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martedì 19 nov
  • Santarancina a Palermo, fumata nera a Catania

    Allora, innanzitutto ci tengo a tranquillizzare tutti i miei amici di Facebook. Anche se non ho cambiato foto copertina e non ho postato macro di arancine giganti, fatte in casa o adagiate sul piatto di qualche rinomato bar palermitano, beh, vi comunico che l’arancina me la sono mangiata pure io. E nella gara di chi se l’è mangiate più buone, più grosse, più dorate, più condite, più croccanti, più oleate (perché noi palermitani se non siamo “più” non siamo niente) vi annuncio anche che le più belle, per l’appunto, erano proprio a casa mia (perché le ha fatte la mamma e, personalmente parlando, il bar Touring si po’ ammùcciari).
    Ma andiamo a noi, noi che siamo il capoluogo, noi che abbiamo la squadra in serie A (nonostante non me ne freghi niente del calcio, in alcuni casi è sempre bene ricordare certi dettagli) e su questo né ci piove né ci dorme la città di Catania. Dopo aver ripulito le cucine dal fritto incrostato fino al tetto, dopo aver messo in lavatrice pure le tende, il gatto e il parrucchino del nonno, dopo aver ritinteggiato le pareti, esserci fatti sei shampii e aver versato l’olio della friggitrice nello scarico del water perché alla raccolta degli olii esausti non lo volevano, è arrivato il momento, per me, di condividere con voi una sconcertante scoperta fatta qualche giorno fa: a Catania non celebrano Santa Lucia.
    Questa festa che per noi è comandata (non dico al pari di Natale o di Santa Rosalia ma picca ci manca) passa tristemente in sordina nelle case dei nostri cugini alle falde dell’Etna. Se per noi palermitani l’arancina è già simbolo e sovrana indiscussa dello street food, è proprio nel giorno di Santa Lucia che essa riceve la sua massima glorificazione, acclamata e osannata per le strade al pari di una Patrona, tra musiche sacre, tripudi di zafferano e cascate di besciamella.
    Volevo evitare di polemizzare ancora sulla secolare questione del sesso delle arancine che, per noi, femmine sono e femmine resteranno per sempre, nonostante i nostri vicini della East Coast ci provino continuamente a cambiare le vocali in tavola. Vero è che c’è un confine netto e preciso lì nella terra di mezzo tra Palermo e Catania dove la A diventa O e non c’è proprio niente da fare. È più facile che un catanese si vesta di rosa piuttosto che si rassegni a pronunciare una A che proprio sembra non andargli giù. Sarà mica che con quella O devono giustificare una molto discutibile forma pizzuta uscita dal cappello di chissà quale rosticcere scellerato e con evidenti complessi di inferiorità sessuale?
    O si sentono con le spalle coperte solo perché un complotto malefico che vede protagonisti Camilleri e Zingaretti ha tramato alle spalle di noi puristi e veri intenditori della palla dorata, esportando oltre i confini siculi un lemma errato, generando scompiglio e turbamento negli animi di chi dell’amore verso l’arancina ne ha fatto una vera e propria religione?
    E vi dirò di più: loro, gli infedeli cugini dall’altra parte della Sicilia, non hanno nemmeno idea di cosa sia la cuccìa. Giuro. Ho provato a descriverla e il risultato è stato che si sono immaginati una sorta di mousse di cereali e ricotta. Quando poi ho annunciato che la cuccìa non ha forma propria e non si taglia con il coltello ma generalmente è servita dentro a un bicchiere o a una coppetta, è calato il silenzio e c’ho levato mano. Non aggiungo altro.
    Ora, ma voi ve la immaginate la tristezza di un 13 Dicembre a Catania? Entrare nei bar senza vederti volteggiare sopra la testa guantiere piene di arancine che dalle cucine vengono portate ancora roventi al bancone dove già file di impazienti e affamati devoti e rispettosi delle tradizioni attendono “ordinatamente” il proprio turno; passeggiare lungo le strade senza essere avvolti da quell’ odore di fritto untuoso che come un caldo abbraccio avviluppa la città in una fitta nebbia (che in confronto il fumo degli stigghiolari di Viale delle Scienze è fissarìa).
    Cari amici miei sotto il vulcano, già chiudiamo un occhio su certe vostre barbare abitudini (vi mangiate il cavallo spalmato pure sulle fette biscottate che, per carità, sarà senz’altro più chic della nostra meusa, ma dai, il cavallo non se lo mangiavano nemmeno gli aborigeni australiani nei periodi di carestia più nera). Però mica noi veniamo a rompervi le scatole sui dolci di mandorla o sulle granite. Ci cospargiamo il capo di cenere e ammettiamo umilmente che la granita a Palermo è solo ghiaccio grattuggiato con zucchero e coloranti. Ma se non vivete Santa Lucia, che dovete capirne, voi, di arancine? Noi, dalla nostra, abbiamo l’esperienza di secoli e secoli di Sante Lucie che si perpetuano Dicembre dopo Dicembre, teglia dopo teglia, e che ci hanno conferito, se permettete, un po’ più di esperienza e rispetto in merito.
    Ma nonostante ciò è certo che dalla spinosa questione non se ne uscirà mai: noi continueremo a farle femmine e a palla; voi continuerete a farle maschi, deformi e a punta. Amen.
    Del resto non mi stupirei se, in futuro, qualche pasticceria catanese si cimentasse a esplorare sentieri finora sconosciuti, proponendo la propria versione della cuccìa. Chissà quale forma si inventeranno e cosa decideranno di metterci dentro (dopo l’uovo trovato dentro un arancina catanese presentata all’Expo, noi palermitani ci aspettiamo davvero di tutto!).
    Su una cosa però siamo pronti a scommettere. Lo chiamerebbero sicuramente cuccìo.

