Una giornata al pronto soccorso Villa Sofia di Palermo
Partiamo dai bagni guasti: due su tre. Il terzo, quello dei disabili, una fogna pubblica, unico sfiatatoio per vesciche sul punto di scoppiare, visto che nessun essere umano civile avrebbe mai il coraggio, se non in condizioni di estremo bisogno, di entrare in quello spazio lurido e puzzolente.
Un odore pungente, acido, di urina e forse di sangue.
È dai bagni che parte la mia giornata-nottata al pronto soccorso Villa Sofia di Palermo.
Sono arrivato al nosocomio alle 16, in seguito ad un infortunio sul lavoro. Dopo un’ora di attesa per il triage, l’infermiere mi ha chiesto i dati per l’accettazione. Non ha voluto vedere il dito infortunato, mi ha solo chiesto nome, cognome, data di nascita e cosa fosse successo. Codice verde. Ci sta, d’altronde non ero in pericolo di vita. Esiste però un ambulatorio ortopedico, un luogo in cui mandare tutti coloro che hanno subito un infortunio. Ma pur essendo l’unico ad aver subito un trauma, devo aspettare, perché il mio è un infortunio sul lavoro e bisogna aprire una pratica Inail.
Mi accomodo in sala d’attesa e non posso non accorgermi di una “nonnina” piuttosto sofferente. Con lei la sua badante e la figlia, una professoressa universitaria molto distinta. Da tre giorni la vecchietta vomitava e non mangiava; adesso era molto debilitata e pallida. Nonostante la sofferenza 88 anni portati bene. Le avevano dato una sedia a rotelle rossa e sembrava quasi contenta del privilegio, ma il suo verbale di accettazione, con codice verde, risaliva alle 11:30 del mattino ed erano già le 17.
Ad una quasi novantenne in quelle condizioni un codice verde e già 5 ore e mezzo di attesa? Mi domandavo in silenzio.
Ma la mia attenzione fu colta dalle urla di un’altra signora anziana: 95 anni, un taglio al dito a ferro di cavallo procurato da un coltello ben affilato, una fasciatura improvvisata, intrisa di sangue, con fazzoletto di stoffa e nastro adesivo. Era lì dalle 10 del mattino.
Decido di andare in bagno, perché la vista del sangue mi fa sempre un po’ impressione, ma due su tre sono guasti.
Opto per il terzo, quello dei disabili. Non l’avessi mai fatto. Apro la porta e dentro trovo una clochard, in piedi, senza scarpe. Si tocca un piede. Chiudo immediatamente e un odore acido di urina, mista a sangue, risale fra le mie narici. Ma dove sono capitato?
Mi avvicino alla portineria e chiedo di chiamare un inserviente. Negativo. Ce n’è uno solo ma ha un’intera struttura sulle spalle.
Mi auguro che il mio turno arrivi presto, anche perché in caso di un piccolo o grande bisogno mi sarebbero rimasti solo i pini del parcheggio adiacente al pronto soccorso. Ma mi accorgo, con grande stupore che quando sono arrivato ero ventunesimo e che adesso sono ventiseiesimo.
Chiedo lumi. Mi rispondono che sono subentrati casi più gravi. Intanto mi hanno scavalcato ben tre persone con vari traumi. I loro non sono infortuni sul lavoro, quindi non devono attendere, possono andare direttamente dall’ortopedico. Quindi il mio codice verde è un po’ più sbiadito del loro. Ed è peggiore del bianco, perché chi ha quel colore paga il ticket, ma ha turno celere e stanza riservata. Attendo, sono già le 20 e i medici di turno di danno il cambio. Nel frattempo da sotto la porta di uno dei due bagni guasti esce acqua. In pochi minuti si allagano sala d’aspetto e ingresso del pronto soccorso. Urge un intervento, c’è un grosso rischio di cadute. E personalmente, oltre a dispiacermi per eventuali incidenti, non vorrei che si impegnasse ulteriormente l’ortopedico con traumi che non necessitino di pratiche Inail.
Una donna è svenuta, urge una barella. Scatta l’effetto “vergogna”.
A sussurrarlo con faccia disgustata è un’esile donna. Ma quella flebile voce fa partire un’insurrezione: due uomini cominciano ad urlare perché è inverosimile che ci sia gente che attenda da nove ore; una dottoressa chiama: «Guardie, guardie», pensando forse di essere la protagonista di un romanzo di Terry Pratchett. Un Ksm stempiato e allampanato arriva di corsa e minaccia di chiamare le guardie per interruzione di pubblico servizio. Mentre qualcuno si domanda se il servizio non fosse già interrotto di suo, c’è chi scivola in mezzo al bagnato e, come se ciò non bastasse, una voce dall’altoparlante annuncia un codice rosso in arrivo. L’attesa si fa ancora più lunga.
