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sabato 23 nov
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    Anelletti al forno: un viaggio nel DNA del palermitano

    Forse perché più facile da mettere dentro un contenitore e portarlo ovunque si vada, forse perché iscritto come un codice all’interno del nostro DNA, l’anelletto al forno è per tutti noi il piatto palermitano per eccellenza. Ma perché uscendo dal capoluogo siciliano questo tipo di pasta è pressoché sconosciuto? E soprattutto, perché uscendo fuori da Palermo la pasta al forno, ammesso che se ne conosca la ricetta, viene fatta con le penne rigate oppure con i rigatoni?

    Un vero e proprio suicidio gastronomico per noi palermitani che, ammettiamolo, ad una bella teglia di anelletti al forno non sappiamo proprio rinunciare, e non solo per l’anelletto in sé, che ci piace tanto, ma anche, e forse soprattutto, per il fatto che questo tipo di pasta, che sia in montagna o al mare, possiamo portarlo praticamente ovunque. E non solo, per il palermitano, l’anelletto al forno è l’unico tipo di pasta che freddo ha il suo perché. E se dovesse avanzare? No, neanche in questi casi il palermitano saprebbe rinunciare all’anelletto che, riscaldato il giorno dopo, rigorosamente in padella con olio di oliva, riesce a mantenere inalterata la sua squisitezza.
    Una questione di identità dunque quella della pasta al forno, che sentiamo nostra, che ci appartiene e che custodiamo gelosamente. E chiunque, proveniente da ogni parte del mondo, l’avesse assaggiata anche una sola volta, ce la invidia e tanto anche.
    Ecco, è proprio per questo che sulle nostre tavole un piatto come questo, che non ha una sola stagione, non può mai mancare: né le domeniche, né quando si va in gita al mare, né tantomeno durante le festività natalizie. Ma perché l’anelletto è conosciuto soltanto a Palermo e provincia? E soprattutto, qual è la sua origine?

    Beh, rispondere a questa domanda non è affatto semplice. E non perché scoprirlo sarebbe impossibile, ma perché ci sono svariate teorie, ancora da confermare, a riguardo. Fra queste, quella che sembra avvicinarsi maggiormente alla verità è quella secondo la quale l’anelletto nasce nel corso del medioevo, quando nascono le prime paste forate, e che la sua forma richiamasse i piccoli gioielli e monili, come orecchini e anelli per l’appunto, indossati dalle donne arabe durante il periodo di dominazione. Inoltre, come è ben noto anche oggi, essendo bucati al centro, gli anelletti si prestavano maggiormente alla realizzazione dei timballi, poiché riuscivano ad amalgamare e catturare meglio il condimento.

    Ecco pertanto che l’anelletto è insito, non solo nella nostra cultura, ma anche nel nostro DNA e fa della nostra una città unica anche per questo, ma non solo. Infatti Palermo, o forse a questo punto sarebbe meglio chiamarla “Balàrm”, non è solo capitale mondiale dell’anelletto ma della pasta in generale. Già perché facendo una gita nelle zone di Trabia e Termini Imerese, troviamo antichi mulini importati dagli arabi. E pare proprio che in quelle zone siano nate le prime tecniche per la lavorazione del grano, prima manuali (ci sono fonti scritte che parlano di pasta già nel 1154) e poi con l’ausilio dei macchinari, che hanno persmesso di creare i tipi di pasta che oggi sono conosciuti a livello nazionale e non solo. È dunque alla Palermo araba che dobbiamo guardare se vogliamo conoscere le nostre tradizioni e i nostri gusti. Segno quest’ultimo che contraddistingue la nostra Palermo come città multiculturale e pioniera del gusto tipico del Made in Italy.

    Palermo
  • 2 commenti a “Anelletti al forno: un viaggio nel DNA del palermitano”

    1. Complimenti per l’articolo, scritto bene e interessante…. almeno nell’ultima parte.
      Si perche a mio avviso sig. Di Maggio lei ha centrato un obiettivo importante, anche se parlava solo di anelletti al forno, lei ha evidenziato come nel nostro DNA c’è tanto, ma tanto di più del solito patrimonio enogastronomico che comunque sappiamo valorizzare anche troppo. C’è molto di più, infatti lei cita mulini e tecniche antiche per la realizzazione della pasta, primi formati che ancora oggi sono apprezzati, insomma culturalmente parlando ha fatto un bellissimo lavoro di ricerca.
      Ecco ora quello che voglio dire è che se un sig. Di Maggio, senza fare nemmeno tantissima fatica, e con grande maestria, riesce a tirar fuori un argomento interessante su un blog, come è che il governo della città è cosi in difficoltà nel trovare persone che si occupino della manifestazione più importante che Palermo vedrà da qui a quindici/vent’anni?
      Vengo e mi spiego, cioè Palermo non sarà candidata alle olimpiadi nel prossimo futuro, e nemmeno a campionati di calcio o di altri sport, non ospiterà G7, G8, G20 o Gig robot d’acciaio nei prossimi anni, quindi non avrà grandi occasioni di attrazione turistica in un futuro prossimo…..Però quest’anno è capitale italiana della cultura, secondo me occasione unica che, se adeguatamente programmata poteva creare un circuito turistico che sarebbe potuto girare un pò negli anni, ma invece niente, non se ne parla, non c’è programma, nemmeno il logo, una benamata insomma…. e noi che possiamo farci, a parte incazzarci per l’ennesima occasione mancata….manciamunni un piatto i pasta o furnu…..

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