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domenica 17 nov
  • Andrea Finocchiaro Aprile

    Su Andrea Finocchiaro Aprile

    Pasquale Hamel, leggo su Rosalio, ahimé con cinque anni di ritardo, un suo post su Andrea Finocchiaro Aprile che definire semplicemente astioso e malevolo è dir poco. «…Toglierlo dagli altari per riportarlo alla dura realtà delle miserie umane, …oppositore del fascismo restato in un angolo peraltro dorato,…non si fa scrupolo di scrivere direttamente a Mussolini,…il Duce (non le sembra eccessivamente ossequioso il maiuscolo?) si sarà reso conto della bassezza umana (di Finocchiaro Aprile)» sono solo alcune delle perle con le quali lei ha infiorato un quadro estremamente riduttivo e semplicistico oltre che altamente velenoso e diffamatorio che forse neppure Salvatore Aldisio che pure fu di Finocchiaro Aprile aspro avversario avrebbe saputo delineare.
    Che Giuseppe Dell’Oro, allora direttore del Banco di Sicilia, fosse additato come usuraio e che Finocchiaro Aprile, rivelandolo, ne volesse prendere il posto è storia vecchia ma evidentemente non tutti sanno, ed evidentemente lei fra questi, che Finocchiaro Aprile, cedendo, questo sì, allo stereotipo dell’ebreo usuraio mutuato dalla cultura cristiana medievale, denunciò anche altre persone che praticavano l’usura tacciandole di essere ebree. Non creda peraltro che il nostro sbavasse più di tanto per ricoprire la carica di direttore del Banco: giova infatti ricordare che già nei primi mesi del 1920 Luzzatti, ministro del Tesoro nel primo governo Nitti, gli aveva offerto tale carica, offerta declinata per ragioni d’incompatibilità parlamentare rivestendo egli all’epoca la carica di sottosegretario allo stesso dicastero.
    Ma quale «apertura al fascismo», ma quale «lento avvicinamento al fascismo»”!
    Alla professoressa Crisantino che riconosceva (almeno questo lei lo ha fatto) a Finocchiaro Aprile il merito di aver denunciato la natura reazionaria del fascismo per poi però, a suo dire, cambiare idea ho già ricordato, solo per smentirla con dati di fatto che sono poi quelli che valgono più di ogni altra cosa, come la casa di Amalia Luciani, moglie di Andrea Finocchiaro Aprile, in Toscana fu fatta saltare in aria di notte dai fascisti proprio negli ultimi mesi di vita del regime e che solo l’eroismo del capitano dei carabinieri di Pieve Fosciana in Garfagnana che fece sloggiare in tutta fretta la moglie di Finocchiaro Aprile, i figli Camillo e Giovannella e i nipotini Giorgio e Claudio evitò ulteriori ben più drammatiche conseguenze.
    Lei parla di «obiettivo nascosto (di Finocchiaro Aprile) di farsi nominare senatore del Regno». Quanto sia falsa la sua affermazione lo dimostra il fatto che Finocchiaro Aprile, pur godendo pienamente dei requisiti previsti dalla III disposizione transitoria e finale della Costituzione, quali l’esser stato eletto deputato per tre legislature prima dell’avvento del fascismo oltre all’essere stato eletto anche all’Assemblea Costituente, rifiutò la nomina a senatore di diritto preferendo candidarsi alle elezioni politiche del 1948 in cui invece non fu eletto.
    Quale fosse poi l’«angolo peraltro dorato» in cui Finocchiaro Aprile sia rimasto durante il fascismo vorrei che fosse lei a chiarirlo. Da parte mia posso solo dirle che a Roma, pur svolgendo attività di avvocato civilista, visse per anni in una casa d’affitto in via Adige 48 riuscendo ad acquistare in cooperativa, cooperativa Montecitorio, la sua prima ed unica casa in viale Cristoforo Colombo angolo via Cesare Federici solo nel lontano 1954 alla tenera età di settantotto anni!
    Nulla lei dice invece del Finocchiaro Aprile che il 14 febbraio 1947 sollevò per primo la “questione morale” rivelando dal suo banco di centro-sinistra quello che è rimasto agli atti come il primo scandalo della repubblica. In quella seduta accusò di gravi comportamenti il presidente del gruppo parlamentare dc Giovanni Gronchi: «Comincerò da te! Quando eri sottosegretario di Mussolini (lui sì) eri uno straccione, ora sei diventato milionario…», il ministro Pietro Campilli, l’economista Ezio Vanoni più tardi ministro e il ministro Giuseppe Romita: il primo di essere stato responsabile, non si sa bene se consapevole o meno, di una grave operazione di aggiotaggio borsistico macchinato nel suo Gabinetto di ministro, il secondo di aver ricoperto cariche lautamente retribuite in una grossa società di costruzioni e in una banca e il terzo di ingenuità verso profittatori che si aggiravano attorno al suo dicastero, i lavori pubblici. La sua bruciante accusa così continuava: «Oggi purtroppo vi sono amministrazioni e uffici nei quali, per ottenere qualcosa, bisogna andare provvisti di mezzo chilo di biglietti da mille! Ciò è indegno. Già viviamo in clima di corruzione» sostenendo con gli altri costituenti Francesco Saverio Nitti, Giovanni Conti e Giorgio La Pira che gli uomini politici della neonata Repubblica non dovessero ricoprire cariche di natura finanziaria.
