Vocabolario minimo di sopravvivenza per un polentone a Palermo
Vivo con un polentone da dieci anni, ormai.
Uno di sangue calabro-lucano, in realtà, ma cresciuto tra i ghiacciai dell’Alto Adige prima e la nebbia della pianura padana poi.
E poi sempre più giù, geograficamente parlando. Adesso vive a Palermo, per colpa mia.
Io sono convinta che ci abbia guadagnato, ma non lo ammetterà mai, una delle cose che ha imparato da noi, infatti, è lamentarsi. Io avevo una vecchia zia che mi ha insegnato un detto: «Lamentati e ti troverai bene». Mi è sempre sembrato una stronzata, ma se esiste, un motivo ci sarà.
Comunque sia, noi abbiamo fatto tutto al contrario: l’emigrazione contro corrente, la famiglia alternativa. Usiamo perfino l’autobus. Siamo trasgressivi, lo so.
Le cose normali a noi vengono malissimo, sempre che ci si metta d’accordo sul concetto di normale. Per me, per esempio, è normale camminare al buio e incazzarmi quando sbatto contro qualcosa, togliermi le scarpe per strada, guardare in silenzio le persone negli occhi.
Ognuno è come è.
Ad ogni modo, perfetti o imperfetti, strani o normali, questi siamo noi.
Con le nostre ovvie difficoltà.
La prima cosa che ho fatto perchè mio marito (non lo è legalmente, ma non importa. Mi sembra orrenda la parola compagno, come dovrei chiamarlo? Coinquilino pare male…) si sentisse non troppo straniero, è stato dotarlo di un vocabolario minimo di sopravvivenza.
La prima parola che ho pensato fosse utile conoscesse è stata “minchia”.
È una parola che, se usata bene, apre molte porte. Non solo metaforicamente, oserei dire. Noi Palermitani, con lo sguardo e il tono e con i gesti di accompagnamento, dotiamo la parola minchia di tante sfumature, che potremmo fare un discorso intero.
Riusciamo a esprimere disprezzo o ammirazione, a seconda di come la usiamo.
“Testa di minchia” è una cosa, “‘sta minchia!” un’ altra.
“Minchia” può esprimere gioia, incredulità, rabbia. Tutta la gamma di emozioni umane, in una sola parola, da usare con perizia.
Le sfumature, sono tutto.
E non solo: una delle cose che mio marito mi rimprovera sempre è che noi palermitani parliamo in modo trasversale, con doppi sensi e significati nascosti.
Mi rimprovera perfino che diciamo una cosa, per intendere l’opposto.
Lo ha capito definitivamente quando di fronte a un mio «Sì, ora la butto io l’immondizia!», con mano destra che si “arriminava” e mano sinistra sul fianco, ha pensato che stessi dicendo che sarei andata a buttarla.
Ma quando mai? Ma se ho detto proprio il contrario!
Io non lo so, se i polentoni parlano usando solo il significato letterale delle parole o se sia solo una malattia sua, ma comunque, lo sto curando.
L’altro giorno ha detto: «Non mi scassare la minchia!».
Sono soddisfazioni.
(foto di Prof.lumacorno)
Stupenda
Trovo gli articoli di Marina esilaranti ed ironici, davvero molto brava. Tanti auguri al di lei marito
che minchiata…..
da palermitana, questa parolina è molto VOLGARE.
Assolutamente spettacolare 🙂