La comitiva a Palermo negli anni ’80 e ’90
Adesso immaginate di ascoltare Bach, l’aria sulla quarta corda, quella di Quark per intenderci. Io avanzerò dal fondo dello studio televisivo in giacca e cravatta per parlarvi di un altro fenomeno traumatico di chi ha vissuto gli anni 80/90: la comitiva.
Nel mio caso uno stormo di colombe che si riuniva nel pomeriggio davanti Collica in viale Strasburgo. Attività principale? Il nulla, il fancazzismo più totale. C’era il toko del gruppo, di solito più grande, che arrivava cavalcando la sua moto anzi il “motore” con incastonata sulle spalle l’ingrizzo, adolescente bionda con occhi azzurri, fisico perfetto, poco pensante ma invidiata da tutti. Il toko era un po’ come l’ape regina. Appoggiato al muretto con sigaretta accesa, capelli perfetti anche dopo aver tolto il casco, vestito alla moda e baciato a turno sulle guance dalle api operaie che ronzavano intorno. Il toko era toko in tutte le sue manifestazioni. Il primo a partire se c’era l’aggaddo ed era toko se le prendeva di brutto, cadeva con la moto e si rompeva una gamba Tokissimo, grande procuratore di feste a scoppolone e forse, pare, attivo sessualmente!
Noi più piccolini cercavamo di unirci a questo gruppo di supereroi ma arrivato il sabato sera ci dividevamo sia per mancanza di mezzi che per la totale mancanza di invito a partecipare alle cose toke.
E allora si organizzava una bella comitiva per andare a mangiare la pizza. Ore di interminabili discussioni sulla pizzeria da scegliere, poi finalmente ci si muoveva a piedi verso la destinazione con un allegria generale. Battute squallide sul sesso, sgambetti fugaci, boffe sul cozzo, e commenti poco eleganti sulla più carina del gruppo. Risaaaaaaate!
Giunti alla meta ci si trovava davanti ad una tristissima pizzeria a veranda color ottone con vetrate color caramello con un cartello enorme “forno a legna”. All’esterno una bolgia infernale di comitive come la nostra affamate di pizza e Coca Cola. Un signore col panzone, camicia aperta e catenazza d’oro prendeva il turno.
«Ma quanto c’è da aspettare?».
«Venti minuti!».
Tradotto: un’ora e mezza.
Nel frattempo l’apparato digerente cominciava a secernere succhi gastrici per la fame con la collaborazione della quantità industriale di Big Babol che masticavamo in continuazione e dei fumi espulsi dal forno a legna.
Intanto il turno procedeva lento ed io personalmente cominciavo ad avere bruciori allo stomaco infernali. Il pititto faceva acido” praticamente.
Finalmente arriva il nostro turno. Camerieri sgarbati ci fanno accomodare su tavolate ancora da riordinare, sciarre su chi si doveva sedere accanto al preferito e le solite boffe sul cozzo che volavano. In sottofondo Just an illusion degli Imagination.
Mezzora per ordinare le pizze grazie agli spiritosi di turno che intralciavano il lavoro estenuante del cameriere il quale poi qualche pizza la sbagliava.
Grazie al forno a legna la temperatura del locale è altissima, forse per questo i vetri erano caramellati, puzza di sudore e i decibel prodotti dagli schiamazzi superavano quelli del concerto di Vasco a Partinico. Del resto si sa: i giovani gridano sempre (chissà perché).
Ad un certo punto si avvicina al tavolo un disco volante della flotta di Vega, è il cameriere con un quantitativo impressionante di pizze sulle braccia. Un mostro mitologico.
«Romanaaaaaaa».
«Capricciosaaaaaaaaaa».
«Diavolaaaaaa» (la prendeva sempre un mio amico temerario).
E noi risaaate, burdello, sfottò al cameriere…
«Amunì picciotti, facitimi travagghiari, Margheritaaaaaaaaaaaa».
Io raggiungevo uno stato di malessere psicofisico ai limiti del TSO
Ma MAI e dico MAI avrei passato un sabato a casa. Cheffa’ babbiamo?
Si pagava alla romana, cioè il conto diviso equamente a prescindere dal valore dell’ordinazione. Una tragedia! Lo ziccuso di turno faceva sempre problemi ed esordiva dicendo
«Vabbe’ allora la prossima volta mi prendo pure io la pizza da diecimilalire, ecco!».
Uscivamo dal locale barcollando, il più vastaso ruttava clamorosamente mettendo a rischio un vetro caramellato, le ragazze lamentavano nausea, alcune ridevano…io desideravo essere sull’Everest a meditare.
Ci salutavamo, alcuni col bacetto, altri con la boffa sul cozzo. Io tornavo a casa lentamente con un chiummo allo stomaco la puzza di brace addosso e la voce di un rutto udito in lontananza. Bella serata….metà paga settimanale buttata al vento…veramente una bella serata…viva la comitiva, viva il forno a legna!
(foto da Google Maps)
Bellissima , quanti ricordi (sob )
ma eravamo nella stessa comitiva??? (95/2000) Perché alle 9 di sabato sera, al Collica o alla fermata dell’autobus di fronte ex profumeria c’eravamo sempre e solo noi che dovevamo ancora decidere dove andare.. e se ben ricordi a quell’ora col calo glicemico non è che si ragionasse più di tanto…ma dovevamo aspettare che il “toko” di turno si decidesse… Che tempi..
sicuramente altre comitive, magari altri tempi ma sempre stesse routine..