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martedì 19 nov
  • Canto di Natale della città di Palermo

    «Vastasi, questi sono vastasi!»- disse siddiata la città di Palermo. Aveva l’aria accigliata e l’espressione per nulla contenta. «Guarda quante macchine in doppia fila…e quello butta la carta per terra, ma perché non usa un cestino?».
    «Mischini – aggiunse poco dopo, guardando dei pedoni che tentavano di attraversare la strada – corro ad accendere un cero a Santa Rosalia!». Improvvisamente, una pubblicità attirò la sua attenzione: “Ricordati che è Natale!”, recitava lo slogan. «Ma mi state tuccannu ‘u pusu? Ma quale Natale e Natale! Con tutti i pensieri che ho per la testa…mi è passato il prio». La giornata passò in fretta e, dopo cena, tirò le tende e se ne andò a dormire. Si svegliò, senza capire che ora fosse, ma consapevole del fatto che non fosse ancora mattina, poiché fuori era buio pesto.

    L’aria si fece fredda; il silenzio venne interrotto soltanto da un rumore di passi. Nonostante fosse terrorizzata, si fece coraggio e chiese «Chi c’è lì? ». Arrivò una risposta: «Non avere timore, mia cara». Non fu subito sicura di averlo riconosciuto, quindi domandò: «Fabrizio, sei proprio tu?». Non si poteva dire che fosse in carne ed ossa, ma eccolo lì, il principe Fabrizio Salina. Stava in piedi, con il suo inconfondibile aspetto e lo sguardo profondo. «Cosa ci fai qui?», gli chiese. «Ti vedo triste, bella Palermo, ed ho pensato di venire a trovarti; vorrei poterti dare coraggio, ed il miglior modo per farlo è darti consapevolezza. Ricorda: «I Siciliani non vorranno mai migliorare, per la semplice ragione che credono di essere perfetti: la loro vanità è più forte della loro miseria; ogni intromissione di estranei sia per origine sia anche, se si tratti di Siciliani, per indipendenza, sconvolge il loro vaneggiare di raggiunta compiutezza, rischia di turbare la loro compiaciuta attesa del nulla; calpestati da una diecina di popoli differenti, essi credono di avere un passato imperiale che dà loro diritto a funerali sontuosi».

    Detto questo, il principe sparì, e la città di Palermo si ritrovò più confusa che persuasa. Non ebbe neanche il tempo di capire cosa fosse successo, che ecco sentì altri passi, delicati ed accompagnati da uno strano rumore che poteva definirsi metallico. Si aprì la porta ed entrò una figura femminile, con una corona di rose sulla testa. Un teschio in una mano, addosso tantissimi oggetti in oro ed ex voto di ogni forma e dimensione. «Rosalia…proprio tu?». «Sai quanto ti ho a cuore – rispose la Santuzza – dovevo passare a trovarti. Dopo il 1624, tante altre forme di peste ti hanno colpita, ma non ne sei sempre venuta fuori? Adesso scusami, ma devo tornare nella mia grotta ».

    Quando Rosalia la lasciò sola, la città di Palermo non sapeva cosa aspettarsi. Non avrebbe dovuto aspettare molto per capire di più, perché presto il buio si fece più nero e dalla porta entrarono non una, bensì due figure. Non ebbe paura, perché capì subito di chi si trattava: «Giovanni, Paolo, è così bello vedervi…ne è passato di tempo dal 1992… cosa sono diventata? Ho molta paura per il futuro». «L’importante – rispose Giovanni – non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio, è incoscienza». Gli fece eco Paolo: «Non bisogna lasciarsi sopraffare dalla paura, sennò diventa un ostacolo che ti impedisce di andare avanti». All’improvviso, tutto le sembrò più chiaro: le parole di Don Fabrizio, la visita di Rosalia e le frasi di Paolo e Giovanni. Si guardò allo specchio: non si poteva dire che avesse un aspetto giovanile (provateci voi, con tutti quei secoli alle spalle), ma era comunque bella. Un po’ trasandata, certo. Aveva rughe tragiche e profonde, flagellate dal sole e scavate dalle lacrime, le stesse rughe dei contadini dell’entroterra, con le loro facce antiche. Segni lasciati dai lunghi addii e dal dispiacere. Ma forse era questo che la rendeva bellissima. Che la rende bellissima.

    Quasi non se ne rese conto, eppure era già giorno. Sentì suonare le campane, vide le strade piene di gente con pacchi e pacchettini. Ricordati che è Natale…le tornò in mente la pubblicità, ma non era più arrabbiata come prima. «È il 25 dicembre – si disse – non posso mica deludere i miei cittadini, no?».

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  • Un commento a “Canto di Natale della città di Palermo”

    1. Ma spero non ti paghino per scrivere sta roba.

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