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giovedì 19 dic
  • egousi soup

    Nigerian home restaurant

    Martedì sera io e quella pazzerella di Bea, che mischina si fece nove ore di treno per venire a gustarsi le prelibatezze made in Sicily. Tu immagina: il terzo piano di una casa di Ballarò, quelle della zona del mercato. Una di quelle case mezze cadenti, che a vederle da fuori le dai per disabitate. Non ci sei stata mai a Ballarò dopo la chiusura del mercato, di notte? Scuro, acqua lorda a terra, lattughe marce, pesci scafazzati. Un Cristo flagellato in vetrina tra fiori e lampadine, che ti talìa con gli occhi spalancati. Tutto attorno case che fanno Sarajevo 1993, pirtusi di proiettili, vetri rotti, panni stesi. Una casa di queste.
    La mia amica Mercy ci accompagna a un portoncino di legno, suona. La porta si apre, ma luce nella scala non ce n’è. Beatrice comincia a inquietarsi: oh ma nun è ca mo c’accireno?
    Biih, e che ti pare, che stiamo a Napoli? stai tranquilla e mettiti dietro a me, faccio luce col cellulare.
    Sopra ci aspetta una signora nera mastodontica.
    Welcome!
    Hi, auntie! Mercy le porge Blessing da baciare, poi si rivolge a noi: this is our cook.
    Sì, e mo speramm ca nun s magnan a nuje! – do una gomitata a Bea mentre ci accomodiamo in una delle due stanze della casa. La tavola è apparecchiata e la stanza è arredata a nuovo, ma è caldissimo e non si respira. Un televisore a volume zero trasmette un programma di quelli dove i bambini e animali fanno capitomboli. Mercy si slaccia la camicetta e comincia ad allattare Blessing. Dall’altra stanza arrivano i colpi di coltello o forse di ascia con cui la signora taglia la carne. Ogni colpo è accompagnato da un urlo prolungato.
    We, a prossima vot forse è meglio che ci manciamm chill panini che facite vui ccà…chill che frittatin e cicr, comm s chiammn? e pastelle!
    E zitta, sta arrivando la cena!
    La signora ci depone davanti una lunga serie di piatti fumanti, mentre ci illustra i nomi delle sue pietanze: yam flour ed egousi soup, riso e spezzatino di manzo e stoccafisso. Spezie e peperoncino a volontà.
    Se scurdat o cucchiar!
    La signora ci indica il bacile al centro della tavola: si mangia con le mani, possiamo sciacquarci le dita prima di mangiare. Mercy comincia ad addentare il suo cibo, veloce, e mentre infila pezzi di carne tra le labbruzze di Blessing. «In this way» – ci mostra rapidamente come ruotare la mano per fare delle palle compatte di riso o yam, da bagnare nel brodo. Le nostre palle riescono tutte storte e molli.
    La cena è buona, scarpettiamo tutto con cura.
    Uhanm sto schiattann! Ma tniss nu fazzulett?
    Abbiamo la bocca a canotto, lacrimiamo e siamo sporche fino ai gomiti.
    Mercy è schiantata dalle risate: Poor Italian girls!
    Ride pure la signora: Ah ah, these Italians are a little weak! Ah ah ah!
    Bea mi tira la manica: Ahò, ma so’ strunz forte ‘ste Nigeriane!
    Ma davvero!
    Ride pure Blessing: grandi risi sdentati e gorgoglianti. Bea ci si piazza davanti: Nennì, riman ci manciamm nu beddu piattu ri maccarun ca sarz, va buon? Ca furchett però! e po virimm chi rir!

    Palermo
  • 2 commenti a “Nigerian home restaurant”

    1. Grottesco direi…

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