    Palermo, Sicilia
  • 20 commenti a “Santarancina a Palermo, fumata nera a Catania”

    1. Fantastico

    2. In effetti ricordo, molti anni fa, una scena alle 7.30 del 13 dicembre in un bar di Palermo.
      Di fronte al tripudio di arancine, un avventore catanese restò basito nel vedere che, quella mattina, non avrebbe trovato molto altro per la sua colazione.

    3. Semplicemente favoloso e azzeccato in pieno, divertente, garbato e simpaticissimo. Il cavallo spalmato sulle fette biscottate, poi, mi ha fatto ridere troppo.

    4. Saluti e baci all’arancina day

    5. bello, condivisibile e ben scritto 🙂
      io comunque porto avanti la guerra in continente contro sta brutta cosa di volerla mascolinizzare per forza. A costo di inserirmi maleducatamente in conversazioni altrui non posso far passare il termine arancino e il malcapitato si dovrà sorbire anche tutta la tiritera sul perchè e il percome!

    6. Divertente questo articolo, scritto molto bene. Sono palermitana ed amo Palermo ma sono legata anche a Catania…. Sono due città meravigliose con gente straordinaria, viva le arancine palermitane e gli arancini catanesi che non differiscono solo per il nome ma anche per il gusto, mi piacciono di più quelle palermitane ma la granita catanese è imbattibile.

    7. Ogni anno, puntuale come le tasse, arriva sul blog la glorificazione dell’arancina: evidentemente le palle piacciono a Rosalio..senza offesa, eh.
      Infatti, dopo la costituzione dell’arancina palermitana dell’anno scorso, quest’anno e’ la volta della dirompente notizia che la celebrazione della palla fritta avviene solo a Palermo: non a Catania, e presumibilmente nemmeno a Londra, Kabul, Bogota’ e Kuala Lumpur.
      Come siamo fortunati.

    8. Ti posso rassicurare che nella Sicilia orientale festeggiano eccome S. Lucia, non so da quale fonte hai appreso questa falsa notizia; anche perchè S.Lucia è la Patrona di Siracusa, e non mi sembra che questa città sia a 10 km da Carini!
      Tralasciamo il ritrito fatto che arancina si chiama solo a Palermo e in altre poche parti della Sicilia occidentale, mentre nell’80% della Sicilia e nel resto del mondo è arancino, poichè in siciliano l’arancia si chiama aranciu, di conseguenza arancinu e arancini.
      Ma anche la cuccia dolce con la ricotta e con pezzi di cioccolato si fa solo a Palermo e zone limitrofe, nella altre province così si fanno solo i cannoli.
      In tutte le altre parti della Sicilia la cuccia è bollita e salata (eh si, quasi in tutta la Sicilia), si condisce con olio d’oliva nuovo e si mangia calda. Inoltre, se non lo sapessi, la tradizione della cuccia il 13 dicembre deriva sempre dalla Sicilia orientale; una nave carica di frumento infatti sbarcò in tempi di carestia a Siracusa proprio il giorno di S.Lucia, e la popolazione affamata non macinò neanche il frumento ma lo bollì sul posto e lo mangiò subito, altro che con ricotta e cioccolato.
      Capisco che Rosalio è il blog di Palermo e ogni cosa che viene descritta come palermitana sarà sempre difesa da tutti, ma travisare la storia e le tradizioni siciliane è da bambini. Documentati bene prima di scrivere un post.

    9. Pablo, chi ha tirato in ballo Siracusa? Sembra che tu non abbia letto affatto il mio post, il cui obiettivo è chiaro fin dal titolo. Conosco bene la storia di Santa Lucia e so bene che è festeggiata appunto a Siracusa e ti assicuro che ho letto tutti i post sull’argomento, sia quelli storici che quelli più frivoli. Ma il mio post si riferiva a Catania che ,ribadisco, sconosce sia la cuccia che le celebrazioni della Santa. Se nel mio articolo, infine, vi era una posizione “di parte” nei confronti della città di Palermo, questo è stato un voluto gioco scherzoso e ironico nei confronti di una “ritrita”, ben nota e divertente polemica che vede da sempre scontrarsi (e riderci su) palermitani e catanesi. Leggi meglio e pensa prima di formulare critiche, oserei dire, da bambini. 🙂

    10. Michela, ti prego non abbassiamo i toni della discussione! Perchè i post sulle arancine/o su Rosalio sono vitali in quanto portatori naturali di visualizzazioni e, come dice David, ogni anno arrivano puntuali come le tasse! 🙂

    11. E solo un catanese poteva scrivere qua’ con l’accento, povero mentecatto.
      Anzi, ti do’ un consiglio: visto che per voi le arancine masculi sunnu, e pure la punta hanno, infilatevele tutte nel deretano. Ma in profondita’, mi raccomando!

