Suca chi legge (la mia tesi)
Certo fa un po’ strano sentirsi dire: «la mia tesi parla del suca», lo capisco. Mi immedesimo in tutti coloro che, prima o dopo la laurea, hanno avuto l’ardire di chiedermi cosa trattasse la mia ricerca. Sapevo di non sorprenderli più di quanto ho sorpreso me stessa quando un giorno di ottobre del 2016, seduta sulla poltrona della stanza del professore, ho proposto un secondo argomento per la tesi oltre a quello, già trito e ritrito, – interessante ma sicuramente più semplice – della street art.
Oramai abito a Palermo da cinque anni, conosco i suoi vicoli, il suo profumo di pane e immondizia. L’odore delle stigghiola al rientro a casa, sotto il ponte di Viale Regione. I suoi colori e i suoi dolori. Una città che sa trasformarsi e che sa essere diversa da quartiere a quartiere.
Eppure c’è una parola, che lega tra loro quartieri diversi, vite diverse e persino diverse estrazioni sociali. Te ne accorgi passeggiando, osservando muri e saracinesche, sedendo su una panchina o aspettando l’Amat sempre troppo in ritardo.
È la parola SUCA. La sua presenza capillare, la sua reiterazione puntuale, le sue trasformazioni, le hanno concesso di entrare a far parte non solo del nostro linguaggio comune ma, soprattutto nella nostra quotidianità. È riuscita a rappresentare un ampio ventaglio di emozioni, di stati d’animo diffusi, tanto da meritarsi un posto d’onore nella cultura palermitana, rimanendo tuttavia immediata e di facile comprensione.
Possiamo ipotizzare che sia stato lo studente in attesa dell’autobus nella fermata davanti la scuola o il tifoso all’uscita dello stadio, personalità anonime che, differentemente a quanto accade con le tag non hanno l’intento di farsi ricordare o riconoscere, non si può rintracciare in loro alcuna autorialità.
Suca è liberatorio, è immediato, efficace in qualsiasi contesto, grazie anche alla sua pronuncia morbida ma veloce.
Riesce ad adattarsi a tutte le situazioni e proprio per questo suo carattere tendenzialmente multiforme, nel tempo è riuscito non solo a cambiare connotazione ma a guadagnare posto
come brand, rimandando alla sicilianità e nello specifico alla cultura del capoluogo, ad un modo di vivere ed affrontare la vita, come lo “scialla” romano che ci invita a stare calmi, tranquilli, senza troppi pensieri. Si è aggiunto tra le fila dei simboli del folklore, tra la tipica coppola e gli agrumi, portando con sé innumerevoli connotati che parlano della Sicilia, dei siciliani, del loro rapporto con la quotidianità, di come affrontano le difficoltà che da sempre affliggono il meridione, in un eterno movimento per il riscatto sociale prima ancora che economico.
Cosa succede però a livello del significato quando una parola diventa virale? Il significante possiede ancora il suo significato originario? Certo è che il suo significato si è esteso, si è trasformato e allargato. Suca ha persino travalicato i confini dell’isola, approdando in città lontane. Giulio Bordonaro, nel suo progetto Instagram suca.forte, ne raccoglie tanti, di quelli che vediamo mentre passeggiamo o andiamo a lavoro, altri lontani dall’Italia, opera di qualche nostalgico patriota.
E tra stratificazioni di senso e ribaltamento di significati, la ricerca ha mostrato più di quanto avessi potuto sperare. C’è molto di più in un suca di quanto pensiamo, a livello linguistico, sociale e semiotico.
Un concentrato di passioni e di umori, di luoghi comuni e di sfere discorsive che lo rendono souvenir perfetto con cui fare ritorno nella propria terra o per segnare l’appartenenza ad essa.
La trasformazione poi della “S-word” in 800A segue la vocazione della crittografia. Le ragioni dell’occultamento sono molteplici, persino comparabili a quelle cui si deve la nascita della scrittura stessa – intesa da Barthes come “illeggibilità del sistema scrittorio” di derivazione sumera – ovvero a seconda di luoghi, tabù, ragioni sociali e così via.
