Palermo, storia di vite nascoste
A Palermo, ad ottobre, c’è un’esplosione di cultura chiamata Le vie dei tesori.
Si dice che la curiosità sia l’argilla con cui si forma la conoscenza, e toccare con mano la storia talvolta si spera possa solo essere di buon auspicio per gli insegnamenti del futuro.
Tra i meravigliosi monumenti che caratterizzano la mia città, incluse chiese e palazzi di rara bellezza, nei primi trenta minuti di tour tra tesori, ho voluto sapere cosa fosse un rifugio antiaereo.
E ho immaginato la guerra.
Quella guerra che, del resto, non è lontana neanche un secolo da noi.
Quella guerra da studiare nei libri di scuola, a undici o a diciassette anni, dove dovevi prendere nove a fine anno perché faceva media, perché era la parte più importante del programma di storia. Perché è una parte importante della nostra storia.
Ho immaginato gli anni quaranta a Palermo, ho immaginato i cittadini dentro quei rifugi sotterranei per sfuggire alle bombe che gli inglesi e agli americani hanno gettato a profusione sulle nostre terre, le strade, le auto, le navi e le famiglie.
Dentro questi strani bunker le condizioni erano al limite della dignità umana, morivano cittadini e nascevano bambini come se fosse una realtà nel sottosuolo, all’insegna della protezione, della speranza e della sopravvivenza.
Ho capito cosa significhi conoscere la seconda guerra mondiale per sommi capi, come spiega l’ultimo capitolo del libro di storia, e cosa rivela davvero la possibilità di toccare con mano quei corridoi.
La conoscenza del passato e la storia devono insegnare a costruire il futuro.
L’impegno è un patto con le future generazioni, a cui spetta conoscere e non perdere pezzi importantissimi della memoria storica della nostra città.
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