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martedì 19 nov
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    Tartaruga alla palermitana

    I tempi quando il mare era pulito che pareva vetro lustrato – chino di pesci, tanti che se ci infilavi una mano ti pareva di muovere le dita dentro a una pentola di brodo. Allora c’erano pure le tartarughe marine, a frotte – trovavi i segni sulla sabbia, la mattina – qualche volta il piede ti sprofondava in un nido e avevi fatto la frittata. Ora saranno sessant’anni che non ne vedo, sono sparite, dicono, morte strangolate dai fili di lenza e dai sacchi di immondizia. Un peccato che viene da piangere e non smettere più.

    Anni ’50, mio padre ci vestiva bene per andare a parlare con certi amici suoi marinai – aveva fatto il marinaio pure lui, prima della guerra andavano a Zuara, in Libia, a prendere i tonni. Ci andavamo in due, ché quattro camicie non c’erano. Il pititto allora ci non passava mai. Mio padre poche cose sapeva fare bene, e il padre di sicuro non era di quelle che ci riuscivano meglio. Ma la zuppa di tartaruga che faceva lui non me la scordo più fino all’ultimo giorno che il Signore mi manda su questa terra.

    Se riuscivamo ad avere la tartaruga ci levavamo la crosta e la portavamo al fiume Oreto – la carne doveva restare per qualche ora sotto l’acqua corrente, fino a quando diventava morbida e bianca. Con le parti callose si faceva il brodo con le cipolle; la parte buona, la mettevamo a rosolare coi fagioli e il rosmarino. Tagliavamo la tartaruga a cubetti e la mangiavamo in umido. E continuavamo a pensarla e disiarla per i mesi che seguivano.

    Ce lo dico, ogni tanto, ai miei figli: questa sola cosa vorrei, prima di morire, di mangiarmi un’altra volta la tartaruga di mare.

    E quelli a fare ma che dici, ma non lo sai che le tartarughe sono in estinzione, che due tre che ci sono rimaste stanno allo zoo e sono guardate meglio dei picciriddi? Che ci fanno fare magari il ruttino e la torta di compleanno con le candele?

    Niente, mi vogliono fare morire co ‘stu disìo.

    A me un occhio solo mi funziona, e un giornale in vita mia non l’ho letto mai. Però quel giorno l’articolo pare che aspetta a me: «Miracolo della santuzza: nel giorno di Santa Rosalia una tartaruga depone le uova a Mondello». Minchia.

    Già mi lecco tutto.

    A mia moglie ci venne il cuore quando ci dissi che quest’anno volevo affittare una cabina sulla spiaggia.

    Il nido è recintato, c’è più casino di quanto pensavo, si vede che non sono l’unico che ci fanno sangue le tartarughine.

    La più grande camurrìa sono ‘sti volontari del Wwf, che anziché andare a cercare femmine se ne stanno tutto il tempo a controllare le uova. In particolare c’è un ragazzo proprio studiato, che mi ha detto tante cose interessanti e pure che era bello che uno come me si interessava tanto agli animali.

    Mi ha spiegato tutte cose, che le uova per schiudersi ci vogliono ancora tre settimane, e che le tartarughe neonate devono mangiare acqua di mare e pesci nichi nichi.

    A casa ci ho montato una vasca di plastica grande che le tartarughine ci si scialano. Per crescere ci vorranno un po’ di mesi, ma io prescia non ne ho.

    Per ora guardo il mare e aspetto.

    Nota: Il racconto è un’opera di fantasia, e va letto in chiave ironica. La zuppa di tartaruga marina, che oggi potrebbe giustamente disgustare gli amanti degli animali, era, un tempo, un piatto tipico della cucina marinara siciliana. La tartaruga veniva talvolta cacciata per la sua carne. Non è però questo il motivo dell’attuale rarità di questo splendido animale, quanto il crescente inquinamento dei nostri mari, nonché gli incidenti causati dalle reti a strascico e dalle collisioni con le imbarcazioni.

    Il 14 luglio 2013, giorno di Santa Rosalia, una tartaruga della specie caretta-caretta ha deposto 60 uova nella spiaggia di Mondello. L’evento rarissimo ha causato l’intervento immediato del personale della Guardia Costiera, del Wwf e della Capitaneria di Porto, per recintare e proteggere il nido.

    La notte del 29 settembre, dopo 76 giorni, 31 uova si sono schiuse, liberando i piccoli di tartaruga. Un gruppo di volontari ha creato un cordone umano, per proteggere i piccoli nella corsa verso l’acqua. Tutte le tartarughine hanno raggiunto il mare sane e salve.

    Palermo
  • 7 commenti a “Tartaruga alla palermitana”

    1. Bellissimo racconto e molto ironico e romantico.
      P.s. una tartaruga di mare io l’ho vista. Al porto. Giuro. Enorme. Un’emozione per me e i miei figli.

    2. Meno male che hai specificato, non sia mai una guerra vegana, di questi tempi tumultuosi poi…
      Racconto fantastico!

    3. Ahaha grazie a tutti, pensavo mi sarebbe finita come il tipo bandito da Rai 3 per aver divulgato la ricetta del gatto

    4. Grazie, Letizia! Mi mancava tanto la tua penna!

    5. Concordo con l’umido, ma non avrei messo il rosmarino, ma comunque un bel pezzo.

    6. Buongiorno Letizia, ben trovata. La tartaruga è un piatto sopraffino della cucina cinese. L’ho vista nelle vetrine Delle migliori rivendite cinesi nel quartiere Chinatown di San Francisco. Del resto ci si nutre di ciò che si ha intorno. Bella scrittura

    7. Grazie, Clotilde!

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