    Dopo il tumulto che seguì al discorso di Finocchiaro Aprile: «Si tratta di uomini di governo. Non si può tollerare che parli!» che confermava la persistenza di un’inammissibile arroganza in clima di democrazia, su sollecitazione soprattutto di Natoli, Pertini e Piccioni si istituì una commissione di indagine che ponesse in essere quelle che erano le incompatibilità morali e politiche di ciascun membro dell’Assemblea stessa. Il 14 aprile, appena due mesi dopo le accuse, erano pronte le risposte della commissione detta “degli Undici” formata dai liberali Bozzi e Rubilli, dal qualunquista Bencivenga, dal monarchico Fabbri, dal comunista Grieco, dal repubblicano Natoli, dall’ex ministro dc Bertini, dall’ex ministro socialista D’Aragona, dal socialista Pertini, dal laburista Scotti e dal rettore dell’Università di Firenze, il giurista Calamandrei. La relazione, letta in aula da Rubilli, si concludeva praticamente con delle assoluzioni per insufficienza di prove ma non condannava l’accusatore osservando che i fatti «non potevano non produrre in chicchessia una grande impressione, e poterono certamente, e a buon diritto impressionare anche l’onorevole Finocchiaro Aprile» e concludeva invocando che «una oculata viglianza e un efficace controllo elevino il prestigio delle amministrazioni dello Stato, liberandole da ogni residuo sospetto». Purtroppo si è data poi modesta rilevanza all’ammonizione della “commissione degli Undici” e al suo insegnamento. Se si fosse dato ascolto allora a Finocchiaro Aprile nulla vieta di pensare che tanti sperperi finanziari, scempi e umiliazioni nella vita pubblica italiana ci sarebbero stati risparmiati.
    Ancora, nulla lei dice degli anni di insegnamento universitario di Storia del diritto italiano e di diritto ecclesiastico presso le Università di Ferrara, Pisa, Siena e Camerino, della scelta dell’Assemblea Costituente di nominarlo membro della Commissione dei 75 incaricata di elaborare e proporre il progetto di Costituzione repubblicana presieduta da Meuccio Ruini.
    Nulla ancora lei dice della guida da lui assunta del Movimento per l’Indipendenza della Sicilia al cui gruppo parlamentare, il più piccolo della Camera, corrispondeva però un’opposta proporzione nelle dimensioni del partito, o movimento, da lui rappresentato: il movimento indipendentista siciliano era stato il più grande schieramento politico apparso in Italia dopo la caduta del fascismo e infatti con i suoi ottocentomila militanti superava i tre partiti di massa che si erano formati in Italia quando ancora il nord era occupato: Dc, Psi, Pci.
    Nulla viene ancora de lei detto del discorso del 26 ottobre 1947 di Finocchiaro Aprile davanti all’Assemblea Costituente: «…Ho detto altre volte all’Assemblea che noi indipendentisti, sin dal primo momento, sin dal 23 luglio 1943, dichiarammo nel nostro memoriale al generale Alexander essere nostro intendimento che si addivenisse ad una conferenza di Stati italiani. Noi non parlammo mai di distaccare la Sicilia dall’Italia ma…dal 23 luglio 1943 in poi, in ogni occasione, in ogni documento internazionale e interno, noi non abbiamo fatto altro che auspicare una grande confederazione di Stati italiani ed eventualmente mediterranei ed europei. Ora per chiunque abbia coscienza morale e rettitudine politica, l’affermare la necessità di una confederazione di Stati italiani, destinata a cementare, a rafforzare l’unità dei popoli di lingua italiana, non può rappresentare un delitto…».
    Ancora nulla lei dice di quanto pure la professoressa Crisantino mi scrisse e cioè che fu «l’arresto di Finocchiaro Aprile e di Varvaro (e Restuccia, aggiungo io) che si opponevano al coinvolgimento dei banditi a fare precipitare la situazione nell’autunno del ‘45».
    Nulla ancora lei dice del contributo di Finocchiaro Aprile alla vita politica del Paese: insieme a Ferruccio Parri e ad Epicarmo Corbino condusse nel 1953 una vivace e vittoriosa iniziativa contro il tentativo del governo centrista presieduto da Alcide De Gasperi di assicurarsi la maggioranza assoluta nel parlamento. I voti che essi ottennero furono determinanti per non far scattare il quorum di una legge elettorale che fu poi subito abolita.
    Tace infine sul fatto che con Sturzo, Sandulli e Ambrosini il nostro fu giudice dell’Alta Corte per la Regione Siciliana le cui competenze furono assorbite nel 1957 dalla Corte costituzionale.
    Strano destino quello di Finocchiaro Aprile: c’è chi, come Giulio Tramontana, lo vorrebbe sepolto a San Domenico dove già riposa il padre Camillo e chi come lei… .
    Prenda la mia come una vibrata protesta per un post che, vorrà concordare con me, è tutto da dimenticare.

