Che ti finiu laria cara Palermo. Città di cannoli e cupole rosse. Gnuri e basolato. Città di mare e brina. Di frutta martorana, fontane e porte. Cara Palermo, culla di cultura e degrado in egual sorta, maestra dell’ars furbitia, padrona del “promontorio più bello del mondo”. Tu Palermo, che profumi di limone e frittura, hai una luce gialla e le quattro ruote del carretto. Tu che sei l’unica nello stivale a festeggiare il patrono per due volte in un anno, prima con babbaluci e polpo bollito, poi con l’acchianata, fondendo il sacro al profano perché in fondo la Santuzza “su mierita!”. Stavolta devo dirtelo: li hai fatti propri incazzare.
E quindi una mattina ti sei svegliata e non eri più tu. Cioè, spieghiamoci. Non che tu possa cambiare, sei “irredimibile” come disse Sciascia in una condanna calligrafica senza possibilità d’appello. Ma chi ti ha fatto questo scherzetto era stanco di te. Della tua castigata bellezza che tutto ha, ma tutto toglie in cui complice è l’estremo egoismo di chi non si prende cura di te e ti dà per scontata. Immobile ai flussi del tempo, ferita da un fendente caduco e inefficace. Continua »
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