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sabato 23 nov
  • Trivani vista mare, doppi servizi, salotto buono

    Un progetto al quale sto lavorando mi obbliga al triste censimento del patrimonio monumentale di Palermo. Era comunque tempo di farlo, sto censimento. La percezione d’insieme è sempre consigliabile, fosse anche per cultura personale.
    Complici le mappe stilate da volontari di buona volontà, il lavoro mi è facilitato e posso concentrarmi sull’amarezza. A vederli così quei segnaposto, uno accanto all’altro, sembrano inviti ad andare a trovare tutti quei posti misteriosi e parlanti, per ascoltarli nelle loro storie di amori, guerre e rivoluzioni. Molti di quei puntini in realtà non sono che minuscole lapidi colorate poste a memoria di luoghi che furono parlanti, oggi ammutoliti, inglobati da edifici che portano il nome di qualche capomastro di cianciminiana memoria o peggio, demoliti per far posto ad altro (con tutto lo spazio che c’era). Guardando alla mappa, guardando alle fotografie di epoche distanti anni luce, è naturale fare un paragone con la Palermo che era e la Palermo che è. Un paragone sul quale è stato già detto tanto e sul quale non si può pianificare un intervento di bombardamento intelligente, pensato per la ricostruzione di una città settecentesca e liberty. Purtroppo. Con buona pace degli haters va detto che Luca, Giuseppe, Francesco e Andrea tengono puntati i fari di questo grande teatro sul salotto buono, quello appena rimesso a nuovo, quello che resta degli antichi fasti. Quello che è diventato patrimonio di famiglia. Ma chi viene a farci visita attraversa necessariamente anche la cucina, il corridoio e il cesso. Che sono un disastro, soprattutto il cesso, che peraltro sta dove prima stava il salotto, quindi è proprio di passaggio.
    Questi nostri invitati arrivano volentieri, e volentieri consentirebbero alle nostre mani di sbarrare la loro vista periferica, lasciando loro la possibilità di guardare soltanto verso ciò che i fari illuminano. Come si fa con i cavalli di via Maqueda. Invece i nostri ospiti si aggirano liberamente, sperduti, mentre il caos li avvolge e li diverte. Guardano verso l’alto, assorbono il colore del cielo, commuovendosi per una città che risponde loro «De palas of sindac, de haus of sindac» all’ombra di piazza Pretoria. Indicano le cupole, si innamorano dei vicoli e inspirano profondamente l’aria di mare. Ma noi veniamo guardati come si guardano le scimmie mentre si spulciano, che è un gesto d’affetto ma fa lo stesso schifo. Ormai indifferenti alle bucce di banana che ci circondano e insensibili al lezzo nauseabondo che permea la nostra gabbia, ci passa di mente che l’abitudine arriva con il tempo. E ci passa di mente che i nostri ospiti non sono cavalli né scimmie. Non possono guardare senza osservare e noi non possiamo aspettarci che abbiano maturato la nostra stessa bravura nell’ignorare i giochi dei nostri cuccioli, che per sollazzo collezionano le dita delle statue. Piccoli e neri come tante olive vivaci, sono abbandonati agli insegnamenti di una generazione che conserva ancora dita di marmo rubate, e pigne, e putti, e capitelli. I nostri ospiti vedono anche l’arco murato spoglio del fregio che portava in fronte, il balcone fai-da-te del palermitano ca s’industrìa, le anarchiche doppie file, la palla di polvere sotto il divano e il municipale che beve caffè, come in America, ma senza ciambella.
    Vedono tutto, sentono tutto e scrivono tutto, come il figlio del Perozzi.
    Non trovo singolare che, nonostante i diversi inviti spediti, il salotto buono sia stato lasciato semi vuoto. Fingiamo proprio noi di non sapere che la gente parla, forse. O forse ci piace convincerci di cose non vere, ipocriti e tronfi come siamo. E siamo anche portatori malsani di orgoglio per qualcosa che non abbiamo fatto noi, e neanche i nostri padri. E siamo bravissimi a scaricare barili.
    C’è però qualcuno che ha visto, sentito e scritto tutto, anche lei come il figlio del Perozzi. Oggi si è stancata di vivere nell’ipocrisia di un sorriso esageratamente tirato, che conforta i superficiali ma invoglia gli scaltri a cercare la verità, possibilmente per urlarla con quanta più voce hanno. La nobildonna non è più fiera, ha deciso di ritirarsi. Datele da bere del latte caldo, che di champagne ha disgusto, e fatele compagnia, ma in silenzio. Ché di sentirsi perculare su quanto sia felicissima non ne può più.

    Ospiti
  • Un commento a “Trivani vista mare, doppi servizi, salotto buono”

    1. oggi il champagne si beve in bicchieri di plastica. dopo si butta il bicchiere sulla terra mentre si guarda ai seni di una bella donna o ai seni di un uomo bello grasso

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