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lunedì 23 dic
  • “Non puoi capire, ora conosco il senso della vita…”

    Ho valicato i 40 già da un paio d’anni ed ormai è prassi che un amico ti racconti quanto sia cambiata la sua vita da quando è diventato padre, quanto tutto abbia un senso, quanto finalmente si senta realizzato e felice perché padre. Premetto che chi mi conosce bene sa quanto io adori i bambini e quanto sia potenzialmente “portato” per diventare papà, ma mi ritengo “portato” anche a realizzarmi senza bisogno di essere papà. In fondo, anche se mi lamento sempre (tipico dei palermitani), io sono felice di fare ciò che faccio, penso che “un senso” la mia vita l’abbia ugualmENTE, anche se continuo ad essere un single impenitENTE (fa anche rima). Ora cerco di spiegarmi meglio, il figlio dovrebbe essere (secondo me) un enorme valore aggiunto alla tua vita e non la finalizzazione della stessa, dove finisce la tua vita (metaforicamente parlando) inizia la sua, perché è giusto che sia così, nel tuo e nel suo rispetto. Un figlio/a (sempre secondo il parere di un “non padre che non può capire”) non dovrebbe intendersi come il proprio completamento (visione egoistica no?), sta solo a noi il completarci e non al nostro innocente figlioletto/a, venuto al mondo per la sua di realizzazione e non di certo per colmare la nostra. Scritto questo so bene che mi tirerò dietro critiche di ogni sorta e commenti alla Tenco del tipo “vedrai vedrai”, metto però in conto che se mai dovessi avere un figlio/a potrei (ahimè) diventare anch’io uguale a tutti gli altri padri e vedere anch’io “la luce” (modello Blue’s Brothers) in quel figlio/a tanto atteso/a (spero che non sarà mai così), ma intanto, giorno dopo giorno, cerco di scorgere quella luce altrove, nel mio lavoro, nei miei sogni, nelle mie ambizioni, nelle mie passioni, nutro la mia anima di ogni piccola porzione di felicità che mi si presenta così da poter trasmettere un giorno a quell’ipotetico/a figlioletto/a (innocente) ciò che mi ha reso e mi rende felice, tutto qui, più semplice di ciò che che si possa pensare ! Perciò amici genitori, che da un verso mi dite “non puoi capire” e dall’altro mi dite “beato te”, mettete a fuoco la vostra vita prima di concentrarvi su quella del vostro inconsapevole figlio/a, io sono convinto che un giorno quando avverrà il “distacco” dal vostro figlio/a (perchè lui/lei dovrà prima o poi seguire la sua strada e la sua realizzazione) beh allora non vi sentirete come se vi avessero amputato un arto o strappato il cuore, ma semplicemente come un bambino che lascia andare il suo palloncino e gioisce nel vederlo volare libero.

    Palermo
  • 6 commenti a ““Non puoi capire, ora conosco il senso della vita…””

    1. Il mio piccolino è nato poco meno di due mesi fa. La mia vita è cambiata, nel senso che per forza di cose dedico a lui gran parte del mio tempo. Da ancora prima che nascesse mi domando cosa posso fare per diventare uno dei suoi punti di riferimento e non soltanto per i bisogni primari. Quello che sto cercando di fare, e che farò, è ascoltare più musica, leggere più libri, guardare più film, informarmi ancora meglio su ciò che succede intorno a noi. La realizzazione non passa dalla nascita di un figlio, anzi. Credo che da quel momento devi sforzarti ancora di più di “essere” qualcuno, soltanto così sarai in grado di renderlo autonomo e consapevole.

    2. bellissima visione. Grazie Simona : ))))

    3. Il ginecologo che fece l’accettazione di mia moglie in ospedale in occasione della nascita di mia figlia, mi diede una bella immagine. Lui non aveva figli. Ma a suo avviso smetti di essere figlio quando diventi genitore. Non c’era una valutazione di merito nell’affermazione, essere figlio o genitore sono due stati diversi, l’uno non è migliore dell’altro. Non avevo gli strumenti per dare un senso a quello che mi disse quella mattina. Sarei diventato genitore 24 ore dopo.
      A distanza di qualche tempo posso dirti che l’affermazione è molto acuta, da genitore sperimenti cose diverse. Essere genitore a me provocato un cambio di prospettiva che non c’entra nulla con la realizzazione di se. Semplicemente sei costretto ad adottare punti di vista nuovi. Banalmente non avevo mai avuto l’esigenza di un parco, non avevo mai fatto caso che gli automobilisti posteggiano sugli scivoli carrozzabili rendendo la città impraticabile con i passeggini, che la quantità di cacche di cane per terra è un’emergenza sanitaria, che gli asili, le ludoteche, i posti per le famiglie sono un bene primario in una città e che Palermo ne è completamente priva. Ma anche, e sopratutto, che la nostra responsabilità per cercare di lasciare il mondo migliore di come lo abbiamo trovato ha un immediato riscontro in esseri che dipendono totalmente da te, ai quali un giorno vorrai potere dare delle risposte. Perché adesso sulla base di questa esperienza vorrei delle risposte dai miei genitori, se ci fossero o fossero in condizioni di darne. Ho rivisto pertanto il mio rapporto con il dipendere e l’essere dipendente da qualcuno e per qualcosa. Nella fattispecie avere qualcuno così dipendente da me non mi ha dato un senso di forza, come ingenuamente si potrebbe pensare, semmai al contrario di enorme incertezza e fragilità. Posso dire che la nascita di mia figlia è coincisa con il periodo di maggiore vulnerabilità verso il mondo nella mia vita. Concordo pienamente con te che pensare di realizzarsi con la nascita di un figlio sia un pensiero completamente idiota. La nascita di un figlio apre voragini da un lato e dall’altro riempie spazi emotivi che ignoravo potessero esistere e dei quali prima non sentivo minimamente l’esigenza, tanto quanto adesso non saprei come rinunciare. Ma con la realizzazione tutto questo c’entra poco. E’ un modo di sperimentarsi nella vita, rispetto al quale non c’è una sola verità e ciascuno vive la sua esperienza a suo modo. E quindi capisco e condivido il pensiero di Simona, e mi pare di capire che anche lei stia sperimentando la fragilità di cui dicevo. Per conto mio la nascita di mia figlia e poi mio figlio, è stata l’occasione per scontrarmi con i miei fantasmi e le mie paure. Penso che dietro il “non puoi capire”, se detto sinceramente, ci sia tutto questo che poi è un modo di dire “non so spiegare”. Perché io stesso rileggendo quello che ho scritto non trovo un modo migliore di dire quello che volevo dire, che però non credo di avere compiutamente detto. Certamente c’è un prima e c’è un poi. Che questa cosa sia per tutti, sia utile a tutti e che sia un percorso che tutti devono volere sperimentare non credo. Se non avrai figli vivi compiutamente la tua vita, se invece li avrai allora potrai capire 😉

    4. grazie Giovanni, il “non so spiegare” mi convince di più del “non puoi capire”, anche se so perfettamente che non capirò finché non lo vivrò, intanto al parco porto Gino (il mio cane).

    5. Certo Giovanni, è una fragilità assoluta resa ancora più forte dal fatto che in questo momento, e almeno per i prossimi 18 anni, dovrò evitare di mostrarmi ‘fragile’. Una bella fatica ma non voglio che ci siano alternative! 😀

    6. Caro Tiziano per lo meno nessuno dei tuoi amici potrà sottolinearti l’avanzamento inesorabile dell’orologio biologico, parafrasando un celebre film “Per voi è diverso. Charlie Chaplin ha fatto figli fino a 73 anni” 😉

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