“Carne mia”, l’ultimo romanzo di Roberto Alajmo
Ho interrotto Confessioni di un italiano e Paese d’ombre per leggere, appena recapitatomi, Carne mia di Roberto Alaimo. Ebbene, l’ho letto tutto d’un fiato. Non intendo fare qui una recensione, altri, più bravi di me, ne stanno facendo, perché il libro per le sue qualità è destinato al successo. In proposito devo dire che nutro una certa allergia verso gran parte delle recensioni, le quali non fanno altro che raccontare la trama del romanzo, con qualche stanco commento, oppure sono mini-trattati dal sapore intellettualistico. Non m’interessa, sarà perché non ho lo sbocco della pubblicazione su un giornale cartaceo? Dirà maliziosamente qualcuno. Chissà, forse anche per questo. Il fatto è che i miei interessi sono concentrati sulla lettura e su qualche cimento di scrittura creativa.
Tornando a Carne mia, sono un ammiratore dell’intelligenza, del talento e delle opere, oltre che dell’uomo, di Roberto Alajmo, avendo letto parecchi suoi libri e seguendolo da una decina d’anni. Ciononostante penso di essere imparziale nell’esprimere qualche idea sul suo ultimo libro. L’abilità nella costruzione a ritmo incalzante delle sequenze di una effervescente narrazione, pur nella essenzialità della scrittura. è fuori discussione. Ne aveva dato prova in Cuore di madre e in È stato il figlio. Non per nulla investiti da un enorme successo e grondanti di premi letterari. Altre osservazioni. Alajmo ha una padronanza assoluta ab origine del complesso animo e del modo di pensare del palermitano (testimoniata da tanti libri precedenti), essendo nato, cresciuto e tuttora residente a Palermo, ed essendo dotato di una acuta capacità di analisi. Uno dei pregi di Carne mia consiste proprio nella rappresentazione, con leggerezza ed ironica sottolineatura, del clima in cui matura l’atroce doppio omicidio del protagonista. Sistemare certe storture o colpe gravi con la soppressione, ove occorra, di persone, anche se legate da strettissima parentela, viene ritenuto un fatto di ordinaria necessità, un atto di giustizia. Il colpevole non è un mafioso, è un cittadino qualunque, inevitabilmente intriso della mentalità dell’ambiente, per l’appunto mafiosa. Alajmo è un maestro nel rendere l’influenza di questo clima nel carattere, nei pensieri, nelle emozioni, nei silenzi, nei sottintesi, nelle metafore, nelle paure, nelle certezze degli abitanti di un rione fuori del tempo e del contesto cittadino come Borgo Vecchio. Su questa base di convinzioni l’efferato protagonista, dopo gli orribili omicidi, costruisce una nuova vita per sé e per i propri familiari, senza mai un attimo di resipiscenza, di ripensamento. Non c’è ipocrisia o infingimento in lui ma certezza di essere nel giusto; tanto più che adesso responsabilmente dedica ogni sua attenzione alla famiglia, comprendente per primo il figlio neonato del fratello maggiore e della cognata assassinati, e al lavoro, come un qualsiasi capo di famiglia. Ma le lacune, i vuoti, nella dinamica delle relazioni familiari, non tardano ad essere riempiti dalla violenza delle verità nascoste ed improvvisamente emerse, il disastro è nell’aria, il narratore, con una scrittura aderente, direi connaturata, per asciuttezza e duttilità, a persone ed eventi, lo rende incombente, come un incubo, fino a farlo conflagrare nelle sequenze finali.
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