    12. A Palermo arancia in dialetto si dice arancia.

    13. Dai Pablo fattene una ragione arancina è arancina e onestamente a Catania non le sanno fare proprio… Lavoro al nord e ho insegnato è fatto capire a tutti i colleghi che arancina è femmina e non dai con che soddisfazione!!!

    14. A Palermo soffrite di complessi di inferiorità, poverini……Voi ve la cantate e voi ve la suonate….
      ……”voi continuerete a farle maschi, deformi e a punta”… a piramide vuol dire deformi DEFORMI?!?
      “vi mangiate il cavallo spalmato pure sulle fette biscottate (mai sentita una cosa del genere!) che, per carità, sarà senz’altro più chic della nostra meusa,(ti sei risposto da solo) ma dai, il cavallo non se lo mangiavano nemmeno gli aborigeni australiani nei periodi di carestia più nera”( la frittola però la mangiavano)
      La tavola calda non sapete nemmeno cosa è, per non parlare di granite e brioches…
      in ultimo…
      Secondo il Dizionario Siciliano-Italiano di Giuseppe Biundi, del 1857, si chiamarebbe arancinu e viene descritto come “vivanda dolce di riso fatta alla forma della melarancia”. Pare che anche dopo l’Unità d’Italia a Palermo venisse usato il termine arancinu, riportato anche nel “Nuovo Vocabolario Siciliano-Italiano” del 1868.
      Un saluto a i cugini palemmitaini

    15. poveri cugini catanesi che sfogano il loro storico complesso d’inferiorità nei confronti di Palermo cercando di rivendicare la genesi di un piatto tipico…vabbè dai, vi lasciamo sta soddisfazione così avrete almeno un argomento per vantarvi quando incontrerete un palermitano.

    16. L’arancina così come la conosciamo risale al periodo di Federico II di Svevia il quale abitava non a Catania, anzi non a Cctcnic.

    17. Ma non è pacifico che avendo due dialetti diversi , si abbiano due denominazioni diverse?

      A quando la Diatriba tra Stikkio e p@cchio?

    18. La pochezza della discussione sta tutta nel fatto che si parla di Palermo e Catania, dimenticando che il vero arancino abita a Messina, la città in cui è più tipico che altrove.

    19. Riguardo l’arancino, che per me col prefisso (maschile o femminile non cambia nulla, sempre buoni sono) tengo a dire che l’invasione araba come é stata a Palermo è stata pure a Catania e che quindi l’invenzione del piatto non si deve ad una precisa provincia Siciliana, ma all’influenza orientale che ha contagiato ” TUTTA LA SICILIA”. Quindi non è strano che questa “tradizione” sarebbe stata comune per tutta l’isola, anche se c’è differenza tra il ripieno dell’arancina palermitana e l’arancini catanese dove quest’ultimo oltre al semplice ragú prevede pezzi di Manzo presenti nel ragú tipico del posto (l’uovo non esiste) . Si deve precisare che nella provincia di Catania la sua forma è nata per la facile presa come cono gelato onde evitare che il contenuto strabordi nel mangiarlo (si era notata la casuale somiglianza con l’Etna, data la punta che faceva uscire il ragú color magma) e questi tipi di forma stile “cono” la si puó vedere in svariati piatti indiani, pakistani etc. rigorosamente a base di riso conteneti carne, verdure e formaggio. Si potrebbe fare polemica anche sulla coxinha portoghese, ma si ci aspetta da chi fa una critica sulle origini di un piatto che sia informato attentamente sulle sue origini e dalle varie influenze. Pertanto in “Sicilia” come si potrebbe rivendicare le origini palermitane infondate delle stigghiola come usanza e street food appartenente solo al capoluogo che da tempi immemori le si preparavano anche nelle province di Enna, nota per la pastorizia già da prima che ci fosse l’invasione araba (parliamo dei greci), come prime parti dell’animale da consumare? Quindi usanze o meno sarebbe ignorante e stupido attribuire il monopolio di piatti semplici e radicati nel tempo originati dalle modifiche apportate alle tradizioni di altre influenze da parte dei coloni della Sicilia. Resto sempre dell’idea che in entrambi i luoghi sono fantastici “se fatti bene”. Si deve dire a chi si crede di fare sentenze che non ci si è inventato un cazzo di nuovo e che siamo frutto dell’invasione di popoli che già mille anni prima cucinavano street food nei loro posti. Ognuno puó chiamarlo come vuole ma resta il fatto che in italiano resta rigorosamente con la “O” (per chi parlasse italiano).

      My 2 cent

      By un Siciliano per metà Catanese e metà Palermitano.

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