Infatti 800A non significa nulla di per sé, ammicca al lettore, al passante, facendosi riconoscere ma significando solo a partire dalla sua decodifica. Tale codice diventa messaggio solo dal momento in cui viene decriptato.
Suca oggi si è trasformato in un’icona pop, e come tale non poteva non fare il suo ingresso anche e forse soprattutto nel mondo dell’arte, dell’illustrazione e della scrittura.
La S-word si è fatta spazio nella nostra cultura e nella nostra quotidianeità, riuscendo a entrare, anche solo per alcuni istanti, nella vita di tutti i giorni, costituendosi genius loci della Città di Palermo e dell’intera Sicilia, se non ancora dell’Italia intera.
Se il Genio di Palermo dovesse un giorno prendere vita, poserebbe gli occhi su questa nostra città, sulla Sicilia intera e le sue amare bellezze e, sono certa direbbe la prima cosa che gli sia passata per la testa, da vero palermitano: SUCA!
(foto di Giulio Bordonaro, GBX Studio)
Suca si può anche crittografare con 800A ma “pò” col significato di poco si scrive coll’apostrofo e non coll’accento grave: “po’ “. Risulta inoltre molto evidente se scritto nella prima frase. Non poca cosa per una laureanda in sucologia
….allora se proprio la dobbiamo dire tutta, chiamasi nella grammatica italiana: TRONCAMENTO non apostrofo!!!
leggendo i commenti sopra, senza offesa per nessuno, posso solo commentare in un modo….
SUUUCA, nella sua connotazione più protestante, ovvero, avete letto l’articolo ben scritto e che parla di un aspetto, forse poco elegante, ma sicuramente caratteristico della nostra città e dei nostri cittadini, di tutti noi insomma, e che mi andate a questionare, il PO’!!!!
Capisco che si esige sempre una buona conoscenza della lingua, ma guardiamo un pò ai contenuti.
Sempre senza offesa e con un sorriso sulle labbra…..
Dott.ssa Agola complimenti per la scelta coraggiosa e per l’argomento antropologicamente interessante, a volte cercare di dare senso ad una parola vuol dire capire un popolo.
Sinceramente 800A.
Ciò che commenta non lascia spazio a vaghe interpretazioni. Tutto si commenta, filosoficamente, da se!!!
….aggiungo un commento al commento di Antonino: “megghiu i nienti”.
Gentile Massimo,
sono laureata in Scienze della Comunicazione, ed ha ragione, non poca cosa.
Mi preme infatti rassicurarla che PO’ è quello che in grammatica viene comunemente chiamato TRONCAMENTO ( poco – po’).
Tuttavia pò si trova ormai ovunque, quindi seppur scorretto, è ampiamente usato.
Le allego una voce ben più autorevole della mia.
http://www.treccani.it/enciclopedia/un-po-o-un-po_(La-grammatica-italiana)/
La ringrazio per l’interesse, è sempre bello poter scambiare opinioni. Ma la grammatica, proprio come la matematica, non è una di queste.
: )
Gentile dottoressa Agola,
Sarebbe possibile avere il file PDF della sua tesi?
Distinti saluti,
Daniele
Argomento pessimo e inutile.
Se la tesi piace, per la trattazione esaustiva ( che è stata la prima che io sappia) consiglio il bellissimo “L’imperativo popolare” del prof. palermitano Elio Ciccarelli che mi ha fatto fare tante risate.
Un piccolo CAPOLAVORO.
https://www.amazon.it/Limperativo-popolare-Emanuele-Ciccarelli/dp/8872310857
http://www.ilsicilia.it/800a-storie-di-un-esclamativo-poetico-quando-linsulto-diventa-fenomeno-antropologico/
….forse siete un po’ troppi….
[…] link: Suca chi legge (la mia tesi) – Rosalio.it Palermo, più codice che insulto: “suca” entra in aula magna – Repubblica.it […]