Referendum, chi ha sconfitto Renzi?
Impressionante a Palermo la valanga di no (il 72,3 per cento contro 27,7 per il sì) al referendum per la riforma della costituzione: Chi ha sconfitto Renzi? Sembra una domanda retorica. I quattro capi dell’opposizione, Grillo, Salvini, Berlusconi, Meloni, con l’aggiunta della mini galassia della sinistra dissidente e radicale, non hanno dubbi, i vincitori sono loro; basta vedere l’ondata di trionfalismo cui si sono abbandonati. I numeri sono lì, a dargli ragione, anche se gli elettori non hanno votato né per il M5S, né per la Lega, né per Forza Italia, né per Fratelli d’Italia e neanche per la sinistra (anzi c’è da dire che una percentuale dal 15 al 18 per cento dei loro rispettivi elettorati si è espressa per il sì). Hanno votato semplicemente per mandare a casa Renzi. Perché?
A mio avviso, per delusione e rabbia. Il malumore popolare attuale ha le sue radici nel 2008 allo scoppio della crisi economica. Da allora è cominciata covare una sorda intolleranza verso l’establishment imbelle e litigioso. Le elezioni politiche del 2013 sappiamo come sono andate; né vincitori né vinti. Sembrava che con le larghe intese, con Enrico Letta a capo del governo, la classe politica avesse capito l’antifona: invece niente; il tasso di litigiosità, agevolato da obbiettivi elementi di destabilizzazione, non è cessato. Caduto Letta per inconsistenza realizzatrice, è spuntata la stella di Matteo Renzi, giovane, baciato dalla dea vittoria nelle primarie per la segreteria del Pd, entusiasta, energico, decisionista. L’elettorato se n’è innamorato, tanto da regalargli un rotondo 41 per cento nelle amministrative del 2014. Cosa inaudita, roba da Democrazia Cristiana degli anni Cinquanta.
Renzi incarnava la discontinuità rispetto ad una situazione di immobilismo economico e politico. Su di lui si è riversata una forte investitura di fiducia e di speranza. Il giovane Premier si è dato subito da fare; ha messo in riga i suoi; è riuscito a sfornare, e far sfornare dalle Camere, una serie notevole di provvedimenti che nei precedenti vent’anni non s’era mai vista; ha costruito una nuova intesa con l’opposizione moderata per la riforma della Costituzione; nonostante le turbolenze è riuscito nell’intento, ma in un clima politico di quasi guerra civile.
Per certi aspetti si è dimostrato all’altezza ma il nemico numero uno, la pesante crisi economica che martellava le famiglie togliendo lavoro e futuro soprattutto alle nuove generazioni, era sempre lì, un mostro invisibile che frustrava giorno per giorno i suoi sforzi sia all’interno che nei rapporti con la Ue. I faticosi decimali di progresso economico conquistati, e diffusi con una esposizione mediatica esagerata, non incidevano per nulla sulla disastrosa situazione delle famiglie e dei giovani. La sua battaglia nel Consiglio europeo per ottenere una maggiore flessibilità finanziaria allo scopo di favorire la crescita appariva sempre più una battaglia perduta.
Intanto cresceva la protesta e la contestazione, il M5S e la Lega s’ingrossavano; il livello di tensione popolare s’impennava; le precarie condizioni del ceto medio e medio basso faceva alzare l’asticella dell’intollerabilità.
Poi la forsennata campagna elettorale per il Referendum, durata per almeno sette-otto mesi, ha fatto saltare il tappo e ha consegnato alle agguerrite opposizioni l’arma giusta per inchiodare Renzi alle sue responsabilità. Gli storici giudicheranno. A me sembra che il Premier con la sua incredibile maratona elettorale, a tutte le ore sugli schermi televisivi, abbia portato legna al rogo di una sconfitta clamorosa.
Cantino pure vittoria gli esponenti delle opposizioni ma la sconfitta di Renzi, per me ha un nome solo: prostrazione; la prostrazione economica di un’Italia gravata da antiche zavorre, schiacciata da un debito mostruoso, caricata da una spesa di parte pubblica rovinosa, frenata da una politica europea di austerità prossima al suicidio comunitario. Matteo Renzi il capro espiatorio di tutto questo. i capi famiglia, i giovani alla disperata ricerca di un lavoro, l’indigenza di larghe fasce di popolazione non hanno perdonato nulla ad un premier che spargeva manciate di ottimismo nelle tristi case della disoccupazione e delle misere pensioni di mala sussistenza.
Le elezioni del 2014 sono state europee non amministrative