“Dolce come…” la pubblicità adattata con la “sicilianitudine” della Barilla
Che uno dei capisaldi della comunicazione efficace sia “adattare” il messaggio al target di riferimento è un concetto più che scontato.
Che, nel farlo, si possa correre il rischio di far sembrare il messaggio “ingessato” e “costruito a tavolino”, lo è un po’ meno.
La considerazione sorge spontanea quando si osserva una delle ultime trovate della Barilla che nel pay off del lancio della nuova salsa pronta al pomodoro datterino recita «Dolce come i colori della Vucciria», «Dolce come la mattina del 5 febbraio» (con riferimento alla festa di S. Agata patrona di Catania) e «Dolce come rivedere casa al mare». Tre frasi, in apparenza, intrise di sicilianità che, con uno sguardo più attento, sono risultate a molti delle forzature «suggerite durante un brainstorming dal manager milanese venuto in vacanza in Sicilia», per citare alcuni commenti letti sui social, che di Sicilia, in realtà, ne sa quanto un neonato di fisica quantistica.
Non sembra, per intenderci, che a scrivere questi slogan che sovrastano, maestosi, una “fitta coltre” di datterini, sia stato qualcuno che di “sicilianitudine” se ne intenda ma, piuttosto, qualcuno che abbia tentato, goffamente, di immedesimarsi nel “siculopensiero” senza, tuttavia, riuscirci.
Mai un siciliano, e un palermitano in particolare, avrebbe definito “dolci” i colori della Vucciria, o la mattina di S. Agata un catanese, o, ancora, la casa al mare, un messinese. “Duci” è, infatti, un intercalare dialettale intraducibile che viene utilizzato per indicare qualcosa di grazioso e gradevole non certo dolce nell’accezione di zuccherino. Ma questo, ovviamente, chi non è siciliano non poteva saperlo e, allora per fare il paio con la dolcezza attribuita alla salsa pronta da pubblicizzare, ne ha esteso il significato alterandolo e rendendolo paradossalmente incomprensibile ed inefficace proprio a coloro i quali era rivolto:
i siciliani.
A questo punto potremmo aprire un dibattito, destinato a restare irrisolto, sull’annosa quaestio circa l’opportunità di creare campagne pubblicitarie con messaggi comprensibili dai più o, invece, sia meglio targetizzarle correndo il rischio che, oltre a non essere comprese da tutti, non lo siano neanche da coloro cui sono rivolte.
Un esempio lampante è quello della pubblicità di una nota marca di assorbenti che per invogliare le donne all’acquisto prometteva loro di diventare delle vere e proprie eroine durante i giorni del ciclo. Peccato che durante il ciclo nessuna donna abbia voglia di fare paracadutismo o di attraversare l’Oceano, ma questo, ovviamente, un uomo non può saperlo.
Il rischio di creare campagne “dedicate” ideate da chi non rappresenta il target di riferimento è che il messaggio risulti goffo è insicuro come una donna sui tacchi a spillo a cui i piedi fanno male. Meglio essere più disinvolti con scarpe comode e sentirsi sicuri di sé che ostentare sicurezza su un tacco 12 camminando in un campo minato, soprattutto quando il campo si trova in terra sicula, e si sa che – per dar forza ai luoghi comuni- con i siculi non si scherza!
Ammettiamo, per un momento, che l’agenzia della Barilla con questa campagna abbia fatto una gaffe ma… “chi è senza peccato scagli la prima pietra”.
La prima volta che ho visto il cartellone 6×3 a Palermo con il soggetto della Vucciria ho pensato… “beh più che dolce magari avrei detto VIVACE come i colori della Vucciria”.
Dalla seconda volta che l’ho incrociato quel 6×3 per me era ormai diventato arredo urbano, specialmente sapendo che in una dozzina di giorni non lo avrei più visto.
Invece, nei social network è diventato oggetto e soggetto di discussione. Così scopro che la campagna è una “multisoggetto” con le sue varianti catanese e messinese.
Personalmente, penso che piuttosto che avere l’ardire di “sconsigliare di realizzare campagne di comunicazione multisoggetto mirate e adattate ad uno specifico target di riferimento perché – con i nostri luoghi comuni non si scherza-” (manco fossimo nel Medioevo ♀️) direi che magari sia il caso di riflettere sul fatto che probabilmente l’agenzia (di milanesi, napoletani, messinesi, romani o catanesi che siano) un risultato (magari voluto e se non voluto… ancora meglio) l’ha ottenuto: moltiplicare la visibilità della campagna a costo zero. Così come si suol dire “nel bene o nel male purché se ne parli”.
E sapete che c’è? M’è pure venuta una gran curiosità di assaggiarla questa salsa.
Per cui a questo punto mi chiedo: “la pubblicità è ancora l’anima del commercio o è la polemica fine a se stessa che l’aiuta?”