Un inserviente cerca di asciugare l’acqua che fuoriesce dal bagno, ma c’è un guasto, serve un manutentore.
Due uomini, uno dei due in giacca e cravatta, si improvvisano idraulici. Siamo salvi, almeno la pipì, adesso, è garantita.
Alla nonna di 88 anni viene tolta la sua sedia rossa, serve ad una giovane ragazza che ha un evidente attacco di panico, anche se lei pensa di avere un infarto in corso. La professoressa universitaria, con molta educazione (troppa), fa notare al triage che sua mamma è lì da più di otto ore e che non è giusto lasciare in queste condizioni una persona così tanto anziana. Il suo codice da verde diventa giallo, ma bisogna attendere il rosso.
È quasi mezzanotte quando viene chiamato il mio numero. In sala 3 c’è un medico e quattro infermieri che non sembrano per nulla stressati da quelle ore intense. Anzi parlano di cibo, di pizzerie in cui dovranno andare nei prossimi giorni. L’argomento è interessante, ma io sono ancora provato e turbato dalle mie otto ore di attesa e poi mi piace provocare. Dunque chiedo al medico: «Dottore, ma qui è sempre così?». Lui mi guarda, sorride, e risponde: «Molto peggio».
Esco dall’ospedale, nel corridoio scorgo la nonnina sofferente, distesa in una barella con flebo e coperta. A quanto pare è in attesa di ricovero. Torno a casa stanco, affamato e con una stecca al dito, ma con la consapevolezza che, in fin dei conti, come mi ha fatto capire il medico, sono stato fortunato.
Caro amico, la tua storia non indigna ormai più nessuno. Magari se fossi stato un cane abbandonato del canile, un paio di persone fuori a fare casino le avresti trovate. E magari interveniva pure un assessore in tuo soccorso.
Invece, mentre tu eri in attesa di un tuo diritto, per il quale si suppone paghi le tasse, noi ci indignavamo a morte per la battuta sul calcetto del ministro Poletti, per la tesi scopiazzata della Madia, per la vicenda Minzolini… insomma per cose ben più importanti del tuo dito rotto o di una vecchietta di 88 anni.
Ma se dovesse ricapitarti, prova a chiamare Pif. Che magari se viene, poi ci indigniamo con lui, tutti insieme…
Insopportabile. Specialmente quando ci viene a raccontare che a lui ‘piace provocare’. Provoca lui, con il suo ditino, sotto tutela Inail, che il suo è un infortunio sul lavoro. Badate bene, sul lavoro. Lavoro impegnativo, si capisce. Il suo lavoro, il suo dito, il suo diritto, la sua necessità di far la pipì, il suo olfatto, il suo codice verde, la sua fame, che è già passata la mezzanotte. Povero dito, ammaccato, ferito, abbandonato in mezzo a tanta indifferenza, mentre i medici parlano di pizze e non di anatomia. Povero dito, infine stecchito, anzi steccato.
Sig. Arciboldo, è proprio il caso di dire che lei guarda il dito e non a cosa indica. Il mio racconto è tragicomico. Dietro alla mia sofferenza (minima per la verità, se non fosse stato per l’attesa e per il dolore alla mano), c’è un pronto soccorso che è da terzo mondo. Io sarò insopportabile per come ho posto l’argomento, ma le tasse, caro amico, le paga pure lei.
Ieri sera pronto soccorso con mio figlio a Milano, trauma cranico. Grazie al cielo codice verde. Ingresso ore 18, uscita ore 2.00, il tempo di osservazione sarebbe stato comunque di minimo sei ore come da protocollo, ma mio figlio viene visitato solo alle 1.45. I bagni (del ps di pediatria!) ridotti allo stesso modo di quelli descritti sopra. Un solo pediatra, una sala piena di bambini di tutte le età piangenti e sfiniti. Tant’è che ad un certo punto ho detto a mio marito ” se fossimo stati a Villa Sofia chissà quanto avremmo atteso!”, quasi per consolarmi… e invece, tutti nella stessa barca, da Nord a Sud.
Non pagatele le tasse, se è tale e tanto il loro peso. Che vi costringe, ogni momento, a cercarne un riscontro, una adeguata ricevuta, a reclamarne il prezzo. Il suo dito, Sig.Sardo, nel racconto, è sempre piegato verso di lei, stesso. Non ho avvertito toni drammatici, neppure comici. Mi rimane soltanto l’impressione di un fatto, di umanità dolente, sorvolato, per raccogliere rancore. Oltre all’immagine di uomo in giacca e cravatta che si adopera per riparare un gabinetto. Con buon esito.