    Palermo, Sicilia
  • 3 commenti a “Su Andrea Finocchiaro Aprile”

    1. Prendo atto, e lo ringrazio, di quanto scrive il sig. Daniele Frasca Polara…comprendo il suo affetto per questo suo familiare

    2. Prendo atto a mia volta, e senza ringraziarlo, che il sig. Pasquale Hamel si è limitato ad una facile ironia sul rapporto di parentela che mi legava ad Andrea Finocchiaro Aprile guardandosi bene dal confutare, come mi sarei atteso visti l’acredine ed il livore del suo post, quanto contenuto nel mio. Come scriveva il 29 agosto 2012 il lettore “pasqualino” che pure si diceva certo che “di Finocchiaro Aprile si tornerà a parlare senza rancore”, il sig. Hamel fa storia senza citare fonti o citandone alcune, un contributo poco scientifico”.

    3. Da quel che scrive, Pasquale Hamer si direbbe uno storico (sic).
      Se così fosse non sarebbe male che venisse ricordato non tanto per le sue rancorose parole su Finocchiaro Aprile quanto come un bell’esempio di come, in questo nostro povero Paese, la sedicente classe dirigente abbia smarrito (se mai l’ha avuta) ogni traccia di memoria storica, peraltro evitando ostinatamente di contribuire in alcun modo alla formazione di una coscienza critica e di una responsabilità personale e collettiva.

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