significata da Michele Sardo
E’ vero!
E’ un peccato, anche per il turista che avrà visto sicuramente bei luoghi e monumenti, ricordare la Sicilia con un ricordo di quel tipo!
Vergogna!!! E’ dagli anni 70 che viene perpetrata questa tradizione assurda. Adesso perfino al Santuario della Santuzza li vendono. Mah…
È vero, questi souvenir sono una vergogna.
Non mi sembra di avere visto in Germania statuette di Hitler, grembiuli con svastiche o piccoli forni crematori in ceramica! I tedeschi se ne vergognano troppo, pure a parlarne. Con la differenza che il nazismo non esiste più.
il peccato e’ che una terra meravigliosa sia contaminata dalla presenza di cosche che ne frenano lo sviluppo e non certamente da qualche oggetto cianfrusaglia che permette ad alcuni soggetti di sbarcare il lunario,mio caro Giuseppe.
In quanto alla Santuzza,ricordo da sempre di vedere fare mercimonio di immagini sacre e di statuine ed oggetti di ogni genere.
Condivido in pieno il pensiero dell’autore. La mentalita’ mafiosa si rifiuta e si combatte anche in queste cose. E nn vanno giustificati i venditori che devono sbarcare il lunario coi simboli di sangue e morte. Anzi e’ allucinante che quedti mafiosi vengano addirittura ritratti in modo comico. E poi se i turisti nn li trovano… comprano altro!!!
e allora sai che ti dico ?
Fanno bene i venditori di Souvenir,statuine immagini e cianfrusaglie a ricordare che in Sicilia la Mafia c’è,la gente la subisce ed e ‘
impotente davanti a questa forma di criminalità.
Aggiungo una situazione paradossale.
Si conoscono quartiere per quartiere i nomi dei boss locali,
che però restano liberi di agire.
Dunque,qualcuno non sta onorando la posizione di potere e responsabilità
che si ritrova ad occupare.
noto che periodicamente qualcuno si alza, nota cosa vendono gli ambulanti e poi, magari seduto ai tavolini di “DON GELATO” (Nessuno ha storto il naso sul nome di questo locale?) ci rimurgina su.
Come giustamente fa notare Giovanni, kisti semu, e ognuno abbannia nzoccave!