Signora Alice, vogliamo ringraziarlo questo pediatra che da solo si è assunto (come probabilmente si assume spesso) la responsabilità di “una sala piena di bambini”? Vogliamo ringraziare quelli che colorano i codici? Verde, ma a quel punto il colore non dipende dal destino, si chiama professionalità. I bambini, andate mai davanti agli asili infantili, dove aspettano queste meravigliose mamme italiane? Tra qualche anno verranno anche da me. “Come va Federica, come va Attilio?” Sì, vengono anche da me, anche se è inutile. Lo sanno benissimo, come vanno, Federica ed Attilio.
meraviglioso racconto, nel senso letterale del termine, infatti mi meraviglio della situazione degli ospedali italiani, mi meraviglio della totale disorganizzazione, o forse un’organizzazione, di un sistema sanitario che dovrebbe essere da paese civile.
Ma la meraviglia a volte non è una cosa positiva….
La meraviglia in questione si rivolge anche a chi commenta criticando per il solo gusto di farlo, di contraddire perché forse manca di idee per controbattere, oppure perché appartenente ad una categoria lavorativa che partecipa allo scempio sanitario.
La pretesa di civiltà esula dal pagamento delle tasse. Se chi paga le tasse pretendesse il tappeto rosso e una cameriera a disposizione nei pochi minuti di attesa la pronto soccorso, direi la sua pretesa sarebbe un attimo eccessiva. Ma evidenziare i palesi disservizi e il personale assente, sia per volontà che per disposizioni di servizio per nulla considerevoli del bene degli utenti, non credo sia da criticare sig. Arciboldo, e penso che nessuno che abbia un’esperienza in qualsiasi pronto soccorso italiano, alla fine delle estenuanti ore di attesa senza apparante motivo, e ancor peggio senza un minimo di spiegazione, prenda a male parole chi ha svolto solamente il proprio mestiere. Quindi il racconto del sig. Sardo è solo una eco di quello che ogni giorno o notte che sia, avviene a qualsiasi latitudine del paese che viviamo, pagatori di tasse o meno.
Antonino, al netto della retorica, del suo commento rimangono soltanto i “pagatori di tasse” (o meno). Appunto.
Allora mi scuso per la retorica sig. Arciboldo, le da evidentemente fastidio, ma non riesco a capire cosa le da più fastidio, chi critica il sistema malato della sanità, e lo fa anche con ironia, oppure la sua critica alla critica è solo un esercizio di stile.
Certo di un positivo riscontro
porgo distinti saluti
Ironia, dov’è l’ironia? “In sala 3 c’è un medico e quattro infermieri che non sembrano per nulla stressati da quelle ore intense” questa è ironia? Secondo me è soltanto (timida) insolenza.
Ricambio i distinti saluti. E chiudo.
Capisco il punto di vista, forse lei è uno dei pochi esempi di persone dedite al proprio dovere, e nelle mie parole non c’è ironia, dico sul serio. Forse il sig. Sardo voleva solo raccontare in maniera tragicomica la normale avventura che molti di noi a qualsiasi latitudine affrontano quando si recano in un pronto soccorso.
Non se la prenda Arciboldo, se lei è un medico bravo e efficiente continui ad esserlo, e quando ritroverà un signore con il dito “sciancato” ripenserà al sig. Sardo sorridendo.
Chiudo salutando affettuosamente.
documentare va bene.Indicare qualche soluzione andrebbe meglio,a cominciare da una GUIDA AI SERVIZI DI PRONTO SOCCORSO.Da mettere ON LINE,ovviamente.Cosi si potrebbe scoprire che i codici bianchi potrebbero trovare assistenza in plessi ospedalieri che fanno Day Ospital,con o senza esenzione Ticket,
oltre che rivolgersi al proprio MEDICO DI BASE.In tal modo una certa % di pazienti scaricherebbe il flusso di attese ai Pronto Soccorso.
Non e’ solo un problema di Servizi Igienici. e spazi di attesa inadeguati.
Se si va a guardare alle prestazioni,puo’ capitare di non avere in dotazione alle SALE OPERATIVE
il Farmaco,il filo adatto per ricucire,
la strumentazione per aspirare un traumatizzato,e via discorrendo,non escluse le barelle.
Se siete arrivati in auto,mettete in conto il parcheggio ad ore,che in 12 ore di attesa fa una bella cifra.
Hospital e non Ospital