L’esame di avvocato a Palermo
Alle soglie di Natale 2014 una “specie non protetta” di esseri umani denominati “praticanti avvocati” hanno dovuto affrontare quelli che vengono definiti “gli Scritti”.
Si tratta dell’ennesimo step del praticante che, dopo aver dato oltre 30 esami, viene accolto in uno studio legale e, almeno finché non avrà imparato la differenza tra un ricorso ed un atto di citazione, relegato a fare cancelleria, fotocopie e perché no anche il portaborse.
Il tutto chiaramente a titolo gratuito.
Così, dopo estenuanti mesi di turni, liti e pianti si riesce finalmente a capire come muoversi, dove si notifica, quanto è gentila la signora Caterina, quanta fila c’è ogni giorno alle iscrizioni a ruolo, i tempi di attesa degli ascensori e magari anche dove sono i bagni.
Arriva poi un momento in cui bisognerà chiedere ai genitori dei soldi per poter frequentare una scuola di preparazione all’esame di abilitazione e così si passeranno lunghissimi weekend in compagnia di altrettanti aspiranti avvocato che vogliono, più di ogni altra cosa, indossare la toga.
Ad ogni modo, in un batter d’occhio sarà già dicembre. Bisognerà prendere una valigia, riempirla per metà di codici, addende e dizionari e per metà di mezzi di sostentamento: dalla Nutella alle patatine. E sì, perchè ci si dovrà recare per le ore 7:00 al carcere Pagliarelli e lì stare per tre giorni consecutivi diventando un numero seriale, stare seduti nel banchetto che verrà assegnato, con accanto due perfetti estranei con i quali, con tutta probabilità, si diventerà grandi amici.
Si dovrà fare silenzio perchè ogni parola potrebbe essere usata contro di te. Si dovrà quindi scrivere, scrivere ed ancora scrivere ponendo cura alla calligrafia, a non scrivere troppo né troppo poco, a centrare l’argomento ma anche a fare una degna premessa.
Il secondo giorno si è devastati, il terzo non sai più chi sei. Si ritornerà a casa e servirà un giorno intero per riprendersi completamente e comunque il suo ricordo salterà fuori con le parole “parere, Cassazione e orientamento contrastante”.
Bisogna che arrivi il mese di maggio per riprendersi totalmente. Ma, puntuali come ogni anno, a giugno, dopo sei estenuanti mesi di attesa arrivano i risultati; quelli che, a detta di tutti, sono imprevedibili, ingestibili e troppo spesso inaccettabili.
Si spegneranno i cellulari perché non si avrà voglia di sentire nessuno e ci si ipnotizzerà davanti al pc, che sarà bloccato sull’area personale della Corte d’Appello, così come il tuo indice che, ad intervalli di sessanta secondi, cliccherà sul tasto “aggiorna”.
Poi, inaspettatamente, la pagina si aggiornerà e solo in quel momento si scoprirà di essere stato ammesso o meno.
Solo per completezza: in caso di ammissione bisognerà prepare sei materie per l’esame orale, qualcosa come cinquemila pagine; viceversa, ahimé, bisognerà ritentare lo scritto il Natale successivo, vestiti magari di rosso al solito carcere.
E, nel frattempo, la vita passa, i capelli diventano bianchi, gli amici si sposano e tu rimpiangi di non esserti iscritto in filosofia.
Questa è la storia di ogni praticante che, terminato infine lo step dell’esame orale, diventerà finalmente un avvocato.
Diceva Calvin Trillin, un illustre giornalista, «se è così duro studiare legge…come si spiega che ci sono così tanti avvocati?».
Lo scorso 18 giugno alle ore 18:00 in punto, la CdA di Palermo inoltrava l’ufficialissima e tanto attesa comunicazione che ha fatto festeggiare oltre 700 giovani praticanti, una se non la più alta percentuale di ammessi in italia, che si sono subito riversati nei locali a far festa sino all’alba smaltendo così, in una sola notte, lo stress e l’ansia degli ultimi mesi. Gli stessi giovani che stamane si preoccupano già di comprare i libri per perfezionare la loro già superba preparazione e poterla così dimostrare dinnazi alla commissione d’esame.
Chi non ce l’ha fatta dovrà invece comprendere che si è trattato solo di un incidente di percorso, che nulla toglie a quanto già si vale come persone prima ancora che come avvocati, che la strada è tutta in salita ma che, una volta arrivati in cima, si sarà i rappresentanti della Legge e finalmente si potràdifendere i clienti con il cuore ancor prima che con parole ed atti; perchè un avvocato senza cuore è come uno chef che sa eseguire i piatti ma te li fa mangiare senza quel soffio speciale per cui te ne ricorderai per sempre.
(foto da Google Maps)
Articolo molto bello che descrive benissimo le sensazioni di chi c’è passato.
Per non parlare di quello che succede nel post-abilitazione…
rendi al meglio l’idea!!
Molto carino, divertente e soprattutto…vero
Realistico ma non mi sorprende.
Voglio però fare qualche precisazione.
Sarei più contenta (da avvocato che si è laureata negli anni ’90) se non si “spacciassero troppo” i 30 esami. Io ne ho dati 22, di cui 4 biennali. Vuol dire che quello che oggi si spalma in 30, prima si concentrava in 22.
Poi, ho fatto 2 anni di sacrosanta pratica gratuita, con annesse fotocopie, cancellerie e code. Oggi le benedico, soprattutto quando ti ritrovi di fronte a cancellerie da incubo!
La fatica dei primi anni è fondamentale per diventare poi un buon avvocato. Non abbiate fretta di arrivare, ma sfruttate al meglio questi anni.
E quindi?
Ci siamo passati tutti e mi pare un’ottima palestra per allenarsi alla professione che consiste nella difesa dei diritti, compreso quello supremo che va sotto il nome di libertà personale.
Tutto quello che è correttamente descritto dev’essere visto come un’opportunità.
Diversamente, ed è vero anche, si prenda atto che s’è sbagliata la scelta sulla facoltà.
Càpita